Ieri è comparso, sul Sole 24ore, un articolo dal titolo Terre rare, il passo falso della Cina, scritto dal direttore dell’Institute for European Policymaking – Università Bocconi. È un articolo senza una fonte, che, in sintesi, sostiene come gli Stati Uniti importino dalla Cina una quantità importante di terre rare (dice: il 70%), relativamente lavorate, ma si tratterebbe di una quantità trascurabile in termini di valore, mentre Pechino sarebbe tributaria degli Stati Uniti per metalli rari lavorati ma a più alto valore. E ciò costituirebbe l’arma a doppio taglio in mano alla Cina. Vedo, di seguito, di precisare un po’ le cose.
Nel paradigma neoliberista della globalizzazione, il raggiungimento della sicurezza dell’approvvigionamento delle risorse naturali è stato relegato alle forze di mercato, portando a una crescente internazionalizzazione dei mercati, a una maggiore finanziarizzazione e a una riconfigurazione delle catene di approvvigionamento orientata alla massimizzazione dei profitti e del valore per gli azionisti.
Ultimamente le cose sono cambiate piuttosto bruscamente: le potenze occidentali hanno preso coscienza della loro dipendenza dalla Cina nell’ambito dei minerali oggi considerati “critici”. Diversi governi hanno quindi riconosciuto i limiti di una strategia di approvvigionamento basata sul libero mercato.
La Cina controlla in media due terzi della produzione o raffinazione di minerali critici chiave come litio, grafite, cobalto, nichel e rame, nonché una quota superiore al 90% per le terre rare (i “minerali critici”, che sono una sessantina, non includono combustibili come petrolio, gas, carbone o uranio. Sono altresì esclusi anche acqua, ghiaccio, neve o varietà comuni di sabbia, ghiaia, pietra, pomice, cenere e argilla).
Le terre rare sono costituite da 17 elementi con proprietà fisiche e chimiche che li rendono componenti essenziali di alcune delle tecnologie più cruciali al mondo, quali i microchips. I microchips traducono gli impulsi elettronici in istruzioni che i dispositivi devono seguire. Sono il fondamento dell’elettronica, consentendo il funzionamento dei nostri cellulari, computer, aerei, satelliti, eccetera.
Nel 2024, il 70 % delle terre rare importate e quasi l’intera capacità di raffinazione mondiale (circa il 90 %) erano ancora concentrate in Cina. Questa dipendenza cresce ulteriormente per gli elementi “pesanti”, indispensabili per magneti ad alte prestazioni, sensori militari e guida autonoma.
Secondo l’United States Geological Survey, dal 2020 al 2023, gli Stati Uniti hanno importato almeno 29 materie prime minerali dalla Cina (*). Per quanto riguarda le terre rare (composti e metalli), la dipendenza totale degli USA dalle importazioni era dell’80%, con un consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina del 56%.
Con l’amministrazione Trump, gli Stati Uniti puntano a una diversificazione delle fonti di approvvigionamento e alla reindustrializzazione. Questo approccio, tuttavia, soffre di diverse debolezze abbastanza tipiche, che riguardano un cambiamento fondamentale nel paradigma economico, un riconoscimento insufficiente dell’entità e della natura del predominio cinese, obiettivi eccessivamente ambiziosi ma scarsamente definiti.
Un esempio è significativo e riguarda il nichel, un materiale critico: sebbene la quota della Cina nelle esportazioni di nichel raffinato a livello mondiale si aggiri intorno al 20%, questa cifra riflette solo una frazione del suo predominio.
In effetti, gli investimenti cinesi nella tecnologia di lisciviazione acida ad alta pressione (HPAL) hanno radicalmente trasformato il settore, rendendo sfruttabili le vaste riserve indonesiane. In seguito al divieto imposto da Giacarta sulle esportazioni di minerale grezzo negli anni 2010, gli investitori cinesi hanno stabilito una presenza duratura nelle operazioni di lavorazione e raffinazione del nichel in Indonesia.
Il risultato: nel 2023, Ford ha stretto una partnership con Vale Indonesia e Zhejiang Huayou Cobalt Co., un’azienda cinese, per sviluppare un impianto di lavorazione del nichel. Questo accordo illustra il dilemma che si trovano ad affrontare i gruppi industriali occidentali: finanziare un progetto di nichel senza un partner cinese sta diventando sempre più difficile, in quanto dispongono di tecnologia, competenza e capacità di esecuzione a basso costo superiori.
La resilienza americana per quanto riguarda i minerali critici si basa quindi su un paese dell’ASEAN, una filiale canadese di un gruppo brasiliano e un’azienda privata cinese (a tale proposito, sarebbe interessante raccontare la vicenda esemplare della Magnequench la filiale strategica della Ford acquisita a suo tempo da un fondo di investimento chiamato Sextant, in realtà di proprietà di due società cinesi, guidate da due generi di Deng Xiaoping).
E del resto gli Stati Uniti non sono soli in questa situazione. I dati che vengono non di rado presentati dalla stampa, come l’articolo del Sole 24ore più sopra citato, mascherano un altro tipo di predominio cinese: quello sui prodotti manifatturieri derivati da questi minerali essenziali, che spaziano dai magneti in terre rare ai veicoli elettrici e ai prodotti di tecnologia verde.
