domenica 31 gennaio 2010

Sacerdotalis cælibatus


«L'accoppiamento bisogna pure che glielo lasciamo. – Bisogna pure che se lo godano, un pezzetto di vollutà – altrimenti s'impiccano all'albero più vicino. [1]»


Per i parrocchiani della cattedrale di Feltre la notizia è di quelle forti: don Giulio Antoniol, arciprete, vuole lasciare il sacerdozio e si è già trasferito, in tonaca, nell’abitazione della donna che ama e dalla quale aspetta un figlio. La signora, “una brunetta albanese dai modi gentili e dall’aspetto semplice”, “diventata cattolica due anni fa, battezzata proprio da don Giulio”, è sposata e ha un figlio. Il marito, dal quale si è separata il 3 dicembre 2009, non sembra gradire il clamore e invoca “maggior discrezione, riservatezza e un po’ di pudore in una vicenda di cui col tempo si è fatto una ragione ma che, come si può comprendere, non è stata facile da accettare e sopportare”. Ce l’ha in particolare con don Giulio Antoniol, il quale rilascia dichiarazioni e interviste, coadiuvato dalla propria mamma.

Sostiene don Antoniol che la sua non è una crisi di fede, ma l’esito di una mancanza di completezza «che la sola vita pastorale e spirituale non mi dava». «Un vuoto, una mancanza, con cui ho dovuto fare sempre i conti, fin da quando presi i voti, vent’anni fa», ma si affretta a precisare che lui non farà come don Sante Sguotti di Monterosso, anzi, il signor Sguotti: stessa età, stessa scelta. «Io però non condivido quel che ha fatto Sguotti - precisa don Giulio -. Cioè, in una situazione come la nostra non puoi pestare i pugni contro la Chiesa e pretendere di abolire l’obbligo del celibato per i preti. Noi abbiamo fatto un voto di fedeltà che ha le sue regole. Nel momento in cui veniamo meno alla parola data possiamo solo fare penitenza. Ecco, io non credo alla Chiesa dei peccatori di Sguotti che vorrebbe continuare a fare il prete e celebrare. Credo piuttosto a quella dei penitenti. Io vorrei ritirarmi da buon fedele, da membro della Chiesa, non da sacerdote. Sento molto la colpa per non aver rispettato la promessa e non rivendico nulla. Anzi, ho chiesto la dispensa al Papa. La mia pratica è in Vaticano». E se non condivide le posizioni del ribelle di Monterosso, figuriamoci quelle di monsignor Milingo: «Quello è un caso patologico».

Don Giulio si dichiara penitente per aver infranto il voto, non già per aver sfasciato una famiglia (faciamocene una ragione, anche i preti sono figli di Caino). E gli torna utile fare il moralista e dar lezioni, denunciando la pretesa di don Sante Sguotti di voler continuare a fare il prete, per non parlare di quel mattacchione di Milingo. Eppure dovrebbe saperlo che «il celibato è cosa grata a Dio, come si ha da diversi passi dell'antico testamento, ma non per questo ne consegue, che sia riprovato il matrimonio. La verginità fu considerata come sagra anche dai gentili, e perciò tanto la Chiesa orientale, quanto la occidentale imposero ai ministri del culto l'obbligo di un qualche celibato. Tuttavolta, sebbene il celibato sia più perfetto del matrimonio, non è compreso nel diritto divino pegli ordini sagri, cioè non vi è legge divina, che vieti ordinare in preti persone aventi moglie, nè ai preti di ammogliarsi. Certo, che il celibato è consentaneo alla ragione ecclesiastica e politica, e lungi dall’essere dannevole alla società, torna anzi a grandissimo suo vantaggio (Gaetano Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, vol. XI, pp. 57-58) ».

Questo è quanto scrive il primo aiutante di camera dell’allora vigente papa Gregorio XVI, e trova evidenza palmare nel mitico san Paolo, le cui epistole furono redatte al più presto nel II secolo:
«È degno di fede quanto vi dico: se uno aspira all'episcopato, desidera un nobile lavoro. Ma bisogna che il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare, non dedito al vino, non violento ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro. Sappia dirigere bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi con ogni dignità, perché se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio? Inoltre non sia un neofita, perché non gli accada di montare in superbia e di cadere nella stessa condanna del diavolo. È necessario che egli goda buona reputazione presso quelli di fuori, per non cadere in discredito e in qualche laccio del diavolo (Prima lettera a Timoteo )».
Evidentemente nel II sec. preti e presbiteri a volte non solo erano sposati, ma risultavano ammogliati più di una volta. A ciò vale con ogni evidenza il richiamo e la puntualizzazione paolina, anche in considerazione della grande facilità con la quale all’epoca si concedeva il divorzio e la diffusa pratica della poliginia in uso tra gli ebrei [2].
Lo stato della disciplina ecclesiastica sulla fine del III secolo, quale si trova esposto dalle costituzioni apostoliche e dai canoni, era il seguente: i vescovi ed i sacerdoti potevano conservare le mogli che avessero avuto anteriormente alla loro ordinazione sacerdotale, ma una volta entrati negli ordini sacri, non potevano più ammogliarsi. Pertanto ogni pretesa di riportare il celibato alle origini apostoliche, è destituito di ogni fondamento sia dal lato documentale, sia dal lato dei comportamenti effettivi e storicamente probanti.
Le cose, sulla carta, cominciano a mutare a partire dal IV secolo. In quel momento il cristianesimo è un’organizzazione matura, molto articolata ed importante che lotta per il riconoscimento e il potere, parallela e concorrente all’aristocrazia pagana, diretta da una cerchia di personaggi che rappresentano la punta di diamante della sua “teologia politica” ( è  in questo periodo che viene fabbricato e sistematizzato – dando vita ad una storia millenaria di controversie – il corpus dottrinale cristiano, sottraendo l’esclusiva agli ebrei. Con l’intesa tra Costantino e i circoli più qualificati delle gerarchie ecclesiastiche, tale organizzazione diviene attiva protagonista di un progetto di riassetto dell’esistente, di “un nuovo stile di conduzione politica urbana” [3]. 


Ero un ceppo di fico, un legno buono a nulla,
quando il mio falegname, incerto se fare di me
Priapo od uno sgabello, finì col scegliere il dio ...

