«Separati da
un muro, perché potessero sentirsi ma non vedersi, ci sono Volinia e la
Arcangeli. Li sta interrogando Fioriolli. Il nostro capo, Improta, segue tutto
da vicino. La ragazza è legata, nuda, la maltrattano, le tirano i capezzoli con
una pinza, le infilano un manganello nella vagina, la ragazza urla, il suo
compagno la sente e viene picchiato duramente, colpito allo stomaco, alle
gambe. Ha paura per sé ma soprattutto per la sua compagna. I due sono molto
uniti, costruiranno poi la loro vita insieme, avranno due figlie. È uno dei
momenti più vergognosi di quei giorni, uno dei momenti in cui dovrei arrestare
i miei colleghi e me stesso. Invece carico insieme a loro Volinia su una
macchina, lo portiamo alla villetta per il trattamento. Lo denudiamo, legato al
tavolaccio subisce l’acqua e sale».
La testimonianza è dell’ex commissario della Digos e
poi questore Salvatore Genova, allora a capo di una squadra di torturatori
detta dell’Ave Maria, che si occupava di interrogare e, secondo la confessione
di Genova stesso, torturare i brigatisti e sospetti tali. Facevano un “uso
massiccio di waterboarding (tortura dell'acqua), ma anche di violenze sessuali,
pestaggi e abusi psicologici”. Salvatore Genova in seguito divenne deputato nelle
file del PSDI, che poi lasciò per aderire alla DC (*).
La ragazza è Elisabetta Arcangeli, sospettata di
essere collegata alla Brigate rosse. Il lavoro sporco venne eseguito, insieme
alla sua squadretta di esperti del waterboarding, la tortura dell’acqua e sale,
da Nicola Ciocia, alias professor De Tormentis, funzionario proveniente dalla
Digos di Napoli. L’ordine veniva dall’alto, ben sopra il capo della polizia
Coronas. Il semaforo verde giungeva dal vertice politico, “direttamente dal
ministro Virginio Rognoni”.
«Il capo dell’Ucigos,
De Francisci, ci dice che l’indagine è delicata e importante, dobbiamo fare
bella figura. E ci dà il via libera a usare le maniere forti [… ] con la mano destra indica verso l’alto, ordini che
vengono dall’alto, dice, quindi non preoccupatevi, se restate con la camicia
impigliata da qualche parte, sarete coperti, faremo quadrato. […] Fino a
dove arriverà la copertura? Fino a dove possiamo spingerci? Dobbiamo evitare
ferite gravi e morti, questo ci diciamo tra di noi funzionari. E far male agli
arrestati senza lasciare il segno».
Di casi come questi, specie in quegli anni, se ne
registrarono a centinaia. Ci provò a denunciarli l’Espresso. Fu smentito e il giornalista Pier Vittorio Buffa fu arrestato
per l’articolo Il rullo confessore. A
proposito di libertà di stampa.
Nei confronti del prefetto Oscar Fioriolli, direttore
Centrale Risorse Umane del dipartimento Pubblica Sicurezza, sono stati disposti
gli arresti domiciliari, ma solo per la vicenda di appalti pubblici che lo vede
coinvolto, non per i fatti di tortura. Ad Umberto Improta è stato intitolato un
giardino pubblico a Roma, tra via dell’Amba Aradam e via della Ferratella in
Laterano.
*
Dopo decenni il parlamento ha approvato la legge n.
110 del 14 luglio 2017, “Introduzione del delitto di tortura nell'ordinamento
italiano”, articoli 613-bis e 613-ter del codice penale. La repubblica nata dalla
resistenza non s’era mai presa la briga prima di tale data di varare una legge
contro la tortura e l’ istigazione alla tortura. In realtà questa legge
legalizza la tortura:
«Art. 613-bis (Tortura). - Chiunque, con violenze o
minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un
verificabile trauma psichico a una
persona privata della libertà personale
o affidata alla sua
custodia,
potestà, vigilanza,
controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in
condizioni di minorata
difesa, è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante
più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e
degradante per la dignità della persona.»
La tortura è reato, ma solo se il fatto è commesso mediante
più condotte, cioè se gli episodi di tortura sono reiterati. Esempio pratico: essere denudati, legati al tavolaccio e
subire il trattamento acqua e sale, oppure scosse elettriche ai genitali, per
una sola volta, non basta perché si configuri il reato di tortura. Quanto al trattamento
inumano e degradante per la dignità della persona, questo è fatto comune e
quotidiano nelle carceri (come dimostrano le sentenze della Corte europea dei
diritti umani), ma prova a denunciarlo, tanto più se sei ancora nelle grinfie
degli aguzzini.
(*) «Sono gli
specialisti dell'interrogatorio duro, dell'acqua e sale: legano la vittima a un
tavolo e, con un imbuto o con un tubo, gli fanno ingurgitare grandi quantità di
acqua salata. La squadra è stata costituita all'indomani dell'uccisione di Moro
con un compito preciso. Applicare anche ai detenuti politici quello che fanno tutte le squadre mobili.
Ciocia, va precisato, non agì di propria iniziativa. La costituzione della
squadretta fu decisa a livello ministeriale.
[…] Tutti sanno
come abbiamo fatto parlare Volinia e scatta l'imitazione, il "mano libera
per tutti". Un gruppo di poliziotti della celere, che si autodefinisce
Guerrieri della notte, quando noi non ci siamo, va nelle stanze dove sono i
cinque brigatisti e li picchia duramente. Un ufficiale della celere, uno di
quei giorni, viene da me chiedendomi se può dare una ripassata a "quello
stronzo", riferendosi a Cesare Di Lenardo, l'unico dei cinque che non
collabora con noi. Io non gli dico di no e inizia in quell'attimo la vicenda
che ha portato al mio arresto. La mia responsabilità esiste ed è precisa, non
aver impedito che il tenente Giancarlo Aralla portasse Di Lenardo fuori dalla
caserma. La finta fucilazione e quello che accadde fuori dalla caserma lo
sappiamo dalla testimonianza di Di Lenardo. Io rividi il detenuto alle docce.
Degli agenti stavano improvvisando su di lui un trattamento di acqua e sale. Li
feci smettere ma non li denunciai diventando così loro complice.
La voglia di
emulare, di menar le mani, di far parlare quegli "stronzi" non si
ferma a Padova. Di Mestre so per certo. Al distretto di polizia vengono portati
diversi terroristi arrestati dopo le indicazioni di Savasta. I poliziotti si
improvvisano torturatori, usano acqua e sale senza essere preparati come Ciocia
e i suoi, si fanno vedere da colleghi che parlano e denunciano. Ma l'inchiesta
non porterà da nessuna parte.
Quando i
giornali cominciano a parlare di torture e scatta l'indagine contro di me e gli
altri per il caso Di Lenardo mi faccio vivo con Improta, gli dico che non
voglio restare con il cerino in mano, che devono difendermi. Lui promette, dice
di non preoccuparmi, ma solo l'elezione al Parlamento propostami dal Partito
socialdemocratico mi toglie dal processo. Gli altri quattro arrestati con me
vengono condannati in primo grado e, alla fine, amnistiati.»
Grazie per questo post. Per tutti, chiaro, ma in particolare per questo.
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