Diciamoci la verità, della povertà
degli altri non ce ne può importare di meno. I soliti ridondanti dati su chi
non riesce a mettere insieme il pranzo con la cena ci hanno stancato. C’è una
specie di feticismo in chi parla e scrive di queste cose trite e ritrite. Siamo
sicuri che i sedicenti rivoluzionari riuscirebbero ad assicurare in un cambio
di sistema una vita per lo meno uguale a quella presente? Avete visto nei paesi
dove c’è stato il comunismo come andavano le cose? Eh già, perché lì comunismo c’è
stato davvero, come provano le bandiere rosse e la statalizzazione delle
fabbriche e dell’agricoltura. E del resto basta leggere Marx ed Engels per
farsi l’idea che quello era proprio il comunismo come lo avevano profetizzato e
descritto loro.
E poi, parliamoci chiaro, la massa
è incapace di afferrare, sia pure mediante intuizioni grossolane, concetti come
socialismo e comunismo, la loro naturale predisposizione è portata
istintivamente all’utilitarismo individualistico. Li vedi in coda per l’iphone
ultimo grido? Lasciamo perciò perdere certi discorsi ottimistici sulla natura
umana, smettiamola con la fola del proletariato evoluto e cosciente. E poi il
loro livello culturale è fatto di ristrette conoscenze professionali, quando va
bene, e un’infarinatura raffazzonata di disordinate letture. La cultura, quella
vera, è una creazione d’élite, le masse non c’entrano nulla.
La vita delle masse è schiavitù da
sempre, riversa nei risentimenti di classe e nei grossolani piaceri della
sopravvivenza, volta ad ingrassare il cadavere; dove vedete la volontà di
vivere che crei una necessità interiore diversa, la necessità di un mondo
nuovo? Solo nei filosofi e nelle anime belle. C’è solo bisogno di un’ideologia
adeguata allo sforzo richiesto, un pensiero coerente con questo tipo di
economia, un approccio mediatico che giudichi le “disarmonie” sociali come
inevitabile gioco delle variabili sociali. E soprattutto abbiamo bisogno di dare
alle masse delle guide carismatiche nelle quali riporre le loro speranze,
elette democraticamente con il voto ma anche no. Ma non divaghiamo.
Quando andiamo al ristorante è
difficile trovare un tavolo libero, e sui “freccia” devi prenotare tre mesi
prima, e … . Insomma, lasciateci godere in pace il nostro benessere, non
rompete il cazzo con gli sfigati che non ce la fanno a pagare l’affitto o la
bolletta della luce. S’arrangiassero con le candele.
Sarà per questo generale
disinteresse che i dati pubblicati ieri dall’Istat sulla povertà in Italia
trovano oggi posto sul Corriere solo
a pagina 13 e in un angolino basso. Il 28,4% degli italiani (dati 2013) è “a
rischio di povertà o di esclusione sociale”, in pratica 17 milioni su 60.
Guardiamo il bicchiere dalla parte piena: 43 milioni riescono ancora a
sfangarla e qualche milione se la passa addirittura da dio. Se poi il 46,2 di
questi sfigati sta al Sud, sappiamo bene che lì non hanno voglia di lavorare,
sono indolenti. La Coldiretti c’informa che sono ormai 4 milioni le persone
gli sfigati che hanno chiesto aiuto per mangiare. Però di gente che muore di
fame lungo le strade ancora non se ne vede, e ciò vuol dire che il sistema dopotutto
regge.
*
Se date un occhio ai titoli di
Borsa vedrete che essi hanno recuperato, per il momento, alla grande rispetto
al 2008. A vedere l’indice dei titoli parrebbe che le misure economiche
adottate dai governi abbiano prodotto dei risultati positivi. E però per
giudicare il livello di sviluppo e di democrazia di una società vi sono tre
parametri sicuri di riferimento: il tasso di disoccupazione, le condizioni di
vita dei bambini e quelle degli anziani. Sempre che non consideriate queste
piaghe sociali un castigo divino o l’ineluttabile conseguenza che la fortuna
arride ai meritevoli.
Anche se la ricchezza dei
super-ricchi continua a salire, molte decine di milioni di persone rimangono
senza lavoro in Nord America, Europa e Giappone. I salari continuano a cadere, i
servizi sociali sono tagliati, specie l’assistenza agli anziani e ai portatori
di handicap, la povertà infantile continua ad aumentare. Non vi sono risorse
per gli alimenti, la casa o l’educazione dei bambini, però non sono lesinate somme
gigantesche per le banche e le loro speculazioni.
Il numero di bambini in condizioni
di povertà nei paesi a capitalismo maturo è aumentato di 2,6 milioni dal 2008,
secondo un rapporto pubblicato martedì dal Fondo delle Nazioni Unite per
l'Infanzia (UNICEF). Il rapporto, intitolato I bambini della recessione, afferma che ci sono 76,5 milioni di
bambini in povertà nei 41 paesi considerati dal report. In oltre la metà di questi
paesi la povertà è aumentata dal 2008, ed è aumentata in 34 paesi su 50.
Lo studio documenta l'impatto
devastante della crisi e delle misure di austerità hanno avuto sulla vita dei
bambini, e rende chiaro che, nonostante le proclamazioni ufficiali di ripresa
economica, ad essere colpite di più sono le fasce sociali più vulnerabili. Tra
il 2008 e il 2013, il tasso di povertà infantile è aumentato di 2 punti
percentuali negli Stati Uniti e di 3 punti percentuali in Francia. In Spagna il
tasso di povertà infantile è cresciuta di 8 punti; in Irlanda, Croazia,
Lettonia, Grecia e Islanda, i tassi di povertà infantile sono aumentati di
oltre il 50 per cento. Italia, Ungheria e Portogallo hanno perso 8 punti di
reddito. E stiamo parlando di una soglia sotto il 60 per cento del reddito
medio.
La relazione rileva che, “un
numero crescente di bambini e le loro famiglie hanno avuto difficoltà nel
soddisfare i bisogni materiali di base”.
Aggiunge che “i tassi di disoccupazione raggiunti non si vedevano dai
tempi della Grande Depressione del 1930, per cui molte famiglie non sono in
grado di fornire la cura, la protezione e le opportunità di cui i bambini hanno
diritto”.
Dal 2008, la quota di famiglie con
i bambini che non sono in grado di permettersi un pasto con carne, pollo o
pesce ogni due giorni è più che raddoppiato in Estonia, Grecia, Islanda e
Italia. È un effetto collaterale delle magnifiche sorti e progressive del
capitalismo. Poi ti danno del reazionario se non ti allinei col loro cinismo,
se non concordi con le politiche di “riforma”.
Recentemente un mio amico tedesco mi ha detto che kohl, cancelliere tedesco, sosteneva che "se il 51% delle persone stanno bene , questa è democrazia".
RispondiEliminaOra le SPA non si controllano più con il 51% ma, con vari stratagemmi finanziari, basta il 30% e a volte anche meno.
Questo sembra essere il destino speculare del sistema democratico borghese. Basta che una parte stia abbastanza bene (e naturalmente loro, i pochi, benissimo, come dicono tutte le statistiche) e il potere è garantito.
E più crescono i trucchi equivalenti a quelli finanziari (soprattutto media e, quando non bastano più, sceneggiature varie a base di bombe, mafie, pericoli vari di guerre, malattie, immigrazioni bibliche, etc.) più diminuisce la percentuale di benessere medio necessaria "a fare quel cazzo che vogliono" (ti cito :-).
ciao,g
Grazie.
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