Spesso dimentichiamo quanto delle piccole innovazioni
abbiano mutato la vita degli uomini in passato. Pensiamo al pennino di metallo.
Poco costoso, offriva uniformità e agilità alla scrittura, esso era il prodotto
tipico della miniera, della fonderia e della produzione in serie. La penna
stilografica fu, con la sua punta all’iridio, un altro passo avanti. Noi, oggi,
siamo arrivati alla fase elettronica, non solo per quanto riguarda la scrittura
e la stampa, e si profilano altri straordinari sviluppi a breve.
Già ora, negli effetti pratici o anche solo
potenziali, con un piccolo oggetto palmare, che è ormai riduttivo chiamare
telefono, possiamo accedere e procedere a molteplici funzioni e connessioni che
presto renderanno superflue molte figure lavorative e professionali,
consentendoci da un lato di interagire con sistemi complessi di dati, e,
dall’altro, di fornire, volenti o nolenti, informazioni su ogni aspetto della
nostra vita a piattaforme delle quali ignoriamo la loro collocazione e chi le
controlla.
Antipatro di Tessalonica, contemporaneo di Cicerone,
così cantava in versi la lode dei nuovi mulini idraulici: “Cessate di faticare, o donne che lavorate alla macina; continuate a
dormire anche se il canto dei galli annuncia il giorno: Demetra ha ordinato alle
Ninfe di fare il lavoro delle vostre mani ed esse si curvano sulle ruote e le
fanno girare, trascinando le grevi macine concave di Nizyra. Di nuovo gustiamo
la gioia della vita primitiva ed impariamo a celebrare senza fatica i frutti di
Demetra”.
Tutto ciò mostra con quanto maggior senso di umanità
le civiltà classiche riguardassero le tecnologie create per risparmiare lavoro,
in confronto all’atteggiamento dei padroni del mondo del XXI secolo, che non
contenti dei loro favolosi profitti chiedono di poter succhiare sempre più il sangue dei salariati.
*
Fosse per il singolo capitalista, non investirebbe un
solo euro in R&S. Tuttavia nell’insieme della realtà peculiare del modo di produzione capitalistico agisce una legge di
tendenza progressiva che ha come conseguenza
la diminuzione del saggio generale del profitto. È dunque per far fronte alle
conseguenze di questa legge che il capitale ha la necessità di investire in R&S.
È interesse dei gestori della libera schiavitù, e dei
loro servizievoli portavoce, far passare per causa ciò che invece è una sua
conseguenza, in modo da mascherare la realtà dello sfruttamento e le
contraddizioni del sistema capitalistico. Prima tra tutte quella che vede il
saggio generale medio del plusvalore esprimersi
in un calo del saggio generale del profitto,
e ciò come detreminazione della stessa natura della produzione capitalistica e
necessità logica del suo sviluppo.
Da ciò discendono delle conseguenze importanti per la
condizione della forza-lavoro e della sua riproduzione, ossia dal lato dei
rapporti di classe tra padronato e salariati: disoccupazione di massa, riduzione
del salario sotto il suo valore, aumento dello sfruttamento, dissoluzione delle
forme della cultura tradizionale (anche se la vita nel suo complesso può sembrare
più soddisfacente, in realtà essa è stata progressivamente svuotata di
significato, a cominciare dai momenti più autentici della festa …).
Questo è il reale motivo del cambiamento espresso in
termini scientifici generali. Quali che siano le nostre idee, volontà e
aspirazioni questo è e resta il nodo centrale e ineludibile della
questione. Tutte le altre considerazioni e suggestioni di stampo politico,
sociologico, antropologico, sciamanico, sono riconducibili all’alveo delle chiacchiere
e tabacchiere di legno.
*
Parlare di “baldanzosa rivolta contro il capitale
liquido-finanziario” e di “ragionata indocilità oppositiva al
plusgodimento” dei padroni del mondo, è solo fare dell’involontario sarcasmo da
mensa aziendale. Dobbiamo invece guardare ai rapporti di forza reali, quali si
presentano concretamente nei luoghi di lavoro e nella società. La
disoccupazione e il precariato di massa, la libertà del padronato di
licenziare, non favoriscono certo la voglia di fare opposizione e non possiamo
chiedere atti di coraggio a chi rischia di perdere il proprio pane quotidiano. Non
abbiamo bisogno degli Eduard Savenko in versione italiana.
Si tratta del Panebianco politologo dell'università di Bologna nonché editorialista, appunto, del Corriere.
RispondiEliminaD.Righi
Cordiali saluti