Ricapitolando: nei primi tempi della Chiesa si ordinavano ovunque le persone ammogliate senza alcuna obbligazione. Nel IV secolo si cominciò, in via di consiglio, ad esortare i vescovi, preti e diaconi che avevano moglie a conservarsi continenti; dal consiglio si passò al precetto e per meglio accertarne l’esecuzione si ordinò che i vescovi, preti e diaconi ammogliati dovessero o lasciare il ministero o separarsi dalle loro mogli, come si vede nella decretale di papa Silicio ad Imerio, Tescovo di Tarragona, scritta nel 385. Ma questa specie di divorzio induceva, come detto, molti contrasti e resistenze, e trovava ovviamente l’opposizione da parte dei coniugi; si venne pertanto alla determinazione, nel VI secolo, di non ordinare al diaconato od al presbiterato chi avesse moglie. Così nella Chiesa latina; ma nella Chiesa greca si ritenne sempre che un uomo ammogliato o laico o solamente negli ordini minori, potesse essere promosso al diaconato ed al presbiterato e tenersi la moglie, uso sancito definitivamente dal concilio di Trullo nel 692.
«L’obbligo del celibato fu così spesso ricordato dai concili e dai papi del V -VII sec. che questa insistenza lascia immaginare numerose infedeltà al principio (Odon Vallet, Piccolo lessico delle idee false sulle religioni, ediz. Paoline, p. 38)».

Al tempo nostro si è scelta la strada dell’ipocrisia invereconda. Dalla lettera enciclica Sacerdotalis Cælibatus del 24 giugno 1967:
«La scelta del celibato non comporta l'ignoranza e il disprezzo dell'istinto sessuale e dell'affettività, il che nuocerebbe all'equilibrio fisico e psicologico del sacerdote, ma esige lucida comprensione, attento dominio di sé e sapiente sublimazione della propria psiche su un piano superiore. In tal modo, il celibato, elevando integralmente l'uomo, contribuisce effettivamente alla sua perfezione […]. È vero: il sacerdote, per il suo celibato, è un uomo solo; ma la sua solitudine non è il vuoto, perché è riempita da Dio e dall'esuberante ricchezza del suo regno. […] A volte la solitudine peserà dolorosamente sul sacerdote, ma non per questo egli si pentirà di averla generosamente scelta».

L’astinenza sessuale, dice il papa, nuoce all'equilibrio fisico e psicologico del sacerdote. Quali conseguenze ne trae? L’esigenza di un attento dominio di sé e sapiente sublimazione della propria psiche su un piano superiore. Il piano superiore, come conferma la storia e la cronaca, è il luogo  di numerosissimi episodi di violenza sessuale a danno di minori, o di pratiche sado-masochistiche e altre "devianze". Con i papi bisogna essere prudenti, poiché sono inviati da dio. Quindi l’importante è che non si venga a sapere e, del caso, che se ne occupi non la magistratura ordinaria, ma la giurisdizione cattolica. Quanto alla solitudine, son cazzi dolorosi, ma conseguenza di una scelta.
Intanto don Giulio Antoniol continua, in “attesa delle carte da Roma”, a vestire da prete e probabilmente a ricevere gli emolumenti spettanti. Un altro posto da prete poi glielo troveranno, così come accade per molti membri della Chiesa nella sua stessa situazione. «A Roma si comportano con doppiezza: a parole riconoscono il nostro secolare diritto ad avere preti sposati, ma nei fatti lo avversano. Ci appoggiò il cardinale olandese Willebrands, un uomo veramente ecumenico, ma oggi ci ritengono di nuovo un pericolo: la breccia che può far crollare il bastione».

***

[1] Oskar Panizza, Il concilio dell'amore, atto primo.

[2] Fatto confermato dalle decisioni sinodali dei primi secoli per quanto riguarda le seconde nozze, ossia per i preti che si risposavano. Il sinodo di Elvira, del 305, considera incompatibile con le seconde nozze l’amministrazione dei sacramenti e la celebrazione dei sacri riti. Quello di Neocesarea, nel 314, proibiva ai sacerdoti di onorare di loro presenza le feste se fossero passati a seconde nozze, ma il sinodo di Laodicea, tenuto nel 352, ritenne però di far uso di maggiore indulgenza. Nel 484, papa Gelasio si sentì in obbligo di rammentare ai fedeli come tali seconde nozze non fossero proibite per i laici. Con tutto ciò, però, questa restrizione non venne imposta al clero senza resistenza.
Una volta saldamente e chiaramente stabilito questo principio che proibiva le seconde nozze al clero, era naturale che tra il clero e il laicato si imponesse una distinzione ancor più netta per ciò che riguarda i vincoli matrimoniali, giacché il celibato attribuiva al clero una parvenza di maggiore santità e gli spianava la strada alla venerazione da parte del popolo. Quindi è ben facile comprendere come, in breve, si tornasse a rivivere l’antica regola levitica, per la quale il prete non poteva unirsi altro che ad una vergine; ed infatti non più tardi del 414, Innocenzo I si duole fortemente che gli uomini maritati ad una vedova siano innalzati agli onori dell’episcopato, e Leone I dedicò parecchie sue epistole ad inculcare questa norma. In brevissimo tempo da questa regola si trasse un corollario secondo il quale il prete che avesse in moglie una donna macchiata di adulterio era obbligato a cacciarla; questo corollario, poi, secondo quanto autori posteriori misero bene in luce, offriva ragioni valide a coloro che sostenevano la necessità assoluta del celibato del clero.
[3] Il più antico tentativo della chiesa, di cui si abbia ricordo, fatto allo scopo di introdurre delle restrizioni in materia di celibato, venne dal sinodo di Elvira (Spagna) del 305, il quale ebbe a dichiarare (can. 33) nel modo più positivo che tutti coloro i quali ambiscono al ministero dell’altare devono vivere estranei ad ogni commercio con le loro mogli (cosa che non implica l’essere scapoli). Esso fece, inoltre, tutto il possibile per por fine agli scandali delle agapetæ, ossia le concubine del clero; scandali che questo canone parve fatto apposta per incrementare tale situazione. Il sinodo di Ancira (314), capitale della Galazia, nel can. 10 stabilisce la sospensione di quei diaconi che al momento dell’ordinazione hanno assunto l’obbligo del celibato, si decidono successivamente in favore delle nozze; quello di Arles (nel 314) nel can. 29 ripropone l’obbligo della continenza assoluta per il clero sposato. Il sinodo di Neocesarea in Ponto (314-19), stabilì la deposizione del prete il quale si sposasse dopo essere entrato negli ordini. Ma con questo non si volle mettere alcun limite ai rapporti tra quelli che si erano ammogliati quando si trovavano ancora nei gradi più bassi del clero e le loro mogli. Il sinodo di Cartagine (349) nei cann. 3 e 4 dispone della continenza e dell’astinenza dalle donne dei diversi ordini di chierici. Il sinodo di Laodicea (tra il 341-381), in Frigia, nei cann. 24, 33 e 53 proibisce ai chierici di frequentare osterie, di recarsi ai bagni contemporaneamente alle donne (questa proibizione è rivolta anche ai laici), e in occasione delle nozze o dei banchetti di abbandonare il proprio posto all’inizio dei giochi.

sabato 30 gennaio 2010

L'utile strage

Sto leggendo il libro di Mark Thompson, La guerra bianca, il Saggiatore, 2009. Per quanto schematicamente, traggo la considerazione che il conflitto 1914-’18 si presentò, al di là delle dispute di carattere imperialistico e delle verbose giustificazioni nazionalistiche e patriottarde,  come una formidabile occasione per regolare i conti con i movimenti politici e sociali che minacciavano ovunque l’ordine costituito. Le circostanze e i mod in cui si compironono le immani stragi sui campi di battaglia, dimostrano senza dubbio che nessuna motivazione d’ordine tattico o strategico risulta sufficiente a  nascondere la volontà, presente a diversi livelli di coscienza,  di trarre partito da tale situazione.

