domenica 31 ottobre 2021

La Juve ha perso di nuovo


La Conference of Parties (COP26), summit internazionale sul clima, che si apre oggi a Glasgow, è considerata dagli inguaribili ottimisti come “l’ultima possibilità”. Nella migliore delle ipotesi porterà a un ennesimo accordo, un altro protocollo, che nessuno rispetterà, come i precedenti.

Quello che c’è di buono con la COP è che i partecipanti viaggiano: da Berlino a Marrakech, da Kyoto a Madrid, da Bali a Parigi, da Cancun a Copenaghen, da Pechino a Vattelappesca. E alloggiano in ottimi alberghi, fanno nuove conoscenze e intrecciano relazioni. Non ricordo come si chiama ‘sta roba in inglese, ma dalle mie parti si dice “far buseta e botton a sbafo”.

Le Conference of Parties si svolgono una volta l’anno, spesso nelle suggestioni d’autunno. Le chiacchiere, che chiamano lavori, occupano lo spazio mediatico per alcuni giorni, prima di svanire nel dimenticatoio fino alla successiva rimpatriata. Nel frattempo, gli eventi climatici estremi aumentano: incendi, inondazioni, siccità, ecc.. Si accolgono con favore i pochi timidi avanzamenti che portano a un accordo – come a Kyoto e a Parigi – o che finiscono in un fiasco – come a Copenaghen nel 2009 – ma tutto ciò non cambia in definitiva il corso degli eventi climatici.

Quasi trent’anni di conferenze, di attese sul clima, di accordi firmati e non ratificati, di “vittorie storiche”, di “ultime possibilità”, di “abbiamo salvato il pianeta”, di neolingua piena di sigle e arroganza. Tutto basato sul “principio di comuni ma differenziate responsabilità”, tenuto conto, leggo, delle “contrapposizioni molto profonde, [che] non sembra possibile riconciliarle in seno alle Nazioni Unite al momento”. Vuol dire in sostanza che ognuno poi fa un po’ come gli pare e viene.

Se poi, mentre le portaerei solcano il Mar Cinese, sentite parlare di “nuovi modelli di governance globale”, allora potete star sicuri che stanno studiando il modo per metterselo in culo (si può dire?) l’un l’altro.

Dal 1995, data ufficiale della prima COP, a Berlino, a quella di Glasgow, sono passati più di venticinque anni. Bilancio? Secondo l’ultima valutazione delle Nazioni Unite, pubblicata a metà settembre, il mondo si sta sicuramente avviando verso il riscaldamento catastrofico di 2,7°C entro la fine del secolo, mentre si vuole a tutti i costi favorire lo “sviluppo sostenibile” entro le coordinate predatorie del capitalismo, vale a dire di un modo di produzione che ha come scopo precipuo, anzi assoluto, il profitto. Intanto la mano invisibile (?) del mercato accarezza le zone erogene di apologeti e azionisti, e l’altra mano (questa sì più invisibile) riempie i loro portafogli.

Spendono somme enormi in attività di lobbying e comunicazione per trasformare la crisi climatica in una “opportunità”. La comunicazione è centrale nella strategia di marketing, ovvio. Punta a modificare intimamente il modo in cui parliamo, pensiamo e sogniamo, per essere pronti a credere a qualsiasi cosa, a ingoiare qualsiasi schifezza e credere a ogni sciocchezza. Fanno quello che vogliono, ci svuotano il cervello e il portafoglio. Soprattutto ti fanno credere, mentre stai affogando, che non può esistere mondo migliore di questo, che il peggio del capitalismo è sempre meglio di qualsiasi alternativa che non contempli il ruolo centrale e assoluto del capitale.

In breve, abbiamo molto di cui aver paura. E anche la paura fa parte del loro gioco. Il capitalismo forse durerà fino alla catastrofe senza ritorno, ma noi, chi ci salverà? Senza un radicale cambiamento della nostra società, che non riguardi solo la redistribuzione della ricchezza ma il modo in cui è prodotta, la cosiddetta “transizione ecologica” non avrà alcun effetto pratico né sull’inquinamento né su questioni d’ordine sociale. 

