di Stefania Elena Carnemolla - Glubokoje (Bielorussia)
Si parla di «armadi» del leader bielorusso Lukashenko aperti a Berlusconi. Intanto si occultano i massacri nazisti contro i prigionieri di guerra italiani.
Oggi, Glubokoje, è una tranquilla citta della Bielorussia. Minsk, la capitale, è un po' piu a sud. Ai tempi della guerra, qui era tutto un viavai di nazisti, ebrei, prigionieri, tanto che ci sono più tombe che case. Molte, sono fosse comuni. Come nel vecchio cimitero. Prima della caduta del Muro di Berlino, qui c'era una stele. Con un'iscrizione. «Qui giacciono le spoglie di oltre 27 mila cittadini dell'Unione Sovietica e, vicino a loro, quelle di 200 cittadini italiani brutalmente torturati e fucilati dai fascisti invasori negli anni 1941-1944», vi si leggeva in russo. Poi il Muro cadde e anche la stele scomparve. Al suo posto, una mano issò una croce cristiana.
Ma di italiani, a Glubokoje, ce ne sono molti di piu. In fondo al lago e in tombe nei boschi li vicino. Tutti prigionieri di guerra, disarmati nei Balcani nel 1943. Dai tedeschi. A Beresvec, poco fuori Glubokoje, c'era un antico monastero, un campo di concentramento, in realtà, circondato da baracche di legno. Ivan Gavrilovic Kucto era là, quando arrivarono i primi italiani: era l'inverno del '43. Erano stanchi e denutriti. I nazisti facevano fatica a portarli nel campo di concentramento di Beresvec e cosi per un po' furono costretti ad alloggiarli nell'ex-stazione delle barche. L'edificio era piccolo, freddo, senza riscaldamento tanto che pochi giorni dopo il loro arrivo a Beresvec, i nazisti cominciarono a gettare i loro cadaveri di sotto, nelle acque ghiacciate del lago. Molti li hanno invece sepolti in gigantesche tombe. Nel bosco di Borok. Ai confini del cimitero.
Yuri Sobolevsky era trasmettitore di una brigata partigiana e per un po' sembrò accorgersi solo dei prigionieri italiani. La storia di quei giorni e fra le pagine poco frequentate del suo diario, oggi conservato a Minsk: «...2 gennaio 1944, domenica. A Beresvec sono stati portati mille, o forse più, italiani disarmati. Questo lo si e saputo dai discorsi dei soldati. 5 gennaio, mercoledì...Nella zona nord-est vengono scavate delle trincee. Sono gli italiani a realizzare i lavori. Dicono anche stiano scavando delle fosse anticarro poco prima del paesino di Stanulia, vicino alla strada. 11 gennaio, martedi. Gli italiani stanno allargando la fascia della ferrovia, compresa la Stazione Ferroviaria. 3 febbraio, mercoledì. A Beresvec gli italiani presenti, che erano stati disarmati in Albania, sono adesso circa cinquecento. 16 febbraio, martedi. Poco fuori Glubokoje ci sono due baracche. Una, quella che fa da forno, ha cinque forni e una cucina. L'altra è invece occupata da soldati italiani disarmati. Saranno centoventi persone in tutto. Le loro guardie stanno nella baracca insieme a loro. Quaranta soldati italiani lavorano a circa mezzo chilometro da Glubokoje nella baracca con il magazzino: caricano e scaricano autocarri, costruiscono strade, fanno travi di legno, spaccano la legna, intrecciano filo spinato intorno al campo e scavano fosse per la difesa. Il resto dei soldati lavora la terra nei paesini di Barikovsina, Larinivca, nelle loro vicinanze, nonché nei pressi del cimitero di Giabinskoje, dentro il bosco. 22 febbraio, lunedì. Sono arrivate altre persone, per la maggior parte italiani disarmati. Saranno cinquecento persone in tutto. Questo significa che dovranno intensificare i lavori di difesa. 27 febbraio, sabato. Fra Lavrinovka e Barikovsina sono stati realizzati lavori di difesa. A farli sono stati gli italiani giunti il 22 febbraio. 13 marzo, lunedì. Tutti i magazzini con le armi sono stati circondati con del filo spinato. Dal paesino hanno portato via tutti i russi. Hanno lasciato solo i prigionieri italiani e le loro guardie. Presto escluderanno dai lavori anche i civili del paese, il cui calvario avra finalmente fine. I lavori procedono ininterrottamente. Gli hitleriani pretendono l'impossibile dagli italiani. Nel campo dei lavori forzati, gli italiani sono costretti a lavorare dieci, dodici ore al giorno. I prigionieri fanno tutti i lavori piu pericolosi: trasportano e trasferiscono munizioni e bombe aeree, costruiscono campi minati. Molti di loro sono sciupati ed affamati. Non ce la fanno piu a stare dietro ai lavori forzati. Essendo privi di forze, cadono a terra e spesso muoiono».