Ovvio che per conseguire tale risultato ci vollero generali “la cui studiata imbecillità fosse fuori discussione”, sopportati dalla solita schiera di bendisposti prìncipi della falsificazione.

Perfino



Neve e gelo. Perfino il tempo è berlusconiano.

La scomparsa dello studioso Howard Zinn

L'instancabile talpa della storia americana 
di Ferdinando Fasce

Howard Zinn, il grande veterano della storia di sinistra negli Stati Uniti, è scomparso ieri a 87 anni. Era, prima che uno straordinario storico, una persona amabile, divertente, con il rigore e l'onestà stampate su un sorriso da ragazzo, come il ciuffo di capelli resi solo bianchi dal tempo. Ebbi la fortuna di vederlo all'opera un pomeriggio della primavera di una quindicina di anni fa, a Forlì. Zinn quell'anno era titolare della cattedra Fulbright a Bologna e venne a fare una lezione nella sede universitaria decentrata della città romagnola, nel mio corso di Storia americana. Si offrì gentilmente di fare qualcosa sul tema che insegnavo, l'evoluzione della presidenza. Ci mise pochissimo a incendiare l'uditorio, in modo avvolgente e soffuso, con un pacatissimo e appassionato discorso su come i movimenti avessero incalzato, con alterne fortune, i presidenti, da Lincoln a Clinton. Fulminò Kennedy riprendendo la brillante definizione di «emancipatore riluttante», da lui stesso data, a caldo, nel dicembre del 1962, con anni e anni di anticipo sulle ricerche condotte, in seguito, da tanti più giovani colleghi. Quel discorso mi persuase che senza una bella dose di società, classe, razza, genere tutta la politologia che mi ingollavo e facevo ingollare a quei ragazzi non serviva a niente. Aprì prospettive che io e la classe neppure ci sognavamo, mettendo in pratica quello che scrive nel suo Disobbedienza e democrazia. Lo spirito della ribellione (Il Saggiatore, 2003), cioè che lui cercava «nel passato saggezza e ispirazione per i movimenti che perseguono la giustizia sociale». E non si era mai preoccupato dell'«ossessione dell' 'obiettività'» perché era «giunto alla conclusione che dietro ogni fatto che viene presentato c'è un giudizio». Va da sé che invece poi, quando toccava un argomento, lo lavorava ai fianchi senza soste, con prove e controprove, rigirandolo da tutti i lati, come tanti presunti «scienziati», della storia o delle scienze sociali, non faranno mai.

Ho imparato ad ammirare il suo lavoro esattamente trent'anni fa, comprando, in una libreria di Pittsburgh, A People's History of the United States (da noi Storia del popolo americano, Il Saggiatore, 2005). Era la prima vera storia «alternativa» degli Stati Uniti, ha avuto innumerevoli ristampe, battendo ogni record di vendita e mostrando che ogni tanto la legge di Gresham non si applica, qualche volta la moneta buona ha la meglio su quella cattiva. Vi echeggiava l'acutezza dello studioso che non aveva mai dimenticato le sue origini, il fatto di essere figlio di un cameriere e di una casalinga ebrei immigrati, anzi ne aveva fatto la base del suo sapere. Un altro storico militante, James Green, definì il libro una «sinfonia per la gente comune», parafrasando il titolo del pezzo del musicista del New Deal Aaron Copeland, Fanfare for the Common Man. Il sesto capitolo si apre con parole che dovrebbero rileggere i protagonisti delle tristi cronache politiche sessiste di casa nostra: «Leggendo i soliti libri di storia, ci si può dimenticare metà della popolazione del paese. Gli esploratori erano uomini, i proprietari terrieri e i mercanti erano uomini, i leader politici erano uomini, e così i militari. L'invisibilità delle donne, il fatto che siano trascurate, è un segno della loro condizione sommersa».
Ma la sua vita non era fatta solo di libri e di schede di lettura. Zinn ha anche molto amato il teatro. Portano infatti la sua firma tre opere che sono state rappresentate nel corso del tempo in molti teatri in giro per il mondo. La prima piece, del 1976, è dedicata a Emma Goldman, esponente di primo piano dell'anarchismo e del pensiero libertario negli Stati Uniti che fu espulsa dagli Stati Uniti per lasua attività teorica, politica e per le sue prese di posizioni pubbliche contro il militarismo, a favore del movimento operaio e per i diritti dei migranti. La seconda opera teatrale, Daughter of Venus, è invece dedicata al clima di terrore e di sospetto dominante che negli Stati Uniti durante la guerra fredda. E sua è anche Marx in Soho, opera sulla vita di Marx, ma nella quale lo storico statunitense argomentava che il crollo del Muro di Berlino significava certo la fine del socialismo reale, ma il mondo unificato del mercato avrebbe rivisto sorgere nuovamente forti movimenti di critica al capitalismo. Howard Zinn ha diretto anche dei documentari, come quello The People Speak, una sorta di videoinchiesta sugli Stati Uniti durante il lungo inverno neoliberista.
 

In La guerra giusta (Charta, 2006), testo di una conferenza da lui tenuta a Roma nel giugno 2005 su invito di Emergency), Zinn esplorò la questione delle questioni, indicata dal titolo, senza lasciarsi andare a prediche o giaculatorie. Lo fece invece, in maniera sobria e pacata, mettendo a frutto la sua esperienza di storico, di militante contro la guerra, ma anche di ex membro dell'equipaggio di un B-17, un bombardiere pesante che, durante la seconda guerra mondiale, effettuò diversi raid e sganciò bombe «su Berlino, su altre città in Germania, in Ungheria, in Cecoslovacchia e anche su un piccolo villaggio della costa atlantica francese». «Io - dice - volevo dare il mio contributo alla sconfitta del fascismo... questa guerra, pensavo, non era per il profitto o per l'impero, era una guerra di popolo, una guerra contro l'indicibile brutalità del fascismo... Quella era una guerra giusta».