13 commenti:

  1. E anche oggi ti si vuole un po' più di bene. ❤️
    Marco

    RispondiElimina
  2. "Senza un radicale cambiamento della nostra società, che non riguardi solo la redistribuzione della ricchezza ma il modo in cui è prodotta, la cosiddetta “transizione ecologica” non avrà alcun effetto pratico né sull’inquinamento né su questioni d’ordine sociale."

    Una domanda molto semplice per lei Olympe: Chi se farà carico di questo radicale cambiamento, chi?

    Saluti

    RispondiElimina
    Risposte
    1. non voglio eludere la tua domanda, ma la risposta non può venire da me o da chiunque altro. non ho ricette per l'osteria dell'avvenire.

      http://diciottobrumaio.blogspot.com/2019/05/blog-post.html

      Elimina
  3. Splendido post (a partire dal titolo) :).
    In Asia c'è una situazione che definirla esplosiva è un eufemismo. I Cinesi pianificano il modo migliore di poter invadere Taiwan (dando per scontato che presto o tardi arriverà il momento). Gli Stati Uniti stanno pensando da tempo a come fare per rispondere nel migliore dei modi. E nel frattempo mobilitano tutte le potenze regionali per fare da cordone intorno alla Cina. Il Giappone "pacifista" si riarma ormai quasi alla luce del sole senza farne mistero. E poi India, Russia, Corea, Australia e tutti i Paesi della regione. Ce n'è abbastanza per cancellare la vita umana dal pianeta se le cose vanno fuori controllo. Sui media nostrani non c'è traccia alcuna degli scenari globali che si vanno formando. Se venisse lanciata una bomba nucleare su qualche metropoli italiana, allora forse si comincerebbe a parlare di politica internazionale. Ma anche in quel caso sarebbe la seconda o la terza notizia. Dopo il covid e il posticipo del campionato...

    RispondiElimina
  4. Hai dimenticato la foto di gruppo dei leaders mentre buttano la monetina di spalle alla fontana di trevi a Roma. E cosi che i desideri si realizzano, lo sanno bene i turisti ...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Vero, li ho visti. Senza vergogna, più noi che loro, gli facciamo da ciceroni e camerieri

      Elimina
  5. L'uomo devasta ecosistemi ed estingue continuamente specie dal paleolitico; le vicende dell'isola di Pasqua sono esemplificative al riguardo. Il capitalismo è solo drammaticamente più sistematico nel processo di impoverimento dell'ambiente per fornire beni effimeri agli umani. Noi non abbiamo soluzioni perché siamo un problema per noi stessi. D'altronde è assolutamente indifferente che la vita continui sulla Terra o che noi indirizziamo il pianeta ad un destino analogo a quello di Marte.
    (Peppe)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. non abbiamo soluzioni perché siamo un problema per noi stessi, dunque è ineluttabile? siamo come una colonia di topi?

      Elimina
    2. Il fatto è che siamo una specie spiccatamente tecnologica, non potremmo vivere senza sviluppare delle tecnologie che ci diano un miope vantaggio evolutivo. Nessuna colonia di topi, o di altri animali infestanti ai nostri occhi, sarebbe in grado di trovare in pochi mesi un rimedio ad una nuova malattia che l'affligge; ma il rovescio della medaglia è che il successo sulla pandemia, un riequilibratore naturale di una specie sovrabbondante come la nostra, ci rafforzerà nella convinzione che possiamo procedere tranquillamente secondo il nostro modello di vita, quello della crescita indefinita su basi tecnologiche. Non so se esistano modelli ecologisti alternativi, plausibili e soprattutto concreti; non mi meraviglierei se le classi egemoni promuovessero prima o poi l'ecofascismo.
      Se non ricordo male Nietzsche sostenne che "L'intelligenza umana è un istinto non ancora fissato". Mi auguro che saremo in grado di darci il tempo di fissare questa nostra peculiarità.
      (Peppe)

      Elimina
    3. Caro Peppe, io concordo, ma non sul fatto che l'intelligenza umana sia un istinto. proprio perché non è un istinto e basta dovremmo trovare il modo di vivere tenendo conto dell'insieme nel quale siamo inseriti.

      Elimina