C’è un curioso articolo nella penultima del “domenicale” di ieri: Alla ricerca di mete perdute. Dà conto di una guida scritta da un professore di geografia sociale dell’università di Newcastle.
La guida intende suggerire la visita di luoghi irraggiungibili, città morte, terre di nessuno e isole galleggianti, ovvero una mappa dei siti più inesplorati del mondo. E ci riesce benissimo.
Per esempio cita le coordinate (39° 59’ 35” N; 46° 55’ 50” E) per raggiungere la città di Agdam, ovvero la città morta più grande del mondo. Una città che un tempo contava 50.000 abitanti, meta turistica, celebre per i suoi bazar, per il suo museo del pane e per il cognac (?!). Si trova nel Nagorno-Karabakh, tra Azerbaijan e Armenia, ed è stata letteralmente rasa al suolo, diventando un posto per gente “avida di silenzio”, per dirla con il Vanesio di villa Cargnacco.
Un altro posticino ameno da visitare, sempre secondo la guida di Alastair Bonnett, sarebbe Hog’s Back. Nel 1813 Jane Austen descriveva la collina erbosa del Surrey in una lettera indirizzata alla sorella: “Non ho mai visto la campagna così godibile!”. Oggi la collina è diventata una piazzola di sosta, il luogo più frequentato d’Europa (dopo il Vomero, nota mia) per praticare il jogging, che non è, precisa il recensore del libro, la pratica di portare il proprio cane a fare i bisognini, muniti di autocertificazione, bensì quella di fare sesso in parcheggi e aree boschive.
Insomma, a me pare si tratti di una guida piuttosto umoristica. A proposito di humour inglese, di là della Manica si stanno accorgendo, causa Brexit, che non siamo più nel periodo delle carrozze e dei Tudor.
Ma quanto ad humor insuperabili sono gli italiani: far causa a chi ti dà i vaccini. Manca solo che in attesa venga chiarita la controversia legale, le forniture siano sospese. Ma non vorrei suggerire. Vedo sempre più profilarsi l’ombra della Bastiglia.
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Ieri, il mio caustico correttore di bozze, verso il quale sono sempre in debito di gratitudine, non s’è fatto sentire, distratto altrove; eppure la faccenda si presentava gustosa: la digitalizzazione vocale aveva trascritto “empasse”, senza peraltro segnalarlo con la sottolineatura colorata (a suo tempo – ahimè assai – la prof. Venier - insuperata pedagogista – m’avrebbe scorticato dapprima i palmi e poi i dorsi). Me ne accorsi rileggendo solo stanotte. Con la digitalizzazione vocale possono capitare anche dei refusi divertenti, perfino salaci, a volte così strambi che possono fornire un buon suggerimento di scrittura. Provare per credere.
Per la digitalizzazione vocale, usa un software professionale?
RispondiEliminaIo adopero Word di Office previa digitazione dei tasti Windows+H
grazie
GS
Tasto Apple
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