Poi, la lettura del resoconto di un giornalista sulla Hiroshima del dopo-bomba lo sconvolse. «Per la prima volta - dice Zinn - mi resi conto che non avevo idea di quello che facevo agli esseri umani quando sganciavo bombe sulle città in Europa... la guerra corrompe chiunque vi prenda parte» perché «avvelena le menti e gli animi della gente su tutti i fronti».



il manifesto del 29-1-2010

venerdì 29 gennaio 2010

Spaghetti, pizza e ... crocifisso


(ANSA) - STRASBURGO, 28 GEN - La sentenza sul crocifisso emessa dalla Corte europea dei diritti dell'uomo è ''politica e va quindi oltre la giurisdizione della Corte''. Lo sostengono 27 membri dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa di dodici paesi, in una dichiarazione scritta.
''Il crocifisso non e' piu' solo un simbolo religioso ma e' considerato da molti un simbolo che rappresenta la storia e l'identita' italiana''', sostengono i firmatari appartenenti al partito popolare, ai socialisti all'Alleanza dei Liberali e Democratici e ai Democratici Europei.
I parlamentari [...] ritengono che la sentenza sia basata su un' ''interpretazione incorretta'' della Convenzione europea dei diritti umani, nella parte in cui garantisce la liberta' di religione ma non l'uguaglianza tra le religioni. Solo se questa ultima condizione fosse vera ''lo Stato sarebbe obbligato a essere neutrale nei confronti di tutte le religioni per garantire la liberta' di religione''. I parlamentari infine si dicono ''preoccupati'' per come la sentenza potrebbe ''influire sul diritto dei Paesi che hanno una religione di Stato di esporre simboli religiosi in luoghi pubblici''.
 ***
Secondo questi analfabeti l'interpretazione data dalla Corte della Convenzione europea sarebbe incorretta". Cosa vuol dire? Che sono presenti degli errori. Quali? Quello di considerare valido il principio d'uguaglianza tra le religioni. Sostengono i 27 buontemponi che tale principio non è reso esplicito dalla lettera della Convenzione. Beh, se è per questo garantire la  non discriminazione tra gli individui a causa della religione professata implica eguale distanza tra le diverse confessioni religiose e gli ordinamenti statuali, quindi quella neutralità che sola garantisce la laicità dello Stato moderno. Altrimenti come fa il cittadino a non sentirsi discriminato se lo Stato dà alle confessioni religiose un peso e una gerarchia diversi? E, del resto, se fosse corretto l'assunto dei 27, la Convenzione avrebbe dovuto dichiarare esplicitamente la preminenza di una o più confessioni sulle altre, con conseguenze che non è il caso di prendere in considerazione nemmeno in ipotesi.
 

giovedì 28 gennaio 2010

L'aroma spirituale



La celebre frase marxiana, che ogni scolaretto conosce, cioè che la religione è l'oppio dei popoli, sono in molti, scolaretti e no, che ne ignorano l'effettivo contesto. Che fa ancora il suo effetto:

Il fondamento della critica religiosa è l’uomo fa la religione e non la religione l’uomo. […] La religione è la teoria generale di questo mondo, il suo compendio enciclopedico, la sua logica in forma popolare, il suo point d’honneur spiritualistico, il suo entusiasmo, la sua sanzione morale, il suo completamento solenne, la sua fondamentale ragione di consolazione e di giustificazione. Essa è la realizzazione fantastica dell’essenza umana, poiché l’essenza umana non possiede realtà. La lotta contro la religione è quindi, indirettamente, la lotta contro quel mondo del quale la religione è l’aroma spirituale.


La miseria religiosa esprime tanto la miseria reale quanto la protesta contro questa miseria reale. La religione è il gemito dell’oppresso, il sentimento di un mondo senza cuore, e insieme lo spirito di una condizione priva di spiritualità. Essa è l’oppio del popolo.


[…] È dunque compito della storia, una volta scomparso l’al di là della verità, di ristabilire la verità dell’al di qua. È innanzi tutto compito della filosofia, operante al servizio della storia, di smascherare l’autoalienazione dell’uomo nelle sue forme profane, dopo che la forma sacra dell’autoalienazione umana è stata scoperta. La critica del cielo si trasforma così i critica della terra, la critica della religione nella critica del diritto, la critica della teologia nella critica della politica.

La sesta crociata


Federico II di Hohenstaufen, erede del trono di Gerusalemme, fece un gran dispetto a papa Gregorio IX: trovò un accordo con il sultano al-Kamil. La VI crociata abortì e Federico fu scomunicato. L’amicizia con l’emissario del sultano, tale Fakhr ad-Din, permise la traduzione in latino, dalle versioni arabe, di vari autori greci, tra cui Aristotele, Platone e Tolomeo, ed un trattato sulla caccia che sarà poi alla base del "De arte venandi con avibus". Nel frattempo, a Gerusalemme e in altri luoghi della Palestina convisserero cristiani e musulmani. Con rispettive chiese e moschee. Anche san Francesco ottenne un salvacondotto per visitare la Palestina. La pace non durò troppo a lungo, il Papa si prese la rivincita.

Caro Riotta,


Nel suo articolo scrive che se il povero lettore vuole capire davvero perché Copenhagen è fallito, cioè perché non si è trovato un accordo soddisfacente, bisognerebbe chiedere al vecchio Bush, il quale si era accorto di quanto difficile fosse mettere d’accordo i vari particolarismi.

Questo è un modo caricaturale per descrivere il tema specifico del conflitto strategico tra gruppi dominanti nella formazione sociale capitalistica. È questo il modo classico in cui l’idealismo supera con nonchalance l’essenza delle “relazioni economiche” celate dall’apparenza dei rapporti mercantili di superficie. Ma so che a lei questo non cale, avendo, da tempo (anzi, da sempre), superato teoricamente e praticamente le “antinomie” marxiane. Una convinzione onesta come la sua, però, per provare di essere intelligente e colta, non può fare a meno dei giusti appoggi.

Quindi osserva:
1. che sarebbe bene trovare un accordo se non vogliamo essere invasi da turbe di disperati;
2. che la scienza è birichina, cioè al servizio di qualcheduno;
3. che i cinesi fanno battute assai sciocche (e perciò improbabili);
4. che c’è bisogno del nucleare soft. Soft?
5. che “occorre continuare a lavorare per lo sviluppo, l'ambiente e un pianeta dove ci siano cibo, lavoro e ricchezza per tutti”.

Capperi, è un pensiero faticoso il suo! Immagino quanti saranno sbalorditi in redazione: non sono molti i saccenti capaci di ridurre così facilmente la vita reale ad una successione di figurazioni vuote. E sono certo che avrà ricevuto dei complimenti!
(firma)
***
Risposta:
Non da lei e mi dispiace. Mi dispiace di più' ke resti abbarbicato all'idea ke ki non la pensa come lei e' venduto o scemo. Marx ragionava meglio. gr

mercoledì 27 gennaio 2010

Se proprio vogliamo essere pignoli


Abbiamo bisogno di Dio, di conversione, che i giovani comprendano e un noto psichiatra, di indubbia estrazione cattolica, giudica dal punto di vista clinico, i veggenti di Medjugorje. Professor Meluzzi, in che stato mentale trova i veggenti di Medjugorje?: “guardi, io non sono un fanatico di Medjugorje, non ci sono neppure stato, pensi un poco. Quindi limito la mia analisi al campo scientifico”. Ravvisa in loro ipotesi di patologie?: “assolutamente no. Non ci vedo schizofrenia, li trovo assolutamente lucidi e coerenti. Insomma, concludo per la loro assoluta sanità di mente”. E aggiunge: “se proprio vogliamo essere pignoli, dico una cosa”. Prego: “il quoziente intellettivo di costoro mi pare addirittura superiore a quello di altre apparizioni mariane, di altri veggenti.
[…]Veniamo al contenuto dei messaggi di Medjugorje, lei come li considera?: “in perfetta continuità con la tradizione della Chiesa e secondo il kerygma mariano. Insomma non ci vedo particolari fratture o novità. Ritengo che quei messaggi ,con assoluta coerenza, parlino della Madonna e di quello che la Madre di Dio ci chiede. In poche parole li valuto assolutamente buoni, fruttuosi e produttivi, senza nessuna pericolosità”.
[…]Poi se si  riferisce ad eventuali forme di sfruttamento economico del fenomeno, cosa mai provata, ribatto che i disonesti possono nascondersi ad ogni latitudine, a Medjugorje come a Roma …

