Una delle idee forti che la sinistra liberale ha
coltivato e difeso nel secondo dopoguerra è stata quella che vede la società
borghese in costante e generale evoluzione. Non ha mai contemplato, di là di
alcune battute d’arresto che però non riguardavano direttamente le democrazie
occidentali, la possibilità di una vera regressione politica e civile.
I mutamenti strutturali indotti dalla rivoluzione scientifica e tecnica in atto, quelli connessi con i nuovi assetti economici e geopolitici, il
tema del lavoro e le dinamiche demografiche, le migrazioni e le disuguaglianze,
sono tutti problemi che si pensava (e si pensa) di poter ricondurre nell’alveo
del tradizionale riformismo grazie all’impegno delle forze progressiste e
liberali della società, al generale miglioramento delle condizioni sociali e
civili che pure vi è stato.
In realtà è successo che questo paradigma ha subito
l’urto rapido e violento di tutti questi mutamenti senza che il riformismo
fosse capace di incidere sulle dinamiche della globalizzazione e porre un freno
alla forsennata espansione finanziaria del capitalismo. Anzi, tale processo è
stato mille volte favorito e potenziato in nome delle sorti magnifiche e
progressive della nuova fase apertasi con la fine della guerra fredda, aderendo
alle ricette neoliberiste senza riguardo per tutto ciò che veniva ad essere sconvolto
da capo a piedi.
Tale incapacità va rintracciata nel codice genetico
del riformismo stesso, laddove s’è creduto da un lato che bastasse agire sul
fronte dei diritti civili e garantire le precedenti forme e dimensioni del
welfare, cosa che peraltro si scontra con la crisi fiscale dello Stato, e
dall’altro dalla mancanza di opzioni reali poiché le
leggi della contesa capitalistica si fanno beffe di queste illusioni.
Le nuove tecnologie e la competizione sempre più
serrata hanno avuto un’incidenza drammatica sui livelli di occupazione e sulle
condizioni di sfruttamento del lavoro, determinando un senso crescente d’insicurezza
e di esclusione personale e generazionale che ha come ovvio