A me piace leggere gli articoli
che ogni tanto i padroni scrivono sui loro giornali, o sui giornali padronali
della porta accanto. Carlo De Benedetti ne ha scritto uno per il quotidiano
semiclandestino Il Foglio, dove dice
le solite cose banali e spara numeri al lotto (l’Italia avrebbe “il 20 per
cento del debito mondiale”).
Anzitutto scopre che il mondo non
è più quello del 1992; se si fosse spinto appena un po’ più in là avrebbe
scoperto che nemmeno il mondo del 1992 era più quello di appena tre o quattro
anni prima. Poi c’informa, caso mai ci fossimo distratti, che l’Europa è in
stagnazione e deflazione, rilevando che «i
paesi cosiddetti periferici sono in una vera e propria trappola, stretti tra la
moneta unica e la loro scarsa competitività: per guadagnare forza competitiva
rispetto ai Paesi “core”, infatti, non potendo svalutare, devono tenere salari
e prezzi a livelli molto bassi».
Non c’era bisogno di sentirselo
ripetere. Quindi aggiunge: «E’ da sette
anni così che non riusciamo a uscire da una crisi economica che sta sfinendo il
nostro tessuto sociale. Non muoviamo un passo. E’ una crisi che abbiamo
importato proprio dagli Stati Uniti, ma loro hanno reagito subito e sono
tornati a crescere, noi europei ci siamo invece avvitati in un dogmatismo di regole
superate e nella storica paura tedesca dell’inflazione. Il Trattato di
Maastricht risale ormai alla preistoria».
Gli Stati Uniti hanno reagito
stampando moneta, cosa che s’è fatta, in parte, anche in Europa ma per
finanziare le banche (come del resto negli Usa). Non mi pare che gli Usa siano usciti dalla crisi, ma anche questa è opinione. Ma come
se ne esce da questa spirale deflazione-recessione? De Benedetti ovviamente ha
la sua ricetta e la comunica a qualche migliaio di lettori del Foglio che non aspettavano altro: solo “modificano in modo netto la consumer
behavior e le consumer expectations. Senza la fiducia in una svolta, e nella
convinzione che i prezzi caleranno di mese in mese, gli italiani continueranno
a rinviare le loro scelte di acquisto”.
Ogni analisi e ogni ricetta è
sempre e comunque rivolta alla circolazione, mai alla produzione e alle sue
contraddizioni. Per uscire dalla deflazione-recessione bisogna aumentare i
consumi, agire sulla consumer behavior, ossia sulla mentalità del consumatore,
e sulla consumer expectations, dunque sempre sul lato psicologico del
consumatore, il quale, sia ben chiaro, non spende e spande perché non ha
fiducia nella svolta e nella convinzione che i prezzi non caleranno di mese in
mese.
Perciò, cari lettori del blog, se voi al 30 di ottobre mostrare una certa ritrosia all'acquisto, ciò non accade perché state contando mentalmente o con l’ausilio
di un pallottoliere quanti giorni mancano allo stipendio, ma perché non siete abbastanza motivati,
ostinatamente convinti che per il momento sia meglio tenere i vostri soldini
sotto il materasso.
È con questo scialo d’inglesismi
che i padroni spiegano il perché e il percome della crisi, quando bastava dire, facendo un
discorso un po’ più onesto e realistico, che l'Italia ha perso parte della sua struttura produttiva per il fatto che il capitale ha come orizzonte
geoeconomico il mondo, e come scopo il profitto … eccetera.
La deriva del "pensiero" economico borghese.
RispondiEliminaUna volta, almeno, parlavano di "propensione marginale al consumo", sforzandosi almeno di mettere in relazione quest'ultimo con il reddito.
Ora manco quello, tutta vuota ed insulsa psicologia.
Un po' come gli "economisti" che parlano di "finanza più etica", "capitalismo dal volto umano", e via discorrendo.
Nota a margine: ce la stanno mettendo tutta per venderci la favola degli USA in ripresa. Anche Rampini di Repubblica, ieri ad una trasmissione di Rai3, cantava la stessa solfa.
E non potevo fare a meno di pensare a quei 48 milioni di individui di cui parlava lei qualche post fa.
Alla prossima bolla.
Saluti
questi qui hanno un'altra propensione e non è marginale
Eliminaciao
sei di una chiarezza disarmante . Grazie Olympe
RispondiEliminaUltimamente sento fare l'esempio della Svizzera come soluzione ai problemi occidentali, federalismo, democrazia diretta, neutralità...e libertà di licenziamento. Parrebbe per la vulgata che li hanno risolti tutti (se stanno così bene chissà perché poi fanno referendum tipo quello sui lavoratori stranieri come i transfrontalieri italiani).
RispondiEliminaChe ne pensate?
Saluti,
Carlo.
importiamo senza indugi il modello, e anche qualche amministratore col cucù incorporato
EliminaUn intelligente commento scovato nel web: Questo il verbo: "stimoliamo i consumi per favorire la ripresa economica". Ma quanto c'è di vero in tutto questo? Lo stato "trasferisce" (lasciatemela passare) risorse nelle tasche dei cittadini e questi che cosa consumano? Qualcuno ha provato a disaggregare la domanda? Se i soldi finiscono per la maggior parte nell'acquisto di beni prodotti in Cina, in India o in Bangladesh, beni che dovranno essere importati, quali effetti potranno essere ottenuti in termini di occupazione e lavoro nel nostro paese? Forse ne potranno trarre qualche beneficio gli intermediari, coloro che vivono di capitale commerciale, capitale che non produce un bel niente. Improduttivo. E quanta parte di questi danari finiranno nel pagamento di debiti precedentemente accesi? Non è che alla fine la bilancia commerciale peggiora invece di migliorare? Quanti accantonamenti di merci e mezzi di produzione invenduti occorrerà smaltire prima che si possa immaginare un qualche effetto visibile in italia?
RispondiEliminaDiciamo pure che questi 80 denari serviranno a poco, giusto a prendere qualche voto in più da qui al 2018 sempre che non si finisca in bancarotta nel frattempo.
la riflessione parte da un presupposto non peregrino, ed non è un caso però che nel post accenni alla struttura produttiva. infatti poi il post sarebbe proseguito su questo tema se non l'avessi tagliato per i soliti motivi che ... leggere stanca. grazie del commento
Elimina