Il risultato elettorale del 4 marzo scaturisce da un
voto di scambio basato su promesse elettorali in gran parte palesemente irrealizzabili
e che nulla hanno a che vedere con la costruzione di un welfare robusto e sorretto
da politiche fiscali adeguate. A leggere il “contratto” appare chiaro che la
vaghezza sui tempi e le coperture, così come su altri “dettagli”, non è
casuale. La prima bozza confessava l’azzardo laddove si fantasticava della
cassazione di 250 miliardi del debito. In realtà ciò che si prospetta sulla
base di tali promesse è un ulteriore e massiccio aumento del debito che
condurrà al collasso della finanza pubblica.
Del resto, che Lega e Movimento abbiano trovato
davvero un punto di convergenza nel cosiddetto “contratto”, e cioè su alcune questioni
cruciali di ordine economico e sociale, a me pare realisticamente assai dubbio.
Le parti hanno giocato la partita con carte truccate, l’improvvisazione e
l’impreparazione hanno fatto il resto.
Gli esempi più noti sono quelli della tassa piatta e dell’ancor
vago progetto sul reddito di cittadinanza, ossia, da un lato, la riduzione delle
tasse per i più abbienti e, dall’altro, l’estensione di un sussidio universale
per il proletariato giovanile e per chiunque si trovi, per volontà o necessità,
in una certa condizione reddituale. Sono due obiettivi antitetici e destinati a
procedere ognuno in direzione opposta.
Prima di un anno vedremo che ristagneranno vecchie
piaghe e si aggraveranno contenziosi cornici, l’evasione fiscale non avrà
ceduto di un palmo, e i conti pubblici saranno ancor più dissestati. A quel
punto per pararsi il culo si fantasticherà di complotti ordo-liberisti, di quel
toccasana che sarebbe la moneta nazionale e invece di quale nequizia sia
l’euro, insomma del fatto che “non ci hanno lasciato lavorare” e altre solite
cose tipicamente nostre.
Non è mera questione di legge elettorale, in campo vi
sono due forze politiche che rappresentano la frattura reale del paese, e che
però entrambe mettono in discussione, con i loro atteggiamenti e le loro
divergenti istanze, le regole proprie di un sistema parlamentare. Non è
difficile immaginare che alle prossime elezioni, che tutti dicono non essere
lontane, tale frattura geopolitica possa allargarsi pericolosamente portando a
rischi che non è azzardato definire “balcanici” se la situazione dei conti
pubblici dovesse precipitare.
Un’ultima considerazione, questa a riguardo di quanto
sta succedendo nel disciolto Partito democratico. Dopo essere stato incapace
per almeno dieci anni di elaborare un nuovo patto sociale e dunque una
strategia politica adeguata ai tempi, ha finito per alimentare ogni sorta di
sfiducia, che non può essere recuperata semplicemente adombrando il ritorno a
vecchi parametri riformistici e ideologici.
Dopo le elezioni questo partito, pur diviso, era nei
numeri l’ago della bilancia per contenere la deriva verso la quale ci porterà
invece l’accordo Lega-M5S. È prevalsa la linea dell’egocentrismo, l’attendismo vigliacco
del pop-corn, che ricorda, non so quanto in condizioni diverse, il bivacco nella
tristemente nota sala dell’Avventino.
S’è aperto così lo scenario del "tanto peggio-tanto
meglio", indietro non si torna e perciò ognuno si prepari come può.
la paura dipende sempre da quanto si ha da perdere.
RispondiEliminaL'improvvisazione e l'approssimazione non fanno paura, anzi, in Italia, confortano.
quando un sistema entra in convulsione rischiamo tutti
Eliminaera ora.
RispondiEliminaUna cosa però è preoccuparsi per degli epifenomeni come quelli del governo; altra per la profondità del dissidio italiano dove le contraddizioni fra avere e fare sono ormai insostenibili.
come non di rado ti capita, non hai capito a cosa mi riferisco: non alla "roba", tranquillo
EliminaE quindi quando la polizia o l'esercito si misurerà con la folla le manganellate saranno sempre i soliti a prenderle..
RispondiEliminaUn caro saluto
Roberto
bè, italia improvvisamente avanguardia politica d' europa. la crisi morde in un paese stavolta pesante
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