[…]Eppure la Chiesa è prudente: “ma vedo con piacere che questa prudenza poco alla volta sta venendo meno. So che ci vanno molti preti e Vescovi. La prudenza della Chiesa, che non ha bocciato Medjugorje, dipende solo dal fatto che le visioni sono ancora in corso”.

[…]Da affermato psichiatra, ha avuto mai dei posseduti dal demonio?: “certo. Ci sono casi dove il medico alza le mani e non sa spiegare che cosa stia avvenendo. Molte volte io ricorro all’esorcista ed ho avuto casi di indemoniati che parlavano lingue strane, dicevano fatti clamorosi e sputavano chiodi. Tutto questo non appartiene all’isteria, ma a fenomeni diabolici. Satana esiste come persona fisica ed il ruolo dell’esorcista è importante. Negare Satana e la sua esistenza equivale ad ignorare la Scrittura. Io ho avuto un caso di una posseduta poi morta misteriosamente”.
Da: www.pontifex.roma.it/

Meluzzi Alessandro (Napoli, 1955), dopo la maturità classica, si è laureato in Medicina e Chirurgia e specializzato in Psichiatria a Torino. Ha infine conseguito il Baccalaureato in Filosofia e Mistica presso il Pontificio Ateneo S.Anselmo di Roma. È psicoterapeuta.
In gioventù ha aderito alla Federazione Giovanile Comunista Italiana, in seguito ai radicali, per confluire, infine, nei socialisti.
Nel 1994 è eletto nelle file di Forza Italia alla Camera dei Deputati sconfiggendo clamorosamente Sergio Chiamparino in collegio elettorale dove abitano molti operai di Mirafiori. È rieletto, però al Senato della Repubblica, nel 1996.
Nel 1998 esce da Forza Italia per aderire all'UDR. Con lo scioglimento del partito entra nell'UDEUR in occasione del primo governo D'Alema per poi passare ai Verdi con la fiducia al secondo governo D'Alema.
Nel febbraio del 2000, insieme ad un altro ex-UDR, Stefano Pedica, dà vita ad un movimento politico autonomo di ispirazione centrista presente soprattutto nel Lazio: il movimento Cristiano Democratici Europei - Liberaldemocratici (CDE). Aderisce come componente autonoma al gruppo senatoriale dell'UDEUR e poi con la fine della legislatura (2001), lascia ogni incarico nel movimento, il cui leader diventa così Pedica.
È spesso, nella veste di psichiatra, ospite ed opinionista nella trasmissione televisiva L'Italia sul 2, in Pomerigio Cinque in veste di Berlusconiano Doc e in diversi reality sulle reti Mediaset.
È portavoce della Comunità Incontro e di don Gelmini.
Da: Wikypedia 



A me francamente il kerygma meluzziano non sorprende. Ciò che mi ha attirato di questa intervista è l'ultima frase.

Gesù


«Il Cristo Redentore di Rio si fa il lifting. Nel fine settimana la statua simbolo della città brasiliana che domina Rio dall'alto del Corcovado sarà sottoposta infatti a lavori di restauro che costeranno in tutto sette milioni di real, pari a circa 2,7 milioni di euro. Il monumento, che a ottobre ha festeggiato le 78 primavere, sarà comunque coperto da un velo trasparente.»

Se il mitico Gesù fosse giunto alle 78 primavere, avrebbe considerato la sua religione come un peccato di gioventù e basta.

Molestatori ad oltranza


Mi ha scritto il Patriarcato di Venezia nella persona dell’ordinario diocesano (firma illeggibile) per minacciarmi, tra l’altro, che sarò privato “delle esequie ecclesiastiche in mancanza di segni di pentimento (cf. can. 1184 § 1, 1°)”.

Quello con il cattolicesimo è un conflitto che non ho scelto, ma del quale ho ben inteso da che parte stare. E allora, di cosa dovrei pentirmi, se non di non essere stato abbastanza spietato?

martedì 26 gennaio 2010

Anatomia di un cappuccino tiepido


Scriveva Gianni Riotta il 10 gennaio:
«Mettere ogni giorno insieme, senza alcuna selezione, gli argomenti dei filosofi e le arrabbiature del tizio davanti al cappuccino tiepido, l'analisi economica di un Nobel e lo sfogo del qualunquista di turno, può essere celebrato dagli ingenui alla moda come «open source» e «democrazia di rete». Il pericolo è invece riassunto bene nelle parole del guru Lanier: «I blog anonimi, con i loro inutili commenti, gli scherzi frivoli di tanti video» ci hanno tutti ridotti a formichine liete di avere la faccina su Facebook, la battuta su Twitter e la pasquinata firmata «Zorro» sul sito. In realtà questa poltiglia di informazione amorfa rischia di distruggere le idee, il dibattito, la critica».
Il punto massimo di questa “analisi”, servita da Riotta, riguarda esplicitamente il benessere della rete, quindi l’affidabilità e la salvaguardia di “contenuti” e “verità”. Non deve stupire quindi che c’è chi ha il coraggio di prenderla per buona e di dargli ragione (gente di “buon senso”), conseguenza naturale della credulità (un tempo denotata come falsa coscienza, ma non usa più per le note ragioni).

