martedì 2 gennaio 2018

Buon anno



Spesso dimentichiamo quanto delle piccole innovazioni abbiano mutato la vita degli uomini in passato. Pensiamo al pennino di metallo. Poco costoso, offriva uniformità e agilità alla scrittura, esso era il prodotto tipico della miniera, della fonderia e della produzione in serie. La penna stilografica fu, con la sua punta all’iridio, un altro passo avanti. Noi, oggi, siamo arrivati alla fase elettronica, non solo per quanto riguarda la scrittura e la stampa, e si profilano altri straordinari sviluppi a breve.

Già ora, negli effetti pratici o anche solo potenziali, con un piccolo oggetto palmare, che è ormai riduttivo chiamare telefono, possiamo accedere e procedere a molteplici funzioni e connessioni che presto renderanno superflue molte figure lavorative e professionali, consentendoci da un lato di interagire con sistemi complessi di dati, e, dall’altro, di fornire, volenti o nolenti, informazioni su ogni aspetto della nostra vita a piattaforme delle quali ignoriamo la loro collocazione e chi le controlla.

Antipatro di Tessalonica, contemporaneo di Cicerone, così cantava in versi la lode dei nuovi mulini idraulici: “Cessate di faticare, o donne che lavorate alla macina; continuate a dormire anche se il canto dei galli annuncia il giorno: Demetra ha ordinato alle Ninfe di fare il lavoro delle vostre mani ed esse si curvano sulle ruote e le fanno girare, trascinando le grevi macine concave di Nizyra. Di nuovo gustiamo la gioia della vita primitiva ed impariamo a celebrare senza fatica i frutti di Demetra”.

Tutto ciò mostra con quanto maggior senso di umanità le civiltà classiche riguardassero le tecnologie create per risparmiare lavoro, in confronto all’atteggiamento dei padroni del mondo del XXI secolo, che non contenti dei loro favolosi profitti chiedono di poter succhiare sempre più il sangue dei salariati.

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Fosse per il singolo capitalista, non investirebbe un solo euro in R&S. Tuttavia nell’insieme della realtà peculiare del modo di produzione capitalistico agisce una legge di tendenza progressiva che ha come conseguenza la diminuzione del saggio generale del profitto. È dunque per far fronte alle conseguenze di questa legge che il capitale ha la necessità di investire in R&S.

È interesse dei gestori della libera schiavitù, e dei loro servizievoli portavoce, far passare per causa ciò che invece è una sua conseguenza, in modo da mascherare la realtà dello sfruttamento e le contraddizioni del sistema capitalistico. Prima tra tutte quella che vede il saggio generale medio del plusvalore esprimersi in un calo del saggio generale del profitto, e ciò come detreminazione della stessa natura della produzione capitalistica e necessità logica del suo sviluppo.

Da ciò discendono delle conseguenze importanti per la condizione della forza-lavoro e della sua riproduzione, ossia dal lato dei rapporti di classe tra padronato e salariati: disoccupazione di massa, riduzione del salario sotto il suo valore, aumento dello sfruttamento, dissoluzione delle forme della cultura tradizionale (anche se la vita nel suo complesso può sembrare più soddisfacente, in realtà essa è stata progressivamente svuotata di significato, a cominciare dai momenti più autentici della festa …).

Questo è il reale motivo del cambiamento espresso in termini scientifici generali. Quali che siano le nostre idee, volontà e aspirazioni questo è e resta il nodo centrale e ineludibile della questione.  Tutte le altre considerazioni e suggestioni di stampo politico, sociologico, antropologico, sciamanico, sono riconducibili all’alveo delle chiacchiere e tabacchiere di legno.

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Parlare di “baldanzosa rivolta contro il capitale liquido-finanziario” e di “ragionata indocilità oppositiva al plusgodimento” dei padroni del mondo, è solo fare dell’involontario sarcasmo da mensa aziendale. Dobbiamo invece guardare ai rapporti di forza reali, quali si presentano concretamente nei luoghi di lavoro e nella società. La disoccupazione e il precariato di massa, la libertà del padronato di licenziare, non favoriscono certo la voglia di fare opposizione e non possiamo chiedere atti di coraggio a chi rischia di perdere il proprio pane quotidiano. Non abbiamo bisogno degli Eduard Savenko in versione italiana.

1 commento:

  1. Si tratta del Panebianco politologo dell'università di Bologna nonché editorialista, appunto, del Corriere.
    D.Righi
    Cordiali saluti

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