venerdì 29 gennaio 2021

Nel gioco delle parti

 

Sistema Imperialistico delle Multinazionali, un’espressione irrisa, come se non cogliesse uno dei nodi fondamentali della realtà contemporanea, come conferma, per esempio e da ultimo, la guerra sui vaccini o quella, non solo commerciale, dei semiconduttori, ecc.. Si conceda che, almeno in questo, l’analisi delle Brigate rosse fosse più lungimirante del chiacchiericcio sociologico-mediatico che accompagna da sempre l’intento di ricomporre le contraddizioni strutturali interne alla società borghese.

C’è da chiedersi in quale misura le società transnazionali (TNC) hanno la capacità di influenzare e orientare i diversi organismi politici nazionali e sovranazionali. Ma non è questo il tema del post, anche se è bene premettere una sintetica considerazione circa le pretese “democratiche” di questo sistema sociale occidentale.

Le decisioni dei governi dovrebbero essere determinate dai cittadini (concetto quanto mai astratto) attraverso le elezioni in cui i partiti concorrono sulla scorta di propri orientamenti ideologici e di promesse politiche. Nella migliore delle ipotesi questa è un’immagine idilliaca di come funzioni una democrazia.

Luciano Canfora ebbe ad esprimersi così a riguardo della classe dominante: “un’oligarchia dinamica incentrata sulle grandi ricchezze ma capace di costruire il consenso e farsi legittimare elettoralmente tenendo sotto controllo i meccanismi elettorali” (La democrazia, p. 331).

È un fatto evidente che nel gioco delle parti chi detiene il potere economico punti ad influenzare e orientare le decisioni del governo in ogni momento, spingendo la politica in una direzione più favorevole ai propri interessi. Il business è il fattore più potente di qualsiasi altro. Un fattore chiave è dunque dato dalla misura in cui si concentra la proprietà.

Per ottenere un risultato efficace, le grandi società devono tra loro concordare obiettivi e tattiche in modo da formare consenso politico verso i propri scopi. Sotto tale aspetto va anche tenuto conto che le aziende più grandi sono collegate da una fitta rete di partecipazioni incrociate di controllo. Questo rende più facile per le imprese dominanti in settori con elevata concentrazione della proprietà di avere una maggiore possibilità di lobbying.

Qual è esattamente la struttura della proprietà e del controllo tra le TNC? Per molti anni si riscontrava una netta carenza di dati affidabili che rendeva difficile valutare il fenomeno in modo quantitativo e sistematico. Nel 2011 davo conto in un post di uno studio pionieristico condotto da ricercatori del Politecnico federale di Zurigo e reso disponibile, un lavoro che a distanza di un decennio non ha minimamente perso il suo valore scientifico.

Lo studio, che quando è stato condotto nel 2007 ha coperto oltre 30 milioni di aziende per mezzo del database ORBIS, dimostra come il “core” fosse allora composto da 295 società collegate da una rete di partecipazioni incrociate così densa che tre quarti delle azioni di queste società erano di proprietà di altre società. Insieme i ricavi operativi di questo gruppo di società costituiva il 19 per cento del totale dei ricavi operativi di tutte le TNC.

Le 27.569 TNC che non erano collegate al “core” rappresentavano solo il 6 per cento dei ricavi operativi globali del sistema delle TNC. Pertanto poco meno di 300 TNC interconnesse detenevano quote di proprietà in circa 6.000 altre TNC.

In che misura questi legami di proprietà rappresentano un controllo reale sul sistema delle TNC? Gli autori affrontarono questa domanda applicando dei modelli distinti per inferire il controllo sulla proprietà. Il loro modello di soglia preferito rendeva ragionevole il presupposto che la proprietà di oltre il 50 per cento delle azioni con diritto di voto di un’azienda comporta in generale il 100 per cento di controllo. In tali casi si considera che altri azionisti abbiano un controllo effettivo pari a zero. Dove non ci sono azionisti di maggioranza, la percentuale di controllo si considera pari alla percentuale delle azioni con diritto di voto possedute.

Seguendo una determinata procedura d’incrocio dei dati e di valutazione degli stessi, lo studio rivelava che le TNC erano estremamente concentrate: l’80% dei ricavi operativi delle TNC di tutto il mondo erano controllate da soli 737 azionisti, di cui 298 erano TNC (*).

I più grandi top-holder, secondo lo studio del Politecnico elvetico, erano americani o britannici, e la maggior parte degli altri europei. Oggi le cose sono in parte cambiate, sia per quanto riguarda il maggior livello di concentrazione raggiunto nel frattempo dalle TNC, sia in considerazione della quota di presenza asiatica tra esse (**).

Oltre tre quarti dei top-holder avevano base nei servizi finanziari. I dieci top-holder con le quote di controllo individuali più elevate, tutte nei servizi finanziari, controllavano congiuntamente quasi il 20% delle multinazionali che operano nel settore. Il più grande top-holder, Barclays, controllava da solo il 4 per cento dei ricavi operativi globali delle TNC.

1. Barclays (UK)
2. The Capital Group Companies (USA)
3. Fidelity Investments (USA)
4. AXA (Francia)
5. State Street Corporation (USA)
6. JP Morgan Chase (USA)
7. Legal and General Group (UK)
8. Vanguard Group (USA)
9. UBS (Svizzera)
10. Merrill Lynch (USA)

Per riassumere, i risultati indicano che nel 2007 il controllo delle TNC in tutto il mondo era estremamente concentrato e centralizzato. È a questo modello che gli autori dello studio si riferivano come rete di controllo aziendale globale, alias il sistema imperialistico delle multinazionali. Purtroppo i risultati dello studio non ci danno alcuna guida su come le TNC utilizzino il proprio potere sia per influenzare le aziende che possiedono e sia per orientare, singolarmente o con un’azione concordata tra loro, le decisioni politiche.

(*) Per riferirci all’oggi, Fortune offre una classifica delle 500 più grandi aziende del mondo, le quali hanno ottenuto 33.300 miliardi di dollari di ricavi e 2.100 di profitti nel 2019, con 70 milioni di dipendenti e sono rappresentate da 32 paesi. Al secondo posto, per ricavi, il gruppo Sinopec, il gigante petrolifero e chimico di proprietà statale cinese, al terzo posto State Grid, la compagnia elettrica statale cinese, al quarto China National Petroleum.

(**) All’inizio degli anni 1990, c’erano circa 37.000 TNC nel mondo, con 170.000 filiali estere. Di questi, 33.500 erano società madri con sede nei paesi sviluppati. Secondo dati della Commissione europea (2016), le multinazionali controllano più della metà del commercio internazionale. Oggi, il numero di TNC madri sono circa 60.000, con circa 500.000 filiali sparse in tutto il mondo. Molte TNC sono cresciute in proporzioni enormi e il loro fatturato annuo supera il prodotto nazionale lordo della maggior parte dei paesi. Le maggiori TNC possono contare diverse centinaia di migliaia di dipendenti, ad es. General Motors nel 2015 impiegava 708.000 lavoratori, Siemens 486.000, Ford Motor 464.000 ecc..

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