Commentavo nel post Riotta, il copyright e la "normalizzazione". del 15 gennaio:

La cosiddetta anarchia di internet denunciata da Riotta, in realtà interessa nella misura in cui la libertà della rete contrasta con gli interessi dei grandi editori: farsi pagare l’accesso al giornale on-line è cosa scontata, ma tutt’altra faccenda, stante la situazione, diventa la tutela effettiva del prodotto  editoriale, ovvero la difficoltà e anzi l’impossibilità di una efficace difesa del copyright (nello spirito che il consumo dell'ideologia deve invece sostenere una volta di più l'ideologia del consumo). Questo perché creazione e fruizione dell'informazione e della cultura non trovano più pacifica corrispondenza con i criteri economici e giuridici vigenti.
Risponde a Riotta sul 24Ore di domenica, pp. 1-9, il De Benedetti Carlo, il quale, essendo padrone in prima persona, solleva il coperchio:
«Far pagare le notizie di qualità su internet è parte del mix di misure anticrisi che gli editori stanno definendo. Il «New York Times», i quotidiani della galassia di Rupert Murdoch, quelli di Axel Springer in Germania stanno per mettere in vendita una quota dei propri contenuti informativi digitali. Se si offre un buon prodotto, chiunque capisce che è ragionevole pagarlo, sia che se ne fruisca sul cellulare sia online».
È evidente ora, anche alla “gente di buon senso”, come la cosa più importante fosse nascosta o quanto meno dissimulata. De Benedetti, deve comunque far salve le règles de comportement:

«Il dibattito sul Sole 24 Ore, da Lei aperto, ha centrato questo problema: la Rete non può restare un Far West senza regole o una Somalia in balìa dei signori della guerra, dove tutto è gratis e la pirateria non è un reato».
Bugia: i termini “prodotto-vendita-regole-gratis-copyright-reato-pirateria” nell’articolo di Riotta non ricorrono nemmeno una volta; si parla d’altro. Prosegue De Benedetti:
[…] Allo stesso modo Google non può sfruttare i contenuti prodotti da altri senza dare nulla in cambio.
[…]Come Google, molti altri soggetti, dagli aggregatori alle rassegne stampa, non rispettano le regole che tutelano i diritti di proprietà intellettuale. Questi diritti devono trovare una definizione legislativa più netta e, soprattutto, ampliarsi. Dobbiamo pertanto rilanciare la protezione del copyright, studiando l'adozione di software e sistemi che consentano un reale controllo dell'uso e del rispetto dei diritti connessi a ciascun contenuto.
[…] Paradossalmente, più sono i contenuti free, più crescono i guadagni degli operatori, meno crescono quelli degli editori che li hanno prodotti: i contenuti attraggono utenza, ma i ricavi vanno tutti agli oligopolisti dell'intermediazione. È ora di cambiare registro.
Ecco quindi la giusta ricezione e perfetta traduzione, nell’unico linguaggio che conta, dell’articolo di Riotta e che ha prodotto, di contro, le chiacchiere di Guido Vetere e dei suoi simili.
Testoline, la disinformazione non è la semplice negazione di un fatto, semplice menzogna, ma contiene una certa parte di verità, deliberatamente manipolata. Questa vicenda è una battaglia tra grandi monopoli, dove noi siamo solo dei soldatini, con Riotta come sergente di giornata.

L'Angelo Azzurro


Luciano Massaferro, parroco di Alassio, è stato rinchiuso nel carcere di Chiavari con l’accusa di aver usato violenza sessuale a una chierichetta di undici anni. Giorgio Panini, parroco di Bridano, Pratomaggiore e Formica, frazioni di Vignola, nemmeno si ricorda di aver accoltellato il pensionato che lo ospitava in casa come un fratello. Italo Panizza, rettore della basilica santuario di San Luigi Gonzaga a Castiglione delle Stiviere, ha raccomandato ai parrocchiani: «Smettetela di fare l’elemosina ai clochard e insegnategli piuttosto a lavorare».
Da ultimo, scrive Il Giornale, il parroco di un paese del bellunese, secondo denuncia circostanziata, avrebbe sottratto ad un ragazzo disabile, orfano e senza nessun altro al mondo, la cifra di centomila euro. Il magliaro, tra un miserere e un'estrema unzione, era «sempre riuscito a scampare al caos inesauribile del desiderio umano, ma da qualche tempo in qualche angolino della sua anima c’era nascosta una segreta verità. C’era che ha incontrato un angelo», non un angelo del focolare, ma un angelo «arrivato diritto dall’inferno», una donna che «lo ha liberato dagli scrupoli e dai rimorsi come la Lola Lola dell’Angelo Azzurro con il professor Rath. E anche di un bel po’ di soldi, che nemmeno erano del don. In un colpo solo gli ha fatto infrangere i comandamenti numero sei, sette, otto, nove e dieci. Non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non desiderare la donna d’altri, non desiderare la roba d’altri» (*). La spudorata istigatrice, la zoccola oscena, «la Maddalena o la strega Bacheca» si è approfittata delle debolezze fin troppo umane del povero parroco (ma chi si credeva di essere, un cardinale?).
Ecco un reato particolarmente odioso, un’infame ruberia ai danni di un ragazzo disabile, derubricato a mero peccato, trasformato in nota di colore, in uno scherzetto da prete.
Scriveva Salvemini nel 1947:
«Tutti in Italia sembrano aver dimenticato che la libertà non è la mia libertà, ma è la libertà di chi non la pensa come me. Un clericale non capirà mai questo punto né in Italia né in nessun paese del mondo. Il clericale non arriverà mai a capire la distinzione tra peccato – quello che lui crede peccato – e delitto – quello che la legge secolare ha il compito di condannare come delitto. Punisce il peccato come se fosse delitto, e perdona il delitto come se fosse peccato. Non è mai uscito dall’atmosfera dei dieci comandamenti, nei quali il rubare e l’uccidere (delitto) sono messi sullo stesso livello del desiderare la donna altrui (peccato). Perciò è necessario tener lontano i clericali dai governi dei paesi civili.»
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(*) Prescindendo dal fatto scontato che secondo la Bibbia "è preferibile un uomo che nuoce, a una donna che fa de' benefizi, e che porta vergogna e ignominia" (Siracide 42, 14), l’adulterio presuppone che l’adultero sia sposato; la falsa testimonianza è commessa dal teste in tribunale e il desiderare la donna d’altri implica che la donna sia legata o maritata a un altro, cosa nella fattispecie non appurata. Per quel che resta, basta un atto di contrizione e non se ne parli più.

lunedì 25 gennaio 2010

Benedetti


Scrive Luciano Canfora nell'articolo Che fatica diventare antifascisti, del Corriere del 14 genniaio:

«Il primo governo Mussolini [1922] piacque anche a Croce, che incoraggiò Gentile ad entrarvi. […] Se uomini come Matteotti denunciano con reiterato, insistente coraggio le soperchierie e, a quanto ormai si sa, anche gli «affari sporchi» del nuovo governo fascista [1924], una «squadra» mette a tacere in senso fisico, non metaforico, la sua voce. Le opposizioni, più che mai divise, inscenano l’impotente spettacolo dell'Aventino. A Bologna un oscuro e fallimentare attentato a Mussolini scatena l’isteria dei fascisti che denunciano «l'odio verso la persona di Mussolini» istillato dalle opposizioni (fine ottobre '26). Pochi giorni dopo, le leggi eccezionali, avallate dal re, portano alla revoca del mandato parlamentare dei deputati aventinisti ed all' arresto dei deputati comunisti (che aventinisti non erano!). Dal processone contro il Partito comunista, dalla grancassa contro il pericolo «comunista» discendono recta via la soppressione delle libertà politiche ed il regime (novembre '26). Un passo decisivo era stato il potenziamento dei poteri del presidente del Consiglio (legge del 24 dicembre '25), fortemente voluto da Mussolini e concesso dal re in barba al dettato dello Statuto albertino. Eppure ancora dopo il delitto Matteotti Croce in Senato voterà la fiducia al governo […].


