venerdì 22 gennaio 2010

Vicario di Cristo


Sul tema della Shoah e del silenzio pacelliano, ieri il quotidiano il manifesto, ha pubblicato un articolo di Alfonso Botti dal titolo eloquente: La realpolitik del silenzio. L’intervento merita una riflessione. 

La tesi dell’articolo è questa:

«Sono state le ricerche sui rapporti tra antigiudaismo cristiano, antisemitismo cattolico e antisemitismo politico e biologico moderno di Giovanni Miccoli, Renato Moro, Olaf Blaschke, Urs Altermat e, da ultimo, di Hubert Wolf, pubblicate a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, ad aprire nuove prospettive. Esse hanno messo in luce gli errori fattuali in cui Hochhuth era incorso, il carattere sostanzialmente distorto della sua interpretazione, rilanciata dal film di Gosta-Gavras Amen (2002) e, nel frattempo e dopo, da una pubblicista sostanzialmente scandalistica di storici improvvisati. Questi studi hanno spostato l'attenzione da Pio XII al tradizionale antigiudaismo della Chiesa. Una tradizione di origini lontane, gravida di pesanti ricadute nell'età medievale e moderna, responsabile di aver sedimentato nei secoli un'ostilità antiebraica nel cui solco si era inserito l'antisemitismo politico e biologico dei secoli XIX e XX; una tradizione nella quale l'autorità ecclesiastica rimase imbrigliata, impedendole di far sentire la propria voce nel momento del bisogno. Stando agli stessi studi, Pio XII aveva evitato la pubblica denuncia dello sterminio degli ebrei non per simpatia verso il nazismo (che non ebbe), né per paura (dal momento che fece da intermediario tra britannici e alcuni militari tedeschi nel fallito complotto contro Hitler tentato tra l'autunno del 1939 e la primavera del 1940), ma in quanto prodotto e ostaggio di quella tradizione, oltre che preoccupazioni di ordine diplomatico. Sempre questi studi facevano poi notare che a partire dal 1943, quando l'industria di sterminio nazista funzionava a pieno ritmo, una eventuale pubblica denuncia del papa non avrebbe potuto peggiorare la situazione degli ebrei».

È una tesi che Alfonso Botti mutua dal libro I dilemmi e i silenzi di Pio XII, Rizzoli, 2000, scritto da Giovanni Miccoli, storico della Chiesa, nel quale sono ricostruiti i “condizionamenti di una tradizione ideologico-diplomatica” che a suo avviso incisero profondamente sulla Santa Sede nella seconda guerra mondiale e sul comportamento di Pio XII. Secondo Miccoli l’antigiudaismo religioso e la “tradizione di oppressione e di violenza antiebraica della storia cristiana” frenarono e impedirono la condanna delle violenze naziste.

Senz’altro un’influenza di tale tradizione c’è stata sempre, ma andrebbe spiegato perché “la tradizione secolare”, ostile agli ebrei, operò con un’influenza e un peso tanto diversi su Pio XI e su Pio XII. Ai papi, così come a qualsiasi altro tipo di autorità costituita, la tradizione interessa come strumento di legittimazione (ne vediamo un esempio palmare nell’uso politico della “tradizione cattolica” e dei suoi simboli), e tale legittimazione  cos’altro significa concretamente se non cura degli interessi? E quali sono gli interessi della Chiesa, se non quelli del pascolo, del gregge, di privilegi e prebende?

Ed ecco allora che la politica di Pacelli, la resistenza della curia alle “mattane” di Ratti, un papa malato da anni (in cura all’archiatra Francesco Saverio Petacci [*], padre di Clarice Petacci Federici), è ispirata al tradizionale pragmatismo della diplomazia vaticana. Come scrive Emma Fattorini in un suo articolo, la chiesa cattolica «non è mai stata del tutto immune da quella nostalgia per un ordine cristiano perduto, e appare confortata dal sorgere di regimi autoritari che sembrano rassicurarla sul ripristino di un ordine, di un’autorità, di un legame con valori primari come la patria e la famiglia, la cui stabilità era garantita solo dai valori della cattolicità, in primo luogo da quel diritto naturale che ne era l’essenza stessa. Ma questa affinità si rivelerà un’illusione ingannevole quando l’alleanza tra fascismo e nazismo tollererà soltanto in funzione subalterna e servile la chiesa cattolica, quella istituzione che con orgoglio sdegnato e irato Pio XI definiva l’unica vera forma totalitaria che la società umana abbia conosciuto, l’unica che l’uomo possa accettare perché fondata sul diritto naturale e dunque su Dio (Il Sole 24 ore, supplemento del 7 dicembre 2008)».

La Fattorini, storica cattolica, legge le cose meglio degli storici professionali di sinistra, quelli che blaterano di “intima sofferenza del pontefice” di “conflitto interiore” che “resterà nella storia”. Eugenio Pacelli fu antisemita, né più né meno,  come gli altri esponenti politici e gerarchi cattolici della sua epoca. La diplomazia vaticana non si esprime in meri termini di simpatia o idiosincrasia, bensì sulla base del calcolo delle convenienze e delle opportunità. Ai feudatari vaticani del razzismo e simili non importa nulla (o solo nella misura in cui ne possono trarre vantaggiose benemerenze), mentre sono disponibili a qualunque compromesso e silenzio commisurato al prezzo. Essi soli sono gli attori fedeli al testo, coloro che fissano indiscutibilmente una frontiera sempre rettificata nell’esecuzione terrena dei comandamenti del mito. Presi come sono dal bisogno del razionale e, nello stesso momento, dal suo rifiuto, essi vivono una contraddizione insanabile. Temono solo il comunismo, non perché materialista (esiste qualcosa di più prosaico dello "spirito santo"?) o ateo (c’è qualcuno meno credulo di un papa?), ma semplicemente perché tale sistema sociale non contempla il rispetto del dogma fondamentale: la proprietà privata, alias la ricchezza e il potere che essa promana

