martedì 18 novembre 2025

Il pollo fritto e la prossima crisi finanziaria

 

Il ristorante Kkanbu Chicken di Seul è un locale molto modesto dove si mangia prevalentemente una delle specialità ... americane: il pollo fritto. Un posto dove eviterei di mangiare, dunque. Alla fine di ottobre, ad un tavolo stavano seduti a sorseggiare birra e mangiare pollo fritto tre poveracci: l’amministratore delegato di Nvidia, con il vicepresidente di Samsung Electronics e l’amministratore delegato di Hyundai Motor Company. È bastato questo perché nel giro di pochi giorni il prezzo delle azioni dei ristoranti e dei fornitori di pollo fritto sudcoreani schizzasse fino al 20%.

Questo aneddoto illustra ciò che tutti sanno: gli speculatori investono in qualsiasi cosa abbia a che fare con l’intelligenza artificiale e in qualsiasi cosa anche lontanamente correlata al clamore suscitato dall’AI. La qual cosa potrebbe ricordare cosa accadde tra il 1997 e il 2000 con la cosiddetta bolla delle dot-com, ossia la bolla legata alle società del settore “internet”.

Anche allora, gli speculatori avevano scommesso sulla formazione di nuovi mercati, sull’aumento della produttività e sui relativi profitti alla luce delle innovazioni tecnologiche. Allora come oggi, aspettative gonfiate hanno portato a investimenti esagerati, sullo sfondo dell’attuale crisi di accumulazione di capitale, di cui ho scritto più volte, ad esempio in un post di nove anni fa dal titolo: La tendenza storica dell’accumulazione capitalistica.

La crisi dell’accumulazione capitalistica costituisce la base di un’economia di bolla divenuta cronica a partire dagli anni Ottanta. Il plusvalore prodotto è divenuto così piccolo, relativamente al capitale complessivo accumulato, che non è più sufficiente a valorizzare l’intero capitale, facendogli compiere il necessario salto di composizione organica.

In altri termini: contrariamente a quanto si potrebbe pensare, i tassi di profitto non sono più sufficienti a valorizzare l’intero capitale, in quanto il capitale costante (macchinari, materie prime, ecc.) è cresciuto a dismisura rispetto a quello variabile (ossia rispetto al capitale investito in forza-lavoro), e perciò la crescita viene ripetutamente forzata attraverso la speculazione: prima con la bolla delle dot-com, poi con la bolla immobiliare e infine con la bolla di liquidità gonfiata dalle banche centrali durante gli anni dei tassi di interesse zero.

Invece di risolvere la crisi, queste bolle non fanno altro che rinviare le conseguenze dell’eccesso di capitale che non trova adeguato impiego nella produzione. L’intelligenza artificiale appare come l’ultimo tentativo di mascherare questo problema strutturale con un nuovo mito del profitto: un’ultima, grandiosa promessa che il capitale fittizio accumulato possa ancora essere trasformato in profitti reali.

Il successo dell’AI non può nascondere il fatto che i ricavi non tengono il passo con gli investimenti e molti sistemi sono tecnicamente immaturi. Circa il 95% delle aziende non ha ancora registrato un aumento misurabile di profitti o ricavi, nonostante gli investimenti miliardi. L’80% delle aziende non vede alcun contributo materiale ai propri profitti derivante dall’uso dell’intelligenza artificiale generativa.

Attraverso fondi indicizzati e altre strategie passive, quantità sempre maggiori di denaro affluiscono nelle società di intelligenza artificiale. Gli indici azionari sono in aumento e il capitale è prontamente disponibile. Per sostenere queste elevate aspettative con una crescita tangibile, le società di IA stanno sempre più incanalando questo denaro a basso costo in accordi tra loro, scambiando miliardi di dollari in chip e servizi cloud, essenzialmente acquistando i propri ricavi futuri.

Questo crea l’impressione di una crescita enorme, anche se una parte di questa crescita viene semplicemente ridistribuita all’interno del settore. La speculazione è intrappolata in una sorta di circolo vizioso che si autoalimenta.

Già a metà ottobre, la Banca d’Inghilterra e il Fondo Monetario Internazionale, tra gli altri, avevano lanciato l’allarme per una brusca correzione del mercato. In pratica si osservava che l’euforia che circondava l’IA stava spingendo gli speculatori verso una pericolosa frenesia; tutti sono consapevoli del pericolo, “ma non riescono a uscirne”. È vero: è un disastro incombente, ma nessuno osa andarsene: chi lo fa potrebbe perdere l’occasione, e dunque finché il denaro continuerà a fluire in borsa, nessuna azienda, nessun investitore si tira indietro.

L’80% dei profitti generati sui mercati azionari statunitensi nel 2025 è stato realizzato da aziende di intelligenza artificiale. Il mercato azionario guidato dall’intelligenza artificiale sta attraendo denaro da tutto il mondo: nel secondo trimestre del 2025, fondi esteri per un valore di 290 miliardi di dollari sono confluiti in azioni statunitensi, rappresentando circa il 30% del mercato, un livello mai visto dalla Seconda Guerra Mondiale.

La bolla dell’intelligenza artificiale è 17 volte più grande della bolla delle dot-com e quattro volte più grande della bolla dei mutui subprime, il cui scoppio ha innescato la crisi finanziaria del 2008.

Mi pare di aver detto tutto l’essenziale che c’è da dire. Poi vedrete che gli “esperti” avranno da dire molto di più, ignorando però la causa fondamentale, che, come detto, non riguarda semplicemente la “speculazione”, ovvero la crisi all’interno della sfera della circolazione (benché il fenomeno “crisi” si manifesti in tale ambito), bensì riguarda la crisi storica dell’accumulazione capitalistica.

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