Ho
delle mie fonti d’informazione per quanto riguarda l’andamento dell’industria
manifatturiera e per quanto concerne chi cerca lavoro. Si tratta di poca cosa,
solo un pugno di aziende di diversi comparti produttivi, ma ciò mi consente di
sentirmi infallibile quanto un papa o un āyatollāh. E in anticipo rispetto alla
diffusione dei dati Istat.
Parlo
prima di chi cerca lavoro. La mia fonte d’informazione è data dai curricola in
arrivo. Nel 2014 si era assistito a un netto calo rispetto agli anni
precedenti, ma ora i curricola arrivano in numero massiccio. Per quanto
riguarda invece la situazione delle aziende è sufficiente prendere in esame gli
ordinativi, in ribasso e in alcuni casi tracollano. Più in generale è interessante
mettere a confronto i dati antecedenti il 2008 e quelli degli anni successivi
fino ad oggi. Vi sono indubbiamente degli alti e bassi, ma i livelli produttivi
del passato sono solo un ricordo (per le aziende nel frattempo sopravvissute al
terremoto).
Pertanto
non si tratta, dopo sette lunghissimi anni, di una crisi di ciclo, come ormai ammettono
tutti. Gli economisti, quelli più intelligenti, si spingono molto più in là con
le loro previsioni di durata della crisi, e poi cercano di scovarne le cause,
di proporne addirittura dei rimedi, come fa per esempio l’”economista marxista
Piketty”, e altri prodotti della stessa brasserie
(*). L’unico aspetto che essi non tirano mai in ballo, per dirla in modo
prosaicamente plebeo, è la faccenda del lavoro rubato. Da cui originano tutte
le contraddizioni cui poi gli economisti traggono spunto per i dotti studi sulle
epatte lunari e dunque per stilare i loro almanacchi della crisi.
Da
sei anni, in questo mio piccolo taccuino, scrivo che non si tratta di una crisi
di ciclo (anni or sono molti ne erano ancora convinti) e nemmeno di una crisi
di lungo periodo (come sono ormai tutti persuasi sbattendo contro la realtà).
Invece, ripeto, siamo in presenza della crisi storica del capitalismo nell’epoca del suo massimo trionfo. Lo
stesso impetuoso sviluppo delle forze produttive sta producendo, tra l’altro e paradossalmente,
una situazione in cui il furto del tempo di lavoro altrui, su cui poggia la
ricchezza odierna, si presenta come una base miserabile rispetto a un’inedita
situazione che si sta sviluppando nel frattempo e che è stata creata dalla
grande industria stessa.
In
altri termini, sempre più noi vediamo come l’operaio si collochi accanto al
processo di produzione, anziché esserne l’agente principale. In questa
trasformazione non è né il lavoro immediato,
eseguito dall’uomo stesso, né il tempo che egli lavora, ma l’appropriazione
della sua produttività generale, la sua comprensione della natura e il dominio
su di essa attraverso la sua esistenza di corpo sociale, in una parola, è lo
sviluppo dell’individuo sociale che si presenta come il grande pilone di
sostegno della produzione e della ricchezza. E però tale movimento,
inarrestabile, diventa sempre più incompatibile e trova il suo maggiore
ostacolo con il miserabile scopo della produzione capitalistica (il profitto
per profitto) e dunque con gli attuali rapporti sociali di produzione (**).
(*)
Una maggiore tassazione del capitale speculativo, se da un lato aiuterebbe gli
Stati nell’affannoso tentativo di riequilibrare la bilancia tra entrate e
spese, dall’altro non può far nulla sul fronte della cosiddetta “crescita”,
laddove il capitale tenderà sempre più a fuggire verso quei paesi che possono
garantire livelli di maggior sfruttamento della forza lavoro e minore
tassazione; né simili legislazioni impediranno che il capitale industriale
lasci la sfera produttiva per cercare maggiore redditività nella speculazione,
posto che è la stessa natura della
produzione capitalistica, come necessità logica del suo sviluppo, a portare il
saggio generale medio del plusvalore ad esprimersi in un calo del saggio
generale del profitto.
(**)
«A un dato punto del loro sviluppo, le
forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i
rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono
soltanto l'espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l'innanzi
s'erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si
convertono in loro catene. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale.
Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente
tutta la gigantesca sovrastruttura. Quando si studiano simili sconvolgimenti, è
indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle
condizioni economiche della produzione, che può essere constatato con la
precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose,
artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini
di concepire questo conflitto e di combatterlo. Come non si può giudicare un
uomo dall'idea che egli ha di se stesso, così non si può giudicare una simile
epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa; occorre
invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale,
con il conflitto esistente fra le forze produttive della società e i rapporti
di produzione. Una formazione sociale non perisce finché non si siano
sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori
rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno
alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza. Ecco perché
l'umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a
considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo
quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono
in formazione.»
questo spiega perfino com'è che “...l'anatomia dell'uomo è la chiave dell'anatomia della scimmia”, com'è che la natura fosse vicina ad un punto morto e concepì l'uomo, di come ora si tratta di concepire l'uomo umanizzato
RispondiEliminasembra quasi una filosofia della storia
mi sono allargato
puoi allargarti quanto vuoi, spazio ce n'è visto che non vi sono altri commenti. c'è in realtà un disinteresse per tutto ciò che non sia cazzeggio sul quotidiano. anche alla radio (non parliamo della tv) l'attenzione è tutta concentrata sull'immediato, come se si trattasse ogni giorno di trovare la soluzione più adatta per sturare un lavandino intasato
Eliminacom'è che la natura fosse vicina ad un punto morto e concepì l'uomo,
Eliminanon vorrei che appunto questo " punto morto" sia anche "darwinianamente" voluto , visto che c'è già "qualcuno molto in alto " che da della "scimmia" a tutti gli "altri in basso".
Purtroppo "vivremo tempi interessanti" :-(
se questa crisi fosse generale e storica i ricchi di oggi ne vorrebbero ancor di più, più generale e più storica = sempre più ricchi. Ma a questo punto più che crisi storica del capitalismo sembra opportuno parlare di crisi ciclica del comunismo. E' il comunismo che non è ancora pronto.
RispondiEliminase dessi un'occhiata al Taine vedresti come l'aristocrazia francese raggiunse la sua apoteosi subito prima della rivoluzione
Eliminala stessa cosa successe per l'aristocrazia (non solo di sangue) prima di sarajevo
non per nulla parlo di crisi storica nel momento del suo massimo trionfo
il mutamento è prontissimo, bisogna vedere se lo saremo anche noi nel momento in cui la crisi precipiterà nel suo dramma
non è questione di Se ma di Quando
su una cosa forse possiamo concordare: le nuove generazioni sono già fottute in partenza e pagheranno un prezzo sempre più alto
se i giovani risultano fottuti in partenza figurati i vecchi quando le cose precipiteranno. Appunto la domanda è 'quando' ma proprio domandarselo ci invecchia; e più invecchi più strologhi di crescita (dei giovani); più cose hai da perdere più ipotizzi il 'quando'. Il mutamento lo realizzano i giovani ma sono i vecchi a prepararlo con le loro riforme del cazzo. Alla fine comunque il prezzo sarà alto per tutti, generale e storico. E pagheremo alla romana.
EliminaPer quanto riguarda l'apoteosi della borghesia non può essere comparata a quella dell'aristocrazia.