Come altri sopravvissuti, ho visto scomparire intorno a me tutto ciò che era stata la mia vita, incapace di usare tutte quelle meravigliose invenzioni del XXI secolo che mi permetterebbero di riconoscermi in quest’epoca e in questa dimensione ipertecnologica. E dunque che senso dare alla vita se non hai nulla da condividere con qualcuno e nulla da attendere?
Molte persone non riescono a leggere più di qualche riga alla volta, e anche in tal caso solo se accompagnate da immagini. La maggior parte non sa scrivere, tantomeno in corsivo e non senza commettere marchiani errori. Il linguaggio si è impoverito, limitato a circa trecento parole e altrettante emoticon, abbreviazioni e misteriose onomatopee.
Si comunica usando schermi di tutte le dimensioni, senza i quali non si può più abitare il mondo. Bambini e adolescenti, coccolati come prìncipi dai genitori, ma spesso anche gli stessi adulti, sono sopraffatti dal flusso di immagini e suoni senza i quali si sentono incapaci di sopravvivere, si perdono in una profusione di mondi virtuali e non riescono più a distinguerli dalla realtà.
È un fatto statistico e sociologico che, mentre il tasso di natalità in occidente crolla, il numero di idioti, degenerati e imbecilli è in costante aumento. Ne è un esempio il capo del Paese ritenuto il più potente del mondo, un pagliaccio sociopatico che governa a suon di insulti, bugie e tweet provocatori. Non va meglio altrove, con tiranni che perpetrano massacri sempre più ampi, e altri pazzi fanatici che aprono il fuoco con i kalashnikov sui nemici del loro profeta e si fanno esplodere in luoghi affollati.
Quanto alla salute del pianeta, i Poli si stanno sciogliendo, l’Amazzonia e il bacino del Congo perdono migliaia di alberi ogni giorno, la California brucia una stagione dopo l’altra, il permafrost siberiano si sta squagliando, rilasciando ogni sorta di batteri, virus e gas pericolosi. L’Africa, infiammata dal sole, dalla fame, dalle guerre e dalle dittature, sta riversando nel Mediterraneo sciami di migranti non di rado destinati ad annegare.
Questi disastri, anche quelli che potrebbero essere scambiati per naturali, come desertificazione, siccità, incendi o inondazioni, hanno spesso e in gran parte una causa umana. Tuttavia, salvo che per le vittime dirette, questi eventi estremi accadono nella sostanziale indifferenza del resto del mondo. Perché dovremmo preoccuparci di persone che soffrono e muoiono a migliaia di chilometri?
Un giorno toccherà a noi gridare la nostra solitudine e la nostra angoscia, chiedere aiuto ai nostri simili che, a loro volta, non faranno un plissé, in virtù del principio che vivono lontani da questi drammi e ne sono temporaneamente risparmiati.
Scaccio questi pensieri. Il futuro appartiene al socialismo. Non è obsoleto, come si compiacciono ripetere quei fottuti ammiratori del capitalismo, che hanno tutto il proprio interesse a non vedere come questo sistema dimostri ogni giorno la sua incapacità di risolvere i problemi fondamentali se non creandone di nuovi e di più gravi. Certamente abbiamo subito una sconfitta devastante, ma nonostante tutto c’è ancora gente che aspetta solo di riprendere la lotta per un socialismo degno di questo nome. La vecchia talpa non ha smesso di scavare, s’è solo presa una pausa.

All'inizio di lettura ho avvertito una netta depressione (tua e mia all'unisono), 😢 a metà mi son detto: oh ma proprio di lunedì dovevi scrivere sto post... Apocalittico?😡
RispondiEliminaNell'ultimo paragrafo la speranza (non cristiana) e dunque un rasserenamento😊
Un vecchio lettore del blog
😉
Eliminabello avere dei vecchi lettori, che ogni tanto commentano
Elimina6 milioni di poveri e loro saltellano!
RispondiEliminaquesto l'ho scritto 10 anni fa.
Eliminahttps://diciottobrumaio.blogspot.com/2015/12/ancora-dei-bei-giorni-davanti-noi.html
Grazie, leggerò.
EliminaOlympe sei tutti noi! mi fai ripensare alle cose che scriveva Bordiga; il fatto è che qualcuno di noi avrà pensato di rimanere vivo fino al momento del nuovo inevitabile sussulto; ma dato che oggi ne faccio 75 qualche dubbio lo ho; dobbiamo passare la fiaccola anche noi, i nostri discendenti ce la faranno; certe volte non nascondo che penso dopo tutto ci vuole ancora poco, le cose sono troppo degradate per continuare ancora per molto, ma è così? la difficile questione dei tempi, avrebbe scritto qualcuno.
