Càpita che ci voglia molto coraggio per continuare a
vivere, ma c’è ne vuole molto di più per farla finita a trent’anni. Michele
disse basta nel gennaio dell’anno scorso. Lasciò una lettera che i suoi
genitori trasmisero al Messaggero Veneto
che la pubblicò il 7 febbraio. Fece molto scalpore. Ne parlarono diffusamente
alla radio, alla televisione, sui social e tutti i quotidiani. Compreso il Corriere della sera che censurò il
riferimento al ministro Poletti.
Dopo qualche giorno tutto tacque. Nessuno ne accennò
più. La società dello spettacolo, come disse quell’ubriacone di francese, aveva
prevalso ancora una volta. Rileggiamo la lettera:
Ho vissuto
(male) per trent'anni, qualcuno dirà che è troppo poco. Quel qualcuno non è in
grado di stabilire quali sono i limiti di sopportazione, perché sono
soggettivi, non oggettivi.
Ho cercato
di essere una brava persona, ho commessi molti errori, ho fatto molti
tentativi, ho cercato di darmi un senso e uno scopo usando le mie risorse, di
fare del malessere un'arte.
Ma le
domande non finiscono mai, e io di sentirne sono stufo. E sono stufo anche di
pormene. Sono stufo di fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche,
stufo di colloqui di lavoro come grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti
e desideri per l'altro genere (che evidentemente non ha bisogno di me), stufo
di invidiare, stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare
la mia esistenza senza averla determinata, stufo di dover rispondere alle
aspettative di tutti senza aver mai visto soddisfatte le mie, stufo di fare
buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di illudermi, di essere preso
in giro, di essere messo da parte e di sentirmi dire che la sensibilità è una
grande qualità.
Tutte balle.
Se la sensibilità fosse davvero una grande qualità, sarebbe oggetto di ricerca.
Non lo è mai stata e mai lo sarà, perché questa è la realtà sbagliata, è una
dimensione dove conta la praticità che non premia i talenti, le alternative,
sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni e qualunque cosa non si possa
inquadrare nella cosiddetta normalità. Non la posso riconoscere come mia.
Da questa
realtà non si può pretendere niente. Non si può pretendere un lavoro, non si
può pretendere di essere amati, non si possono pretendere riconoscimenti, non
si può pretendere di pretendere la sicurezza, non si può pretendere un ambiente
stabile.
A
quest'ultimo proposito, le cose per voi si metteranno talmente male che tra un
po' non potrete pretendere nemmeno cibo, elettricità o acqua corrente, ma
ovviamente non è più un mio problema. Il futuro sarà un disastro a cui non
voglio assistere, e nemmeno partecipare. Buona fortuna a chi se la sente di
affrontarlo.
Non è
assolutamente questo il mondo che mi doveva essere consegnato, e nessuno mi può
costringere a continuare a farne parte. È un incubo di problemi, privo di
identità, privo di garanzie, privo di punti di riferimento, e privo ormai anche
di prospettive.
Non ci sono
le condizioni per impormi, e io non ho i poteri o i mezzi per crearle. Non sono
rappresentato da niente di ciò che vedo e non gli attribuisco nessun senso: io
non c'entro nulla con tutto questo. Non posso passare la vita a combattere solo
per sopravvivere, per avere lo spazio che sarebbe dovuto, o quello che spetta
di diritto, cercando di cavare il meglio dal peggio che si sia mai visto per
avere il minimo possibile. Io non me ne faccio niente del minimo, volevo il
massimo, ma il massimo non è a mia disposizione.
Di no come
risposta non si vive, di no si muore, e non c'è mai stato posto qui per ciò che
volevo, quindi in realtà, non sono mai esistito. Io non ho tradito, io mi sento
tradito, da un'epoca che si permette di accantonarmi, invece di accogliermi
come sarebbe suo dovere fare.
Lo stato
generale delle cose per me è inaccettabile, non intendo più farmene carico e
penso che sia giusto che ogni tanto qualcuno ricordi a tutti che siamo liberi,
che esiste l'alternativa al soffrire: smettere. Se vivere non può essere un
piacere, allora non può nemmeno diventare un obbligo, e io l'ho dimostrato. Mi
rendo conto di fare del male e di darvi un enorme dolore, ma la mia rabbia
ormai è tale che se non faccio questo, finirà ancora peggio, e di altro odio
non c'è davvero bisogno.
Sono entrato
in questo mondo da persona libera, e da persona libera ne sono uscito, perché
non mi piaceva nemmeno un po'. Basta con le ipocrisie.
Non mi
faccio ricattare dal fatto che è l'unico possibile, il modello unico non
funziona. Siete voi che fate i conti con me, non io con voi. Io sono un
anticonformista, da sempre, e ho il diritto di dire ciò che penso, di fare la
mia scelta, a qualsiasi costo. Non esiste niente che non si possa separare, la
morte è solo lo strumento. Il libero arbitrio obbedisce all'individuo, non ai
comodi degli altri.
Io lo so che
questa cosa vi sembra una follia, ma non lo è. È solo delusione. Mi è passata
la voglia: non qui e non ora. Non posso imporre la mia essenza, ma la mia
assenza si, e il nulla assoluto è sempre meglio di un tutto dove non puoi
essere felice facendo il tuo destino.
Perdonatemi,
mamma e papà, se potete, ma ora sono di nuovo a casa. Sto bene.
Dentro di me
non c'era caos. Dentro di me c'era ordine. Questa generazione si vendica di un
furto, il furto della felicità. Chiedo scusa a tutti i miei amici. Non
odiatemi. Grazie per i bei momenti insieme, siete tutti migliori di me. Questo
non è un insulto alle mie origini, ma un'accusa di alto tradimento.
P.S.
Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi stronzi. Ho
resistito finché ho potuto.
-->
Michele
tremendo quello che abbiamo fatto
RispondiEliminaDa coetaneo di Michele e figlio di operai, la ringrazio.
RispondiEliminaL'ho già fatto e rischio di ripetermi, ma in questi anni il suo è stato un contributo fondamentale per inquadrare la realtà in cui vivo e darmi le giuste coordinate al fine di cercare le risposte.
La necessità diviene libertà solo quando cosciente. E un passo verso la presa di coscienza, in questo blog, si può compiere.
La lotta per i Michele di tutto il mondo prosegue.
grazie di cuore
EliminaMentre leggevo pensavo che faccio parte della stessa generazione. Mentre leggevo mi sono venuti i brividi pensando che molte delle cose che Michele ha scritto, le provo quotidianamente. La delusione, la disillusione, l'enorme fastidio per l'ipocrisia, il senso di non appartenenza. In questi anni, Olympe, sei stata un faro costante. Un faro di razionalità, si logica, di pensiero forte.
RispondiEliminaMa soprattutto, a monte di tutto questo, c'è sempre stato un messaggio fortissimo di etica, moralità e giustizia. E speranza.
Questo è un luogo virtuale di speranza lucida.
Quella che è mancata a Michele, e che manca a tanti, troppi, di noi.
Spesso ripeto nei miei commenti che la consapevolezza è una delle chiavi per resistere, e oggi, con ancora maggiore convinzione, lo ripeto.
speriamo non mi si fulmini la lampadina
Eliminagrazie, ciao
Grazie per il ricordo di quel giovane e della sua lettera. C'è un gran bisogno di un luogo come questo, almeno questo, almeno uno, per quel ricordo.
RispondiElimina