La maturazione verrà poi, per gradi e con molti distinguo. Riconsiderando il percorso accidentato che portò luminari e intellettuali di così gran peso a prendere man mano le distanze dal fascismo, si possono assumere atteggiamenti diversi, [quale, per esempio, la polemica aspra di] Togliatti verso Croce (essendo entrambi nel secondo governo Badoglio!) innescata dall' accusa del primo al secondo, espressa a chiare lettere nel primo numero di «Rinascita», di aver avuto in sostanza vita facile sotto il fascismo (nonostante le «freccioline» ogni tanto scagliate dal filosofo contro il regime) come contraccambio di un perdurante e incrollabile anticomunismo».

Benedetto Croce era un cospicuo proprietario terriero (Abruzzo, Puglia, Campania), pare ossessionato dalla rendita delle sue terre. Scava, scava, c’è sempre nell’idiosincrasia per il comunismo qualcosa di più prosaico dei meri e vantati valori liberali e cristiani.

domenica 24 gennaio 2010

Cum hoc ergo, propter hoc


Scrive oggi Eugenio Scalfari:
«Penso anche io (e l'ho scritto più volte) che bloccare la deriva verso un sistema autoritario, già molto avanzata, sia un preliminare necessario. Penso tuttavia che questo obiettivo sia difficilmente raggiungibile fino a quando il consenso popolare a Berlusconi resterà ancora ampio e compatto. Di fatto con poche alternative, dato lo stato incerto e altalenante dell'opposizione. Ci vuole un lavoro culturale oltre che politico per cambiare una situazione così pregiudicata».
Laddove “difficilmente raggiungibile” sta per “non possiamo farci nulla”. La causa delle difficoltà starebbe nello “stato incerto e altalenante dell'opposizione”, che come motivazione non è semplicemente una balla pietosa, ma una menzogna spudorata, poiché inverte i termini di causa-effetto. Il rimedio: “un lavoro culturale oltre che politico”. Campa cavallo.
Torino non è più quella di una volta, e nemmeno Mediobanca, e i grandi gruppi di Stato sono in perfetto accordo con le direttrici d’iniziativa (soprattutto estera) di Palazzo Chigi.
Il vero obiettivo resta dunque: “obbligare chi ha evitato i processi a causa dell'immunità, di affrontare i suoi doveri verso la giustizia e di fare del mancato rispetto di questa norma una condizione di ineleggibilità che duri fino a quando il processo non sia celebrato”. Sempre e comunque una soluzione onirica.


venerdì 22 gennaio 2010

Vicario di Cristo


Sul tema della Shoah e del silenzio pacelliano, ieri il quotidiano il manifesto, ha pubblicato un articolo di Alfonso Botti dal titolo eloquente: La realpolitik del silenzio. L’intervento merita una riflessione. 

La tesi dell’articolo è questa:

«Sono state le ricerche sui rapporti tra antigiudaismo cristiano, antisemitismo cattolico e antisemitismo politico e biologico moderno di Giovanni Miccoli, Renato Moro, Olaf Blaschke, Urs Altermat e, da ultimo, di Hubert Wolf, pubblicate a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, ad aprire nuove prospettive. Esse hanno messo in luce gli errori fattuali in cui Hochhuth era incorso, il carattere sostanzialmente distorto della sua interpretazione, rilanciata dal film di Gosta-Gavras Amen (2002) e, nel frattempo e dopo, da una pubblicista sostanzialmente scandalistica di storici improvvisati. Questi studi hanno spostato l'attenzione da Pio XII al tradizionale antigiudaismo della Chiesa. Una tradizione di origini lontane, gravida di pesanti ricadute nell'età medievale e moderna, responsabile di aver sedimentato nei secoli un'ostilità antiebraica nel cui solco si era inserito l'antisemitismo politico e biologico dei secoli XIX e XX; una tradizione nella quale l'autorità ecclesiastica rimase imbrigliata, impedendole di far sentire la propria voce nel momento del bisogno. Stando agli stessi studi, Pio XII aveva evitato la pubblica denuncia dello sterminio degli ebrei non per simpatia verso il nazismo (che non ebbe), né per paura (dal momento che fece da intermediario tra britannici e alcuni militari tedeschi nel fallito complotto contro Hitler tentato tra l'autunno del 1939 e la primavera del 1940), ma in quanto prodotto e ostaggio di quella tradizione, oltre che preoccupazioni di ordine diplomatico. Sempre questi studi facevano poi notare che a partire dal 1943, quando l'industria di sterminio nazista funzionava a pieno ritmo, una eventuale pubblica denuncia del papa non avrebbe potuto peggiorare la situazione degli ebrei».

È una tesi che Alfonso Botti mutua dal libro I dilemmi e i silenzi di Pio XII, Rizzoli, 2000, scritto da Giovanni Miccoli, storico della Chiesa, nel quale sono ricostruiti i “condizionamenti di una tradizione ideologico-diplomatica” che a suo avviso incisero profondamente sulla Santa Sede nella seconda guerra mondiale e sul comportamento di Pio XII. Secondo Miccoli l’antigiudaismo religioso e la “tradizione di oppressione e di violenza antiebraica della storia cristiana” frenarono e impedirono la condanna delle violenze naziste.

Senz’altro un’influenza di tale tradizione c’è stata sempre, ma andrebbe spiegato perché “la tradizione secolare”, ostile agli ebrei, operò con un’influenza e un peso tanto diversi su Pio XI e su Pio XII. Ai papi, così come a qualsiasi altro tipo di autorità costituita, la tradizione interessa come strumento di legittimazione (ne vediamo un esempio palmare nell’uso politico della “tradizione cattolica” e dei suoi simboli), e tale legittimazione  cos’altro significa concretamente se non cura degli interessi? E quali sono gli interessi della Chiesa, se non quelli del pascolo, del gregge, di privilegi e prebende?

Ed ecco allora che la politica di Pacelli, la resistenza della curia alle “mattane” di Ratti, un papa malato da anni (in cura all’archiatra Francesco Saverio Petacci [*], padre di Clarice Petacci Federici), è ispirata al tradizionale pragmatismo della diplomazia vaticana. Come scrive Emma Fattorini in un suo articolo, la chiesa cattolica «non è mai stata del tutto immune da quella nostalgia per un ordine cristiano perduto, e appare confortata dal sorgere di regimi autoritari che sembrano rassicurarla sul ripristino di un ordine, di un’autorità, di un legame con valori primari come la patria e la famiglia, la cui stabilità era garantita solo dai valori della cattolicità, in primo luogo da quel diritto naturale che ne era l’essenza stessa. Ma questa affinità si rivelerà un’illusione ingannevole quando l’alleanza tra fascismo e nazismo tollererà soltanto in funzione subalterna e servile la chiesa cattolica, quella istituzione che con orgoglio sdegnato e irato Pio XI definiva l’unica vera forma totalitaria che la società umana abbia conosciuto, l’unica che l’uomo possa accettare perché fondata sul diritto naturale e dunque su Dio (Il Sole 24 ore, supplemento del 7 dicembre 2008)».

