venerdì 15 gennaio 2010

Dalla cieca prassi alla terra della libertà


di Benedetto Vecchi
«Marx», un volume di Stefano Petrucciani, Carocci Editore, pp. 248, 16,50.
Un testo controcorrente, questo di Stefano Petrucciani. In primo luogo perché introduce all'opera di un autore, Karl Marx, da molti ritenuto, nel migliore dei casi un «cane morto», mentre per molti altri è all'origine del «socialismo reale», giudicato teologicamente come una componente - l'altra è stato il nazismo - di «quel male assoluto», il totalitarismo, che ha marchiato a sangue il Novecento. Controcorrente perché analizza l'opera marxiana come il prodotto di un «filosofo della libertà», cioè di un filosofo che si è posto il problema di come affrancare uomini e donne dal cappio, meglio dalle catene che li condannano a una esistenza segnata da una condizione di alienazione e sfruttamento. Sia quando si cimenta con la fenomenologia dello spirito o la logica di Hegel che quando analizza la rivoluzione del 1848 o il modo di produzione capitalistico Marx è sempre alla ricerca di quel modo per accedere al regno della libertà, rimuovendo così gli ostacoli posti dal regno capitalistico della necessità.

Oltre la tradizione
Una tesi che sgombera il campo di molti, pessimi luoghi comuni attorno all'autore de «Il capitale». E che, come tale, va apprezzata. Inoltre, nel saggio pubblicato nella collana «Pensatori», non sono rimosse molti dei tentativi di interpretare Marx che si sono succedute nel corso di tutto il Novecento. Ad esempio, è accettata la tesi sulle tre fonti dell'opera marxiana - filosofia tedesca, pensiero politico francese e economia politica inglese -, ma a differenza di molti studi marxisti Petrucciani non ritiene teoricamente rilevante i confini netti tra il Marx giovane e quello «maturo» tracciata ad esempio da Louis Althusser; né che sia granché significativo discettare sul presunto hegelismo o antihegelismo di Marx.
Sin dalla sua frequentazione della cosiddetta «sinistra hegeliana», il giovane figlio di una famiglia di commercianti ebrei assimilati è infatti interessato al problema della libertà. L'eco della rivoluzione francese è ancora forte in terra prussiana e la filosofia di Hegel è considerata la «chiave di accesso» alla libertà, anche se questa interpretazione lascia molto insoddisfatto Marx. È studiando il «sistema» filosofico hegeliano che matura la convinzione che per una effettiva libertà si può raggiungere solo se si affrontano e risolvono le condizioni materiali che la rendono impossibile.
La stesura di libri come i «Manoscritti del 1844», «La questione ebraica», «L'ideologia tedesca», «La sacra famiglia» sono dunque da considerare prodotti di un laboratorio teorico nel quale Marx prende congedo dai circoli hegeliani e incontra tanto il pensiero politico francese che l'economia politica inglese. Ma se questa è la lettura canonica di Marx, Petrucciani vede questo periodo come un atelier dove contraddizioni, aporie, passi avanti e deviazioni nel percorso la fanno da padrone. Una caratteristica che accompagnerà Marx per tutta la vita, perché la sua è una elaborazione attorno alla realtà capitalistica che vuole essere scientifica; e dunque accetta il metodo che vede un risultato essere verificato. E se la verifica non c'è, tutto ciò che è stato messo a punto viene abbandonato, salvando solo il salvabile dopo la sua verifica. Da questo punto di vista, le pagine dei «Grundrisse» e de «Il Capitale» sul rapporto sociale capitalista, sul plusvalore, sulla miseria del lavoro salariato e sullo sfruttamento rimangono ancora perle che illuminano un grigio presente.
Rigore della propaganda
Il Marx teorico di una lettura materialistica e scientifica della realtà è tutto meno che un dogmatico. Accetta la sfida della verifica, anche se non si sottrae mai alla polemica e al confronto, spesso aspro e violento, con chi la pensa diversamente. Rigoroso, certo, ma assai duttile e flessibile quando è la realtà che deve essere spiegata, nell'ottica della famosa undicesima tesi su Feuerbach, laddove Marx scrive che, visto che i filosofi hanno interpretato il mondo, ora si tratta di trasformarlo.
Petrucciani è consapevole che la tradizione marxista ha variamente affrontato il rapporto tra gli scritti «giovanili» e quelli della «maturità», ma ritorna più volte sul fatto che crede al pensiero marxiano come a un work in progress dove vengono mantenuti soli i concetti che hanno passato il vaglio della verifica della realtà e di una logica filosofica tanto stringente quanto rigorosa. Ed è un vero piacere ripercorrere il laboratorio marxiano quando si confronta con la «rivoluzione del '48» o quando viene scritto il «Manifesto del partito comunista», due momento in cui il rigore filosofico deve fare necessariamente i conti con la dimensione «pedagogica» e della «propaganda». Testi belli da leggere, con uno stile avvincente, ben lontano dalle cavillosità e della pedanteria, tipica della scrittura filosofica ottocentesca, di altri scritti.
Lo stesso si può dire del nodo sulla possibilità o meno di pensare la «politica». Marx diviene comunista perché è stato un «democratico radicale»; e conosce quindi bene le contraddizione del pensiero democratico: uguali davanti alla legge, ma diseguali nella società. E radicale, democratico e dunque comunista Marx, suggerisce l'autore, lo rimarrà sempre, anche quando scrive di dittatura del proletariato, prospettando una organizzazione politica democratica ma non rappresentativa. Le pagine dedicate al Marx politico sono, da questo punto di vista, un'implicita critica alle organizzazioni politiche novecentesche del movimento operaio.
L'analisi del pensiero politico di Marx è un altro pregio del saggio di Petrucciani, che tuttavia evita di affrontare in profondità due spinose eredità della riflessione marxiana. Il primo riguarda il fatto che in nome di Marx sono state costruite società dove la libertà non era di casa. Ovviamente Marx non c'entra nulla, ma una riflessione su questo è necessaria. Il secondo aspetto che nel libro viene sì affrontato, ma solo registrando le diverse interpretazioni presenti nella tradizione marxista, è la querelle sulla teoria del valore-lavoro. Aspetto quest'ultimo dirimente e che potrebbe essere il bandolo della matassa che partendo con Marx si vada oltre Marx, per trovare la via che introduce al regno della libertà.
bvecchi@ilmanifesto.it

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