Il
motivo principale per il quale continuo ad occuparmi degli editoriali di
Eugenio Scalfari – ossia a scriverne in questo blog posto ai margini della
costellazione di Orione – è dato dal fatto che essi rappresentano un veicolo
importante di trasmissione di quelle opinioni che vanno a formare quella che
poi chiamiamo ideologia dominante. Un altro motivo sta nel mio divertimento a
leggere e commentare ogni domenica le verità di base di questo grande
intellettuale che sempre più aspira alla citazione postuma come filosofo.
*
Questa
domenica, Scalfari, parlando degli eventi tragici ma non imprevedibili di
Parigi, decide di affrontare la questione “assai complessa” che “riguarda la
libertà, che cosa significa, da dove ci viene”. Niente di meno. Prepariamoci.
«Ebbene, noi non siamo
liberi se non per un istinto e per la natura che contraddistingue la nostra
specie da quella degli altri animali. La nostra natura possiede la capacità di
guardare noi stessi mentre viviamo. È questa capacità che ci fa diversi da tutti
gli altri animali. Noi ci guardiamo agire, vivere, invecchiare e sappiamo anche
di dover morire.»
Detta
così e a dar retta al senso comune non ci sarebbe da cambiare una virgola, e
invece in queste parole c’è tutto l’equivoco borghese sul concetto di natura e su quello di libertà, laddove il primo viene ad
assumere, come si vedrà, una dimensione astratta e l’altro i tratti
dell’enunciazione stereotipata e tautologica.
Secondo
Scalfari a distinguerci dalle altre specie animali (o vitali, come preferisce)
sarebbe la nostra natura. Ciò che
sfugge a Scalfari, a tutti i riduzionisti e agli innatisti, è il non vedere che
tale “natura” è essenzialmente storica, il non tenere sufficientemente conto
della distinzione fra ciò che è culturale, storico e sociale nello sviluppo
psichico umano e nelle complesse forme culturali del comportamento, e ciò che
invece è istintivo, naturale e biologico.
In
altri termini, il riduzionismo antropologico alla Scalfari identifica tout
court l’essere umano con l’individuo concreto e non già l’essere umano nella
concreta materia sociale e nelle sue forme di esistenza storicamente
determinate. Non deve dunque stupire che per i riduzionisti l’individuo in sé
possa assumere di volta in volta l’aspetto di qualunque fantasma, e che la libertà diventi un portato della sua stessa natura. L’uomo naturalmente libero!
Scrive
Engels nell’Anti-Dühring:
La libertà non consiste nel sognare
l'indipendenza dalle leggi della natura, ma nella conoscenza di queste leggi e
nella possibilità, legata a questa conoscenza, di farle agire secondo un piano
per un fine determinato. Ciò vale in riferimento tanto alle leggi della natura
esterna, quanto a quelle che regolano l'esistenza fisica e spirituale dell'uomo
stesso: due classi di leggi che possiamo
separare l'una dall'altra tutt'al più nell'idea, ma non nella realtà. […] La libertà
consiste dunque nel dominio di noi stessi e della natura esterna fondato sulla
conoscenza delle necessità naturali: essa
è perciò necessariamente un prodotto dello sviluppo storico. I primi uomini
che si separarono dal regno degli animali erano tanto privi di libertà in tutto
quello che è essenziale, quanto gli stessi animali, ma ogni progresso verso la
civiltà era un passo verso la libertà.
Pertanto
gli esseri umani non sono liberi per
istinto non più di quanto lo siano gli altri animali, né lo sono per la
loro “natura” intrinseca. Il
significato più profondo del concetto di libertà consiste nella capacità
pratica degli esseri umani di piegare tutte le forme di esistenza della
materia, compresa quella sociale, alla soddisfazione e alla produzione dei
bisogni umani. E ciò è possibile alla condizione di conoscere proprietà e leggi
di movimento e di impiegare queste conoscenze nel modo appropriato (*).
Insiste ancora l’Oracolo:
Insiste ancora l’Oracolo:
«Tutte queste
caratteristiche fanno sì che il nostro istinto di sopravvivenza è duplice:
vogliamo sopravvivere come individui e vogliamo anche sopravvivere come
specie.»
«L'istinto principale che
abbiamo e che condividiamo con tutte le altre specie vitali, è quello della
sopravvivenza. In più abbiamo la memoria, altro segno che ci distingue dalle
altre specie viventi.»
