mercoledì 13 gennaio 2021

L'albero dei bitcoin

 

Nel film C’eravamo tanto amati, Elide Catenacci (Giovanna Ralli), figlia di un palazzinaro e futura moglie di un fetente “de sinistra”, l’avv. Gianni Perego (V. Gassman), se ne viene con una perla come questa: sto facendo una dieta povera di “idrocarburi”. Ogni epoca coltiva le sue perle.

Negli anni Settanta, a fronte della stagflazione, vi fu la corsa agli investimenti che mettessero al riparo dall’inflazione (a due cifre). Nel mattone (con rapidi e consistenti profitti), in opere d’arte (vere e presunte), oppure, altro esempio, s’investiva nella filatelia, ossia nell’accumulo di francobolli. Ogni stagione si nutre delle sue illusioni.

Una sera di quaresima, in un salotto mondano, si stava chiacchierando di queste cose, quando il discorso cadde per l’appunto sulla filatelia. La padrona di casa, una signora arricchita (molto), per darsi un tono se ne venne con questa frase testuale: “Mio marito è un grande sifilitico”. Ovviamente la notizia percorse in fretta la città e ci tenne allegri fino a pasqua.

Che valore hanno i francobolli da collezione? Intrinsecamente nessuno, sono dei pezzetti di carta colorata, possono suscitare qualche curiosità dal punto di vista della storia postale e il collezionista, anche in questo caso, è disposto a pagare un certo prezzo per il loro possesso; nulla più.

Negli anni Settanta, dicevo, i francobolli divennero “un bene rifugio”, assai aleatorio. L’uscita dei cataloghi con i prezzi dei francobolli era attesa con la stessa trepidazione che sarà dei romanzetti della Rowling. Raduni commerciali si succedevano a ritmo incessante, i prezzi raddoppiavano e anche quadruplicavano in tempi brevi. Fu vera febbre filatelica, o sifilitica, che dir si voglia.

Intere annate, decenni di emissioni, hanno oggi un prezzo che non raggiunge la somma spesa allora per il “facciale” allo sportello filatelico. Ad eccezione di alcuni più rari e già allora commercialmente costosi, i quali però, a loro volta, difficilmente raggiungono al cambio d’oggi lo stesso prezzo che fu pagato all’acquisto (i prezzi riportati nei cataloghi sono generalmente scontati alla vendita, secondo i casi, dal 30 al 60%).

Alla vicenda filatelica di allora seguì grossomodo quella dei “miniassegni”, anche questi oggetto di collezione (ancor più effimera).

E che dire della febbre attuale di bitcoin? Semplice: sono nati nello stesso albero degli zecchini d’oro.

* * *

«Il bitcoin come l’oro, quindi? Questa è l’argomentazione analogica di chi vede le criptovalute come copertura antinflazionistica, proprio a motivo della loro “finitezza” di offerta. Al punto che costoro si spingono a una comparazione col metallo giallo, per appurare se il bitcoin è “caro” o ha spazio per rivalutarsi. Il ragionamento è il seguente: oggi nel mondo ci sono poco meno di 200.000 tonnellate di oro estratto dal sottosuolo e riserve provate per 57.000 tonnellate. AI prezzi di oggi, sono 17 mila miliardi di dollari di controvalore».

Che sciocchezza sostenere questa “argomentazione analogica” di comparazione tra il Bitcoin è l’oro (o qualsiasi altra merce). Seminerio la riferisce, non la fa propria, non è uno sprovveduto.

Ed infatti, soggiunge: «dobbiamo chiederci: quale sarebbe il valore intrinseco del bitcoin? Verrebbe facile rispondere che è quello negli occhi dei suoi acquirenti e non si andrebbe molto lontano, come del resto accade per tutto quello che viene scambiato, al netto dell’eventuale valore d’uso».

È l’utilità di una cosa che ne fa un valore d’uso, ma questa utilità non aleggia nell’aria, è un portato delle qualità del corpo della merce e non esiste senza di esso. Si realizza soltanto nell’uso, ossia nel consumo. Nella nostra società, i valori d’uso sono i depositari materiali del valore di scambio. Per quanto riguarda il Bitcoin la sua esistenza è solo virtuale, e dunque “l’eventuale valore d’uso” non lo riguarda affatto.

Come valori d’uso le merci sono soprattutto di qualità differente, come valori di scambio possono essere soltanto di quantità differente, cioè non contengono nemmeno un atomo di valore d’uso. Se però si prescinde dal valore d’uso dei corpi delle merci, rimane loro soltanto una qualità, quella di essere prodotti del lavoro.