La concentrazione delle importazioni è in aumento in tutto il mondo da decenni, con il numero di prodotti provenienti da una gamma limitata di fornitori superiore del 50% all’inizio degli anni 2020 rispetto alla fine degli anni 1990. Secondo l’OCSE la quota della Cina sulle importazioni globali è aumentata dal 5% al 30% negli ultimi 25 anni, mentre il contributo combinato di Stati Uniti, Germania e Giappone è sceso dal 30% al 15%.
Più nello specifico, l’Unione Europea importa oltre il 90% dei suoi magneti ad alte prestazioni in terre rare dalla Cina, così come gli Stati Uniti. L’entità del predominio cinese deriva dal fatto che non si limita all’estrazione: si estende dalla separazione e raffinazione delle terre rare agli ecosistemi industriali che le integrano nei prodotti derivati.
È in questo contesto che Trump ha ammesso il delicato equilibrio di potere in atto, di fronte ai giornalisti nello Studio Ovale della Casa Bianca il 25 agosto, alla presenza del presidente sudcoreano Lee Jae-myung: “Se non ci forniscono magneti, dovremo imporre loro dazi del 200% [...] abbiamo un enorme potere su di loro, e loro hanno un certo potere su di noi grazie ai magneti”.
Se proprio si voleva evidenziare, nell’articolo del Sole 24ore, l’arma a doppio taglio in mano a Pechino, si doveva rilevare che le terre rare rappresentano un’eccezione alla regola. Uno studio, anche se non recentissimo, pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, ha stimato che la Cina dipende dalle importazioni per oltre il 50% di 19 dei suoi 42 minerali non energetici, tra cui minerale di ferro e rame, ma anche cobalto, litio, berillio, niobio, minerale di cromite, metalli del gruppo del platino (platino, palladio e rodio) e tantalio.
Tuttavia, è essenziale tenere presente che il comportamento internazionale della Cina deriva anche dalle realtà economiche e politiche interne. Il caso dell’antimonio è eclatante a questo proposito. La produzione interna di antimonio sarebbe diminuita negli ultimi anni, mentre il suo prezzo è salito alle stelle (con un aumento del 250% solo nel 2024). Alcuni sostengono che le restrizioni cinesi all’esportazione di antimonio potrebbero non essere state mirate tanto a un pubblico internazionale quanto a garantire un approvvigionamento sufficiente per l’industria manifatturiera nazionale.
Gli articoli giornalistici unilaterali, sprovvisti di fonti, non consentono di comprendere appieno l’importanza dell’interconnessione economica nelle catene di approvvigionamento minerario critiche. A tale scopo serve una disposizione più sfumata e meno ideologica, multidimensionale, a riguardo delle questioni geopolitiche e, in questo caso, alle catene di approvvigionamento. Un approccio che tenga conto dei molteplici attori e strutture, che comprenda anche i flussi di investimento, gli assetti proprietari, l’innovazione, le infrastrutture e i trasporti, gli ecosistemi industriali, le borse dei metalli, eccetera. Sono articoli, tipo questo del Sole 24ore, con confronti quantitativi dell’impiego delle terre rare strampalati, che servono forse ad altri scopi, che però non sono né scientifici e nemmeno informativi.
(*) Secondo l’United States Geological Survey i minerali critici includono (la lista non è completa):
Ittrio (Dipendenza totale dalle importazioni: 100%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 93%)
Mica, foglio (Dipendenza totale dalle importazioni: 100%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 79%)
Abrasivi, ossido di alluminio (Dipendenza totale dalle importazioni: 95%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 61%)
Bismuto (dipendenza totale dalle importazioni: 89%, consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 60%)
Abrasivi, carburo di silicio (Dipendenza totale dalle importazioni: 69%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 69%)
Terre rare (composti e metalli) (Dipendenza totale dalle importazioni: 80%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 56%)
Antimonio (Dipendenza totale dalle importazioni: 85%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 54%)
Arsenico (Dipendenza totale dalle importazioni: 100%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 52%)
Grafite (Dipendenza totale dalle importazioni: 100%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 43%)
Pigmenti di ossido di ferro (dipendenza totale dalle importazioni: 87%, consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 38%)
Diamante (graniglia, polvere, polvere) (Dipendenza totale dalle importazioni: 47%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 36%)
Composti di magnesio (dipendenza totale dalle importazioni: 52%, consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 32%)
Tantalio (Dipendenza totale dalle importazioni: 100%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 22%)
Gallio (Dipendenza totale dalle importazioni: 100%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 19%)
Barite (Dipendenza totale dalle importazioni: 75%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 19%)
Mica, rottami e scaglie (dipendenza totale dalle importazioni: 41%, consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 16%)
Tungsteno (dipendenza totale dalle importazioni: 50%, consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 14%)
Germanio (Dipendenza totale dalle importazioni: 50%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 12%)
Fluorite (Dipendenza totale dalle importazioni: 100%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 8%)
Le importazioni dalla Cina rappresentavano meno del 5% del consumo statunitense di: granato, scorie di ferro e acciaio, alluminio, perlite, bromo e talco. Gli Stati Uniti importano anche cesio, rubidio, scandio e pietre ornamentali dalla Cina, ma non sono disponibili dati percentuali specifici.
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