La disuguaglianza è considerata un fatto naturale, e la prosperità è ben meritata se il singolo individuo ha dimostrato spirito imprenditoriale e audacia. La ricchezza, concentrata nelle mani di pochi eletti, è cresciuta fino a raggiungere proporzioni quasi inimmaginabili, mentre la povertà si diffonde inesorabilmente verso la classe media. I leader politici si rendono sicuramente conto che il perdurare di questa tendenza minaccia seriamente la stabilità di una società che produce un simile fenomeno, ma se ne fottono per varie ragioni.
La ricchezza dei miliardari nei paesi del G20, come Oxfam ha ora comunicato al mondo, è aumentata di 2,2 trilioni di dollari in un anno: del 16,5%, da 13,4 trilioni a 15,6 trilioni di dollari. Si replica che questo aumento da solo sarebbe sufficiente a far uscire dalla povertà 3,8 miliardi di persone. Da qui la richiesta di una “tassazione efficace” dei super-ricchi del mondo. E una miriade di libri inutili da Stiglitz a Piketty (per citare) che ci vogliono spiegare l’origine della disuguaglianza moderna.
Su una maggiore tassazione si può essere d’accordo, ma la questione reale non viene con ciò affrontata in radice. È vero che negli ultimi decenni i paesi industrializzati dell’OCSE hanno sistematicamente abbassato le aliquote fiscali più alte rispetto al livello a metà degli anni ‘60, avviando così una massiccia ridistribuzione del reddito e della ricchezza verso la cima della piramide sociale che continua ancora oggi. E ciò rivela chiaramente nell’interesse di chi è stata e continua a essere condotta la politica.
Il diavolo continua a cagare sul mucchio più grande: i ricchi fanno i ricchi, ossia i propri interessi, discutere su ciò è sterile. L’eccesso di ricchezza di pochi eletti è un sintomo di sovraccumulazione cronica, non un segno di successo, bensì di crisi. Pertanto, criticare i ricchi non è un errore, ma soffermarsi solo su tale aspetto significa criticare in modo inadeguato il capitalismo concentrandosi su un fenomeno meramente superficiale.
Il 3 dicembre di dieci anni fa, scrivevo: «il fatto che si rimproveri ai ricchi la loro ricchezza dà il senso del generale disorientamento. Sarebbero dunque i “ricchi” la causa dei problemi, e non dunque essi stessi il prodotto di determinati rapporti sociali. È questo il volgare e imbarazzante modo di concepire lo scontro di classe con le categorie politico-sociologiche del cambriano».
Ecco dunque la differenza tra una critica laterale del sistema rispetto a una critica radicale del modo di produzione capitalistico. È la differenza tra Marx e Proudhon, tra un socialismo rivoluzionario e un socialismo piccolo-borghese (alla Bertinotti, tanto per intenderci), per tacere di quel socialismo liberale (???) che piace a Bersani & C.. Le riforme (le “lenzuolate”), i miglioramenti che si svolgono sul terreno dei rapporti di produzione borghesi, non cambiano nulla nel rapporto fra capitale e lavoro salariato, ma, nel migliore dei casi, diminuiscono le spese che la borghesia deve sostenere per il suo dominio.
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