Stiamo sperimentando, non da oggi
per la verità, quanto sia pervasivo e totalitario il dominio del capitale. Fa
tenerezza (non voglio usare un’altra espressione) sentir minacciare il
segretario della Fiom, l’unico pezzo di sindacato ancor oggi esistente, di
voler occupare le fabbriche. Ha ragione la stampa reazionaria, dunque tutta quanta,
a richiamarlo alla realtà. Di quali fabbriche stiamo parlando? La vera forza
sta in quel 40 e oltre per cento di giovani disoccupati dei quali il sindacato
non si è occupato (o poco), una generazione, e anche due, di giovani e meno
giovani smarriti e rincoglioniti, abbandonati da un sindacato che ha curato
l’orticello e da un partito estinto e sostituito da un cartello elettorale. Del
resto, si è detto e ripetuto che la sconfitta è stata bruciante. Una sconfitta
che era già nelle premesse, bastava leggere e far tesoro di un opuscolo scritto
oltre 160 anni or sono e “destinato alla pubblicità”, cioè al proselitismo, un Manifesto appunto, la cui potenza
analitica e validità premonitrice possiamo verificare ancor oggi. Non si
chiedeva quindi un grande sforzo teorico per comprendere come barriere
nazionali, formazioni politiche, cartelli sindacali, eccetera, avrebbero
costituito solo una fase, poiché il
capitale “non può esistere senza
rivoluzionare di continuo gli strumenti della produzione, quindi i rapporti di
produzione, quindi tutto l’insieme dei rapporti sociali”.
Precisavano, Marx e Engels, in
tale opuscolo destinato agli operai e proletari del 1848:
Il continuo rivoluzionamento della produzione,
l'ininterrotto scuotimento di tutte le situazioni sociali, l'incertezza e il
movimento eterni contraddistinguono l'epoca dei borghesi fra tutte le epoche
precedenti. Si dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, con il loro
seguito di idee e di concetti antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti
nuovi invecchiano prima di potersi fissare. Si volatilizza tutto ciò che vi era
di corporativo e di stabile, è profanata ogni cosa sacra, e gli uomini sono
finalmente costretti a guardare con occhio disincantato la propria posizione e
i propri reciproci rapporti.
Il bisogno di
uno smercio sempre più esteso per i suoi prodotti sospinge la borghesia a
percorrere tutto il globo terrestre. Dappertutto deve annidarsi, dappertutto
deve costruire le sue basi, dappertutto deve creare relazioni.
Con lo
sfruttamento del mercato mondiale la borghesia ha dato un'impronta
cosmopolitica alla produzione e al consumo di tutti i paesi. Ha tolto di sotto
i piedi dell'industria il suo terreno nazionale, con gran rammarico dei
reazionari. Le antichissime industrie nazionali sono state distrutte, e ancora
adesso vengono distrutte ogni giorno. Vengono soppiantate da industrie nuove,
la cui introduzione diventa questione di vita o di morte per tutte le nazioni
civili, da industrie che non lavorano più soltanto le materie prime del luogo,
ma delle zone più remote, e i cui prodotti non vengono consumati solo dal paese
stesso, ma anche in tutte le parti del mondo. Ai vecchi bisogni, soddisfatti
con i prodotti del paese, subentrano bisogni nuovi, che per essere soddisfatti
esigono i prodotti dei paesi e dei climi più lontani. All'antica
autosufficienza e all'antico isolamento locali e nazionali subentra uno scambio
universale, una interdipendenza universale fra le nazioni. E come per la
produzione materiale, così per quella intellettuale. I prodotti intellettuali
delle singole nazioni divengono bene comune. L'unilateralità e la ristrettezza
nazionali divengono sempre più impossibili, e dalle molte letterature nazionali
e locali si forma una letteratura mondiale.
Con il rapido
miglioramento di tutti gli strumenti di produzione, con le comunicazioni
infinitamente agevolate, la borghesia trascina nella civiltà tutte le nazioni,
anche le più barbare. I bassi prezzi delle sue merci sono l'artiglieria pesante
con la quale spiana tutte le muraglie cinesi, con la quale costringe alla
capitolazione la più tenace xenofobia dei barbari. Costringe tutte le nazioni
ad adottare il sistema di produzione della borghesia, se non vogliono andare in
rovina, le costringe ad introdurre in casa loro la cosiddetta civiltà, cioè a
diventare borghesi. In una parola: essa si crea un mondo a propria immagine e
somiglianza.
166 anni fa!
Tra l’altro, nella prefazione
tedesca al Manifesto del partito
comunista, scritta quasi mezzo secolo dopo, Engels spiegò il motivo per il
quale “quando vide la luce non avremmo potuto intitolarlo manifesto socialista”. Sono per certi aspetti gli
stessi motivi per i quali oggi le residue formazioni politiche, in qualche modo
di sinistra, rifiutano il termine comunista.
Un termine che richiama subito esperienze del 900 che vogliamo lasciarci alle
spalle, come, del resto e per contro, il termine socialdemocratico. E tuttavia ciò è un ottimo escamotage non solo
per rinunciare a quel nome, ma per gettare in un fosso il lascito teorico di
Marx ed Engels, senza il quale il proletariato non può avere coscienza della
propria condizione e della propria liberazione.
Interessantissimo post, come al solito. Complimenti.
RispondiEliminagrazie, come al solito.
Eliminail capitale “non può esistere senza rivoluzionare di continuo gli strumenti della produzione, quindi i rapporti di produzione, quindi tutto l’insieme dei rapporti sociali”.
RispondiEliminaCiao Olympe. Vorrei che tu mi spiegassi meglio cosa significa "rivoluzionare di continuo gli strumenti della produzione, quindi i rapporti di produzione, quindi tutto l’insieme dei rapporti sociali", possibilmente, facendo degli esempi.
Ciao, Franco.
caro Franco, il Manifesto si legge in un'oretta, non è per nulla tedioso, è scritto in modo chiarissimo, e lì potrai trovare le risposte che cerchi. molti saluti
EliminaL'ho già letto Olympe (tre volte), così mi offendi!
EliminaE' solo che non capisco il "rivoluzionare gli strumenti della produzione" e quindi i rapporti di produzione cosa significhi precisamente ( ma forse l'intuisco).
I rapporti di produzione, non sono dati dal possesso dei mezzi di produzione da un lato (quindi capitale), e dall'altro lato chi vende la sua forza-lavoro sul mercato dei possessori dei mezzi di produzione, di vita? (quindi il Lavoro).
Questo rapporto, che è un rapporto sociale, è rimasto invariato, ma per strumenti della produzione (che vengono continuamente rivoluzionati) si deve intendere prima l'artigianato ad esempio poi la manifattura, poi la moderna industria, ecc.?
Ti ringrazio per la risposta, che sono certo mi darai.
Franco.
ti chiedo scusa, veramente. è esatta la tua interpretazione sugli strumenti di produzione. molto bene anche il resto: i rapporti di proprietà dei mezzi di produzione sono, tra i rapporti di produzione, quelli essenziali poiché da essi dipende la forma di tutti gli altri.
Eliminabravo, dico seriamente. ciao