La Fattorini, storica cattolica, legge le cose meglio degli storici professionali di sinistra, quelli che blaterano di “intima sofferenza del pontefice” di “conflitto interiore” che “resterà nella storia”. Eugenio Pacelli fu antisemita, né più né meno,  come gli altri esponenti politici e gerarchi cattolici della sua epoca. La diplomazia vaticana non si esprime in meri termini di simpatia o idiosincrasia, bensì sulla base del calcolo delle convenienze e delle opportunità. Ai feudatari vaticani del razzismo e simili non importa nulla (o solo nella misura in cui ne possono trarre vantaggiose benemerenze), mentre sono disponibili a qualunque compromesso e silenzio commisurato al prezzo. Essi soli sono gli attori fedeli al testo, coloro che fissano indiscutibilmente una frontiera sempre rettificata nell’esecuzione terrena dei comandamenti del mito. Presi come sono dal bisogno del razionale e, nello stesso momento, dal suo rifiuto, essi vivono una contraddizione insanabile. Temono solo il comunismo, non perché materialista (esiste qualcosa di più prosaico dello "spirito santo"?) o ateo (c’è qualcuno meno credulo di un papa?), ma semplicemente perché tale sistema sociale non contempla il rispetto del dogma fondamentale: la proprietà privata, alias la ricchezza e il potere che essa promana

Quanto all’affermazione che a partire dal 1943, quando l'industria di sterminio nazista funzionava a pieno ritmo, una eventuale pubblica denuncia del papa non avrebbe potuto peggiorare la situazione degli ebrei, essa è suffragata da un fatto segnalato da un collega decisamente autorevole di Botti, ovvero Saul Friedlander, che nella sua opera pionieristica (Pio XII e il Terzo Reich, Feltrinelli, 1965, p. 211) scrive:

[…] leggendo i documenti tedeschi è inevitabile porsi due interrogativi:

Com’è possibile che alla fine del 1943 il papa e i più alti dignitari della Chiesa si augurassero ancora una resistenza vittoriosa ad Est e sembrassero quindi accettare implicitamente il mantenimento, sia pure temporaneo, di tutta la macchina di sterminio nazista?

Come spiegare le manifestazioni di particolare predilezione che il pontefice continuava a prodigare ai tedeschi, persino nel 1943, pur conoscendo la natura del regime hitleriano?

Infine, è giusto dare la parola a Gavras, visto che è stato tirato in ballo da Botti:

« … ma seppure esistono controversie storiche, un dato è certo: il papa non ha mai parlatodela Shoah e non ha mai detto perché».


Amen.
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[*] Dopo la guerra il dott. Petacci si farà chiamare Arturo Rossetti. Gli ultimi giorni di papa Ratti «sono densi d’impegni e soprattutto di aspettative per il concentrarsi fortuito di anniversari importanti come il decennale della firma dei Patti lateranensi, e il diciassettesimo della sua elezione». Il testo dell’enciclica che aveva commissionato al gesuita americano La Farge contro il razzismo antigiudaico, già pronta da tempo «non gli viene volutamente consegnato». Il clima è frenetico, teso, agitato:  « […] il papa sta sempre peggio. “Lui sembra voler resistere al male, con tutte le sue forze, nascondendolo, minimizzando le sue condizioni, per poter hiungere all’anniversario del Concordato, una scadenza nella quale vuole pronunciare un discorso durissimo di condanna dei totalitarismi: Ne parla ripetutamente, ne anticipa i contenuti suscitando una crescente preoccupazione nella Segreteria di Stato e in Mussolini che non vuole partecipare alle celebrazioni. Ciano e la diplomazia vaticana temono il peggio […].
Pacelli, tradendo il suo stile prudente, insiste per ben quattro volte affinché Pio XI desista e i medici sconsigliano in tutti i modi di procedere nell’organizzazione delle celebrazioni troppo stressanti per le sue condizioni di salute.
Eppure il papa si dimostra vigile e presente fino all’ultimo e, come sempre, attento alle piccole cose, perfino alla predisposizione di un buffet freddo per i cardinali e i vescovi. E così riesce, nell’ultima notte di lucidità, a scrivere il suo discorso, il suo testamento spirituale […]. Questo discorso mai pronunciato da Pio XI [riprodotto per la prima volta nel libro della Fattorini: Pio XI, Hitler e Mussolini, Einaudi, 2007], secondo la testimonianza attendibile del gesuita americano Abbott, sarebbe stato trovato il giorno della morte del pontefice sul tavolo della sua camera da letto, accanto all’enciclica che mai vedrà la luce. […] Dalla nuova documentazione dell’Archivio Segreto vaticano [bel paradosso per chi dovrebbe avere solo “parole di verità”, custodire per decenni o secoli la verità in archivi segreti] emerge inoltre la prova certa che è Pacelli a impedire che divenga noto l’ultimo discorso di Pio XI (brani tratti dall’articolo di E. Fattorini, pubblicato nel supplemento de Il Sole 24ore di domenica 27 maggio 2007)».
Papa Ratti muore il 10 febbraio 1939, vigilia dell'anniversario dei Patti.
***
Il sequestro, la deportazione, l’internamento e l’uccisione degli ebrei d’Europa (soprattutto dell’Est) occupata dai nazisti, sono noti con i termini di Shoah e di Olocausto. Va tuttavia tenuto presente, per completezza, che nei lagern nazisti e in altri luoghi non vennero uccisi solo ebrei, ma anche i cosiddetti oppositori politici (il lager di Dachau, il primo nel suo genere, fu istituito dapprima per costoro), “zingari”, omosessuali, portatori di handicap, semplici prigionieri (soprattutto sovietici, ma anche italiani in gran numero, come si evince nel post che riporta l’articolo di Stefania Elena Carnemolla su Glubokoje).
Sull’origine etnica degli ebrei dell’Est, è imprescindibile il libro di Arthur Koestler, La tredicesima tribù, Utet, 2003. Un recente libro, per molti aspetti fondamentale, sulla vicenda della Shoah, è quello di Adam Tooze, Il prezzo dello sterminio, ascesa e caduta dell’economia nazista, Garzanti, 2008. Non certo come contrappunto a Tooze, ma indicatore di certe strumentalizzazioni e maneggi messi in essere in nome della Shoah, si può leggere L’industria dell’olocausto, di Norman G. Finkelstein, Rizzoli, 2002.