Il mondo è cambiato, grida
Renzi Matteo dallo stesso palcoscenico in cui uno speculatore finanziario e suo
finanziatore afferma che lo sciopero non deve più essere un diritto. E lo fa, Renzi,
per giustificare la sua politica economica estremista, d’impronta reazionaria.
Il mondo è cambiato, dice, ma a me personalmente non convince, poiché si tratta
pur sempre di quello stesso vecchio mondo capitalistico di prima, le cui
contraddizioni si vanno divaricando in modo estremo sotto l’incalzare della
crisi dalla quale non c’è uscita per le vie ordinarie.
La contraddizione fondamentale,
dalla quale dipartono tutte le altre, quella che verrebbe agli occhi se ci
fosse permesso vedere il mondo per quello che è e non per come viene illustrato,
riguarda il fondamento della società borghese – e perciò è una contraddizione
per nulla nuova –, ossia quella fra il carattere
sociale della produzione e l’appropriazione privata della ricchezza
prodotta.
Non è questione teorica come
dicono i reazionari e ripetono gli idioti, bensì è questione pratica e che ci
riguarda direttamente e immediatamente in ogni momento della nostra vita. Il
frutto del lavoro viene accumulato e goduto da una cerchia sempre più ristretta
di persone, come confermano viepiù le statistiche, e ciò non solo crea sfruttamento,
disuguaglianze e squilibri di ogni genere, ossia tutte cose che si sapevano fin
dall’epoca di Lucrezio e anzi ben prima.
Ora noi sappiamo, tra l’altro, che ciò
costituisce nel modo di produzione capitalistico il motivo e l’origine della crisi.
E, a un dato momento del suo sviluppo, ciò non è solo il motivo e l’origine
delle crisi di ciclo del capitalismo, ma della sua crisi storica generale. E
dunque si tratta, per chi è interessato prenderne visione in dettaglio (anche
algebrico, se vuole, monsieur Piketty), di una questione fondata
scientificamente e non più solo da un punto di vista morale e di giustizia
sociale. E non si tratta nemmeno di proporre soluzioni temporanee per far
quadrare il cerchio capitalistico, signor Gallino, ma di prendere atto di una tendenza storica.
Noi vediamo che ogni politica
economica e monetaria posta in atto dai governi non produce alcun effetto
strutturale sulle cause della crisi, posto che queste cause sono eluse e spesso
confuse, per motivi ideologici a coperchio di ben concreti interessi di classe,
con gli effetti. Si vuole, per esempio, favorire, attraverso i consumi di
massa, la crescita economica, agendo però in parte sulla fiscalità generale e
dall’altro lato sulle riserve salariali accantonate per la vecchiaia e simili.
In tal modo si rimescola nella stessa pentola, si ridistribuisce la miseria,
senza attingere ai profitti, alla ricchezza cospicua. Ben sapendo, da un lato,
che i profitti non si possono toccare, altrimenti i capitali vanno altrove, e,
dall’altro, che l’evasione fiscale costituisce lo zoccolo duro del consenso
elettorale.
Un’altra bella e forte
contraddizione del vecchio così come del nuovo capitalismo è data dalla
disoccupazione. Lo sviluppo tecnologico espelle manodopera, una vecchia storia
che però ora ha assunto un carattere particolarmente marcato e irreversibile. E
quali sono le ricette messe in campo dal riformismo di ogni colore politico?
Decine di tipologie di contratto, precarizzazione a manetta e smantellamento delle
tutele, poiché dobbiamo diventare compatibili con la forza-lavoro di quei paesi
che solo ora incominciano ad uscire dal medioevo. Dobbiamo cedere loro una
parte della nostra “opulenza”, ha scoperto Scalfari, ossia ridurre i salari per
ingrassare i profitti. È anche questa la vecchia storia dello sviluppo ineguale
di cui sa bene approfittare il capitale (*).
Insomma, non vedo nulla di
nuovo se non il vecchio squadrismo sotto nuove spoglie. Quello squadrismo che
ora sta randellando di santa ragione la vecchia guardia riformista che credeva
di poter cavalcare a piacimento il neoliberismo. La borghesia non sa più cosa
farsene di queste vecchie cariatidi liberaloidi. Anche questa una storia
ampiamente vista, alla nausea.
(*) In questi giorni gli
scioperi non riguardano solo alcuni paesi del nord Europa, ma si fanno sentire
pesanti anche in Serbia, laddove agli operai si raccontano le stesse
barzellette di qui.
E tu vuoi chiudere questo blog Olympe? Senza le tue bordate giornaliere, come faremmo?
RispondiEliminaCiao, Franco.
e senza il tuo sostegno dove andrei?
EliminaTroppo buono (ironia).
Eliminaquando lo spettacolo termina e inizia il deflusso sembra che nessuno possa fare a meno di recitare la propria parte nella vita reale. La stima verso la borghesia classe rivoluzionaria diventa disprezzo nel momento in cui questa non recita più la propria parte reale, ma continua a replicare un film stravisto; nel momento in cui scavalca (sempre a destra) le proprie istituzioni, dal parlamento al lavoro salariato.
RispondiEliminaRecitare la propria parte, conquistata sgozzando sul palco i propri vecchi alleati, significa anche orchestrare dissensi. Qui invece sembra non essercene consapevolezza e si va verso un grande consenso bello idiota che è come quello di una fase finale di dittatura. Forse qualcuno non ha preso atto per tempo che si è era sotto dittatura giacché questa oppressione non riguardava direttametne la propria pensione? ecc ecc. Ma il movimento rivoluzionario non può non esigere un nemico di classe degno da odiare. Invece, specie in Italia, pur giocando al capitalismo, pur maturando profitti spaventosi sfruttando selvaggiamente, prevale l'indegnità di forme, di metodo, di sostanza, da cui, l'attuale governo idiota.
La borghesia italiana non riesce nemmeno a porre delle questioni liberali: né sui diritti civili, né su patrimoniali, né su imposte di successione, niente sui conflitti d'interessi. Che questi provvedimenti liberali classici - in uso in tutti i paesi capitalisti - siano lasciati alle rivendicazioni dei sindacati la dice lunga sulla borghesia italiana. A mio avviso si è ancora in una situazione da russia zarista.
eravamo, siamo e resteremo mera espressione geografica
Eliminal'italia è solo un'espressione del classismo.
Eliminastoricamente è il laboratorio del peggio in europa.