Quanto all’affermazione che a partire dal 1943, quando l'industria di sterminio nazista funzionava a pieno ritmo, una eventuale pubblica denuncia del papa non avrebbe potuto peggiorare la situazione degli ebrei, essa è suffragata da un fatto segnalato da un collega decisamente autorevole di Botti, ovvero Saul Friedlander, che nella sua opera pionieristica (Pio XII e il Terzo Reich, Feltrinelli, 1965, p. 211) scrive:

[…] leggendo i documenti tedeschi è inevitabile porsi due interrogativi:

Com’è possibile che alla fine del 1943 il papa e i più alti dignitari della Chiesa si augurassero ancora una resistenza vittoriosa ad Est e sembrassero quindi accettare implicitamente il mantenimento, sia pure temporaneo, di tutta la macchina di sterminio nazista?

Come spiegare le manifestazioni di particolare predilezione che il pontefice continuava a prodigare ai tedeschi, persino nel 1943, pur conoscendo la natura del regime hitleriano?

Infine, è giusto dare la parola a Gavras, visto che è stato tirato in ballo da Botti:

« … ma seppure esistono controversie storiche, un dato è certo: il papa non ha mai parlatodela Shoah e non ha mai detto perché».


Amen.
-------------------

[*] Dopo la guerra il dott. Petacci si farà chiamare Arturo Rossetti. Gli ultimi giorni di papa Ratti «sono densi d’impegni e soprattutto di aspettative per il concentrarsi fortuito di anniversari importanti come il decennale della firma dei Patti lateranensi, e il diciassettesimo della sua elezione». Il testo dell’enciclica che aveva commissionato al gesuita americano La Farge contro il razzismo antigiudaico, già pronta da tempo «non gli viene volutamente consegnato». Il clima è frenetico, teso, agitato:  « […] il papa sta sempre peggio. “Lui sembra voler resistere al male, con tutte le sue forze, nascondendolo, minimizzando le sue condizioni, per poter hiungere all’anniversario del Concordato, una scadenza nella quale vuole pronunciare un discorso durissimo di condanna dei totalitarismi: Ne parla ripetutamente, ne anticipa i contenuti suscitando una crescente preoccupazione nella Segreteria di Stato e in Mussolini che non vuole partecipare alle celebrazioni. Ciano e la diplomazia vaticana temono il peggio […].
Pacelli, tradendo il suo stile prudente, insiste per ben quattro volte affinché Pio XI desista e i medici sconsigliano in tutti i modi di procedere nell’organizzazione delle celebrazioni troppo stressanti per le sue condizioni di salute.
Eppure il papa si dimostra vigile e presente fino all’ultimo e, come sempre, attento alle piccole cose, perfino alla predisposizione di un buffet freddo per i cardinali e i vescovi. E così riesce, nell’ultima notte di lucidità, a scrivere il suo discorso, il suo testamento spirituale […]. Questo discorso mai pronunciato da Pio XI [riprodotto per la prima volta nel libro della Fattorini: Pio XI, Hitler e Mussolini, Einaudi, 2007], secondo la testimonianza attendibile del gesuita americano Abbott, sarebbe stato trovato il giorno della morte del pontefice sul tavolo della sua camera da letto, accanto all’enciclica che mai vedrà la luce. […] Dalla nuova documentazione dell’Archivio Segreto vaticano [bel paradosso per chi dovrebbe avere solo “parole di verità”, custodire per decenni o secoli la verità in archivi segreti] emerge inoltre la prova certa che è Pacelli a impedire che divenga noto l’ultimo discorso di Pio XI (brani tratti dall’articolo di E. Fattorini, pubblicato nel supplemento de Il Sole 24ore di domenica 27 maggio 2007)».
Papa Ratti muore il 10 febbraio 1939, vigilia dell'anniversario dei Patti.
***
Il sequestro, la deportazione, l’internamento e l’uccisione degli ebrei d’Europa (soprattutto dell’Est) occupata dai nazisti, sono noti con i termini di Shoah e di Olocausto. Va tuttavia tenuto presente, per completezza, che nei lagern nazisti e in altri luoghi non vennero uccisi solo ebrei, ma anche i cosiddetti oppositori politici (il lager di Dachau, il primo nel suo genere, fu istituito dapprima per costoro), “zingari”, omosessuali, portatori di handicap, semplici prigionieri (soprattutto sovietici, ma anche italiani in gran numero, come si evince nel post che riporta l’articolo di Stefania Elena Carnemolla su Glubokoje).
Sull’origine etnica degli ebrei dell’Est, è imprescindibile il libro di Arthur Koestler, La tredicesima tribù, Utet, 2003. Un recente libro, per molti aspetti fondamentale, sulla vicenda della Shoah, è quello di Adam Tooze, Il prezzo dello sterminio, ascesa e caduta dell’economia nazista, Garzanti, 2008. Non certo come contrappunto a Tooze, ma indicatore di certe strumentalizzazioni e maneggi messi in essere in nome della Shoah, si può leggere L’industria dell’olocausto, di Norman G. Finkelstein, Rizzoli, 2002.
 

Nessun commento:

Posta un commento