Mancano i medici e gli infermieri, dicono c’è pure carestia di preti, dove mai finiremo di questo passo? C’è una certa preoccupazione per il successo elettorale e la sordida sfrontatezza dei partiti populisti e di estrema destra un po’ dovunque. Questi fornitori di droghe pesanti si presentano in questo modo: prima l’Ungheria; prima la Francia; prima la Germania; ovviamente prima l’America, e non manca chi rivendica il primato della Lombardia e perfino del Veneto. Com’è potuto succedere? Tra cent’anni i sopravvissuti se la chiederanno ancora la ragione del successo di tale follia e dei suoi complici.
Ai miei tempi, invece, le questioni e le passioni sociali erano ben altre, a cominciare dalle Brigate Biancorosse. Ci si azzuffava per Paolino Rossi, buonanima. Svenduto al Perugia! Roba da non credere. Quelli delle Brigate facevano il saluto in manette mentre li portavano in tribunale. Certo, dovevano averla combinata grossa, qualche scontro con quelli del Padova, che chiamavano dell’Autonomia Padovana. Stefano Cappellini, vicedirettore del quotidiano la Repubblica, a quell’epoca stava seduto nel vasetto a far i suoi bisognini, ma è anni che quelle antiche gesta le spiega urbi et orbi come le avesse avute davanti agli occhi.
L’è proprio vero che è cambiato il mondo. La verità è diventata solo un’ipotesi tra le altre, più precisamente meno attraente delle altre. Non è casuale che Repubblica stampi meno di 60mila copie. E la meravigliosa catastrofe continua, continua ancora, inesorabilmente. Altri tempi quelli di Scalfari, che in prima pagina citava una poesia di Bertold Brecht. Non leggeva mai un libro, solo i risvolti di copertina, al massimo recensioni e prefazioni, però in quel gennaio del 2015 citò una strofa di Brecht stampata sulla copertina di un librino edito da Einaudi:
Lungimirante ‘sto cazzo di Brecht. Pure quel Scalfari, in cima alle stesse barricate: «... se la domanda non riprende, [...] le imprese non hanno alcun motivo per assumere. Oppure assumono per incassare i benefici che quella legge prevede ma dopo un anno licenziano i neo assunti o addirittura li conservano ma trovano un qualsiasi pretesto per licenziare i lavoratori che da tempo sono in quell’impresa». Sante parole quelle di Scalfari, un vero compagno, uno tosto che invocava «nuovi modi di produrre, nuovi modi di distribuire».
Era ancora lui, il nostro compagno Scalfari a scrivere, nero su bianco: «... la narrazione serve a guardare il passato e a raccontarlo con gli occhi di oggi ricavandone un’esperienza da utilizzare per agire sul presente e costruire il futuro». Lo sapeva raccontare il passato, altro che questi copia-incolla di oggi.
Un compagno, Scalfari, ma tendenzialmente un po’ falso, diciamocelo. E, del resto, nella sua vita privata confermava quotidianamente la sua doppiezza. Aggiungeva: «Un altro modo di far aumentare la produttività e la competitività è la diminuzione del costo del lavoro tutelando però il salario netto dei lavoratori». E ci diamo anche le stock options a ‘sti lavoratori.
Ad ogni modo, anche gli ex fascisti imboscati come Scalfari seppero poi darsi un’aura di perbenismo liberale: altra classe rispetto alla dispnea del presente. E dire che son passati solo dieci anni da allora, non un secolo. Oggi abbiamo un Benito Maria Ignazio, che, dall’alto scranno nel quale è assiso, ricorda al CT della nazionale di calcio che “fischiare è un diritto”. Vedete a che punto siamo precipitati? C’è bisogno d’un fascista per ricordarcelo!
Garcia Márquez aveva ragione: una buona vecchiaia è semplicemente un patto onorevole con la solitudine.

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