Nel caso dell’oro, il corpo della merce che serve da equivalente universale (sorvolo qui sull’enigma della forma di “equivalente”), vale sempre come incarnazione di lavoro astrattamente umano ed è sempre il prodotto di un determinato lavoro utile, concreto (*).

Ed è sulla base della quantità di lavoro oggettivato in una data merce che si misura il suo valore nella comparazione con altre merci, cioè altri prodotti del lavoro. E dunque il “valore intrinseco” di “tutto ciò che viene scambiato” non sta semplicemente “negli occhi dei suoi acquirenti. Il prezzo del singolo bene si può anche contrattare, ma nel complesso degli scambi il valore medio di una data merce in un dato momento e luogo segue la comparazione con altre merci (qui si esula dal prezzo derivante da posizioni di monopolio e altre questioni).

Per farla breve e mettere le cose con i piedi per terra: nessuna cosa può essere valore (di scambio) senza essere oggetto d’uso. L’oro, prodotto del lavoro, è un valore d’uso e una merce; il Bitcoin non è né l’uno, né l’altra cosa. Non ha nessun valore, ma solo un prezzo, quello fissato della speculazione (**).

Se proprio vogliamo dare un significato reale al ruolo “degli occhi degli acquirenti”, si può trovare paradossalmente proprio a riguardo del “valore” del Bitcoin.

Se le autorità politiche e monetarie decidessero di mettere al bando il Bitcoin come mezzo di pagamento (lo possono fare), o se per qualche altro motivo venisse screditato sul mercato, i bitcoin non diventerebbero nemmeno una ex moneta (come la nostra lira, per es.) perché non hanno altra realtà che quella virtuale, cioè fittizia, e in caso di bando la loro vantata “non inflazionabilità”, assieme ad altre stupidaggini, andrebbe a farsi friggere. 

(*) Il lavoro rappresentato nelle merci ha un duplice carattere: lavoro concreto e di lavoro astratto. È una distinzione molto importante, tanto che Marx riteneva fosse la “novità fondamentale” della sua teoria:

[...] a tutti gli economisti senza eccezione è sfuggita la cosa semplice che, essendo la merce un che di duplice, di valore d’uso e di valore di scambio, anche il lavoro rappresentato nelle merci deve avere un carattere duplice” (lettera ad Engels dell'8 gennaio 1868).

Per Marx la forma concreta del lavoro è intesa come l’insieme delle qualità che gli conferiscono il carattere di utilità. Il lavoro concreto non produce valori di scambio, bensì oggetti destinati all’uso. Il lavoro concreto del falegname o del calzolaio, per esempio, quale “attività produttiva conforme allo scopo”, cioè diretta all’appropriazione di ciò che la natura fornisce, è una necessità “naturale”, valida per tutte le formazioni economico sociali e per tutte le epoche storiche.

Per lavoro astratto, universalmente umano, Marx intende quell’alcunché di comune – il dispendio di forza lavoro umana – contenuto nei differenti lavori che producono le varie merci, che crea valore di scambio ed opera nel processo di valorizzazione.

(**) Una cosa può essere valore d’uso senza essere valore, ossia quando la sua utilità per l’uomo non è ottenuta mediante il lavoro: aria, terreno vergine, praterie naturali, legna di boschi incolti, ecc. Una cosa può essere utile e può essere prodotto di lavoro umano senza essere merce. Chi soddisfa con la propria produzione il proprio bisogno, crea sì valore d’uso, ma non merce.

3 commenti:

  1. Bello "mio marito è un grande sifilitico", ho molto riso.
    Senti perché non parli della crisi di governo? che ne pensi?

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    1. non dico che scrivo sempre di cose serie (ci mancherebbe) e che il mio parere conti poi qualcosa, ma per scrivere di questa sceneggiata bisognerebbe essere achille campanille, per citare

      sul piano sociale sembra che tutto sia tranquillo. intanto il c.te dei carabinieri ha messo le mani aventi: è la mafia a fomentare le proteste. siamo ancora all'epoca di umberto primo

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    2. crisi ridicola, ma solo in tv, dove è tutta colpa di Renzi (chi??). Motivazioni profonde, secondo me. Conte non le vede, non le riconosce - per varie ragioni, anche di formazione... Molto protetto dall'alto, ma non basta blindare la pochezza per dirsi forti.

      Ma Umberto I... Monza... ciao, sei perfida.

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