L’istinto
di sopravvivenza – come può dimostrare qualsiasi etologo ma anche il caso del
nostro domestico cagnolino – è duplice
anche negli altri animali, poiché ogni animale lotta per la propria
sopravvivenza e procrea per perpetuarsi come specie, il cosiddetto spirito di
conservazione, senza dire che molti animali mostrano di avere più cura della
propria prole di certi umani.
Quanto
alla memoria, come altro segno
distintivo che arriva in soccorso alla mera natura (un po’ fragile per reggere tutto il peso dell’umana
condizione), non è difficile scoprire che anche altre specie animali possiedono
forme, anche complesse ed evolute, di memoria. E tuttavia la memoria che ci
distingue dev’essere altra, sennò dov’è la differenza? E però non solo "memoria" come
funzione psichica superiore, ma più in generale credo si debba intendere come
“cultura”, come accumulo dell’informazione non ereditaria e dei mezzi per la
sua realizzazione e conservazione. Da cui il pensiero, il linguaggio, la
coscienza. E però Scalfari ci lascia soli con questa cazzo d’indefinita “memoria”.
Apprezziamo quest’altra verità:
«All'individuo che
ciascuno di noi ha scelto di essere abbiamo dato un nome che è il nome dell'Io
che siamo. L'Io è una costruzione, è il nostro sentirci individui e c'è sempre,
in qualunque momento, dalla nascita fino alla morte. Quindi la sopravvivenza e
l'amore per noi stessi è automatico, fa parte della nostra natura.»
Mera
tautologia: l’istinto di sopravvivenza fa parte della nostra natura e come tale
produce l'amore per noi stessi; l'amore per noi stessi, innato per nostra
natura, produce l’istinto di sopravvivenza. Caro Scalfari, per capire l’uomo quale
essere sociale e non semplicemente quale entità metastorica abbiamo bisogno di
un modello qualitativamente diverso da quello del ragno che ama istintivamente la
sua tela secondo natura.
Quanto
al sentirci individui c’è da osservare che possiamo sentirci tali solo in
società, poiché un individuo che non sia anche un essere sociale esiste solo
come astrazione, come Tarzan tra le scimmie. E quanto al nome esso serve,
buttiamola così, per distinguere il nostro smisurato Io dall’Io altrettanto
smisurato degli altri. Anche lo schiavo ha un nome, un amore per se stesso
quale prodotto di un istinto secondo natura. E tuttavia, quale essere sociale, inserito
in una società di classe, egli è libero quanto può esserlo la coscienza dei
feticci compatibili sotto il dominio reale del capitale.
(*)
Potrà sembrare stupefacente per qualche biologo con le lastre della risonanza
magnetica in mano, ma cervello, orecchi, occhi, mani, eccetera, sono anch’essi
il risultato di una produzione interamente umana. Perché è proprio nel
complesso processo della produzione materiale – e ciò è assente negli altri
animali – che il cervello diviene cervello che pensa in modo umano e l’occhio
impara a vedere umanamente. Dal che segue un’altra generalizzazione:
l’educazione dei cinque sensi, così come l’intelligenza, sono il risultato
dell’intera storia universale.
Si,cara Olympe,puo'sembrare stupefacente,ma noi sembra che si sia quel che si sia,proprio in funzione "solo"della nostra storia,che 'absit iniura verbis",pare sia proprio cosi',nonostante ad ogni pie'sospinto,tanto per guadagnarsi la pagnotta,schiere immani di filosofi,scoprano sempre le leggi di una morale universale,parlandosi uno sopra l'altro...alla scoperta e alla ricerca del santo Graal dell'acqua calda.
RispondiEliminaAcqua calda, che detto tra pochi intimi,pare risiedere nelle leggi della termodinamica,a cui pare si ispirassero pure quei santoni nobel ,del mito dei derivati.
Ignorando pero' la semplice considerazione che per portare un po'di ordine ,si finisce per provocare piu' disordine complessivo,come nel capitolismo.
Se la natura sociale umana ,vuole sopravvire al tempo,non ha che una scelta:nel sociale superare le leggi della termodinamica,senno',dopo il capitalismo ci puo'essere solo la morte termodinamica.
Fate voi,esseri che diconsi senzienti..
Caino
Orione? Pensavo Andromeda.
RispondiEliminaSia dove sia, tali glosse alla filosofia scalfariana sono assai preziose per noi poveri lattanti della misera Via.
andromeda? oh no, affitto troppo caro lì
EliminaMa libertà non era partecipazione?
RispondiEliminaRoberto
No, la liberta' e' responsabilita'.
Elimina