Il 12 gennaio del 1944, giunsero alla stazione di Parajanovo, poco fuori Glubokoje, piu di mille prigionieri, fra cui diversi italiani. Nessuno riuscì a capire da dove venissero. Nemmeno quelli delle brigate partigiane.
Il 16 febbraio, un convoglio di otto vagoni di soli prigionieri italiani lasciò invece la stazione di Nowojelnia, nel sud del paese, diretto a Sonim, dove arrivo il giorno dopo. Che ne fu dei prigionieri del trasporto n. 392289 di cui parla un documento delle autorita tedesche in nostro possesso? Raggiunsero mai Glubokoje? Sono loro, gli italiani, di cui parla Yuri Sobolevski, nel suo diario, il 22 febbraio del 1944? Janina Josifovna Saviskaja ai tempi dell'invasione nazista viveva a Oreknovo: «Era l'inverno del 1943 - racconta - a casa mia arrivò il sindaco del paese insieme a due tedeschi. Cacciarono tutta la famiglia e costrinsero i prigionieri ad adattare la casa a mensa e cucina. Quei prigionieri avevano una divisa per noi sconosciuta e non parlavano russo. Io e gli altri abitanti del paese cominciammo a interessarci a loro per capire chi fossero e da dove venissero. I guardiani dicevano fossero italiani. Vicino alla nostra casa, a mio nonno fecero costruire una baracca di legno con del filo spinato tutt'intorno perché vi andassero gli italiani. I tedeschi li sfruttavano per i lavori pesanti, compresi quelli nelle campagne e nei magazzini vicino al paesino di Rusaki. Una volta gli hitleriani chiesero a sei di loro di spingere un carro con sopra una gigantesca botte perche andassero a prendere dell'acqua. E mentre quelli spingevano, i guardiani gridavano di fare sempre più in fretta».
Ivan Germanovic, che con gli italiani lavorava nel grande forno di Oreknovo, non ha un bel ricordo di quei giorni: «Gli hitleriani erano molto cattivi con loro. Li picchiavano continuamente, che quelli gia erano affamati e si muovevano a fatica».
Nell'estate del 1944, di prigionieri italiani ne erano ormai rimasti soltanto duecento perché tutti gli altri erano morti per botte, fame, freddo, lavori forzati. Non uccisero seicento prigionieri russi, né diedero alle fiamme Glubokoje e la sua gente quando gli fu ordinato dai tedeschi in fuga dall'Armata Rossa. Pagarono con la vita, cadendo, per mano nazista, insieme ai soldati russi.
Glubokoje invece si salvò.
La tomba dei soldati italiani, quella con la stella nel cerchio è la scritta in loro onore, era un tempo sotto gli alberi. Oggi, sopra, c'e solo un masso. Ed erbacce tutt'intorno al sito abbandonato. E va detto che i bambini delle scuole di Glubokoje non vanno più a curare le fosse comuni come facevano ai tempi dell'Urss.
il manifesto, 24-12-2009
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