RispondiEliminaAmedeo, troppo poco stalinista, vorrei dire troppo partenopeo (nel senso migliore)
EliminaAmadeo
EliminaMi seppellisco
Elimina“… salvo che per le vittime dirette, questi eventi estremi accadono nella sostanziale indifferenza del resto del mondo. Perché dovremmo preoccuparci di persone che soffrono e muoiono a migliaia di chilometri?”
RispondiEliminaUn parametro da considerare è certamente questo della distanza. Si può misurare. Migliaia di chilometri, centinaia, decine, tre chilometri, settecento metri, venti metri, mezzo metro, dieci centimetri, contatto. Tra i contatti mi hanno detto che il Corano distingue quelli in cui se passi un filo tra le due persone riesci a farlo e i contatti in cui invece il filo almeno in quel momento non riesci a farlo passare.
A volte mi è capitato di intuire, e penso sia intuizione comune, che in alcuni rapporti di vicinanza, o anche di contatto, la distanza fisica viene per “magia” mentale modificata e diventa… migliaia di chilometri mi sembra troppo come immagine, potrebbe andar bene forse nei casi in cui nella impossibilità di allontanarsi di cotanta distanza fisica, o di altrettanta distanza scaraventare via l’altro, si realizza la distanza infinita, ci si uccide oppure si uccide l’altro – ma se non migliaia di chilometri, intuizione comune dovrebbe essere quella di un divario tra realtà fisica e realtà mentale, dovrebbe essere esperienza comune che la distanza fisica misurabile può non corrispondere al “vissuto”, la percezione emotiva, affettiva, sentimentale, psichica. E i comportamenti osservabili non sono quelli prevedibili se la distanza psichica fosse sufficientemente adeguata alla distanza fisica. L’altro, gli altri, sono vicini ma è “come se” fossero molto, molto distanti.
la distanza psichica la sperimentiamo in molte situazioni, ma bisogna distinguere tra un fenomeno di massa e la distanza individuale, che è soggettiva, anche caratteriale, e più volubile.
EliminaFollia è ripetere la stessa azione aspettandosi risultati diversi, frase non di Albert Einstein, che descrive molto bene i fautori del sistema che ha generato due guerre mondiali e orrori contro l'uomo e l'ambiente.
RispondiEliminaPietro
cazzo ma la talpa è cieca
RispondiEliminaproprio per questo, non sai mai dove e quando sbuca
Eliminaocio che qui tiri fuori testa e ti ammazzano con una badilata
EliminaGrazie Olympe. Quante riflessioni scaturiscono dai tuoi post e dai vari commenti.
RispondiEliminaSpesso li condivido su cessobook, ma non ottengo like. E ciò è mortificante e deprimente.
Colpa della scarsa o nulla visibilità del mio profilo? Chissà. Comunque, fosse solo per questo, non me ne importerebbe una sega. Ma temo che il motivo sia la pigrizia mentale di tante, troppe persone.
Grazie Mario, verranno tempi...peggiori 🙃
EliminaSolo di una cosa mi pare di poter esser certo, ma non sempre, solo di tanto in tanto: così non può durare. Ne dubito a constatare che dura, ma scaccio il dubbio considerando che l'arco di una vita, la mia, non dà alcun senso alla durata. E per un po' ritorna la certezza. Che però ha il sapore dell'illusione gratuita: non ci sarò comunque, quando tutto esploderà o imploderà. Nemmeno è detto che sulle macerie del vecchio mondo ne sarà eretto uno migliore, mi dico, come mi son sempre detto, ma, col tempo, questa incertezza, che in passato mi faceva aver terrore di ogni avventura, ha perso ogni peso: il neoliberalismo è un totalitarismo, al peggio potrà essere sostituito da un altro totalitarismo. Ma non è detto: e a questo si riduce ogni speranza.
RispondiEliminaBentornato da queste parti.
EliminaApri la ferita esistenziale e ci metti del sale: tempo di vita individuale e tempo storico scorrono insieme ma solo per un breve tratto. Ahimè. Altre due cose non secondarie rilievi: 1) il neoliberalismo è un totalitarismo, 2) che non può durare. Con tale consapevolezza ci si pone di fronte all’utopia concreta: cambiare. Ma ognuno, come può, porti il suo sassolino verso la meta. Quale meta? Sul futuro non possiamo agire, ma sul presente e in qualche modo ci dobbiamo provare e alcune cose si possono fare. Dunque, secondo me, questo è il senso che va ritrovato. Altrimenti non ci resta che la rassegnazione ed eventualmente, nel nostro caso con un po’ di anticipo, decidere come le sorelle Kessler, salvo ovviamente gli affetti e altre cosucce che a questa nostra esistenza ci tengono legati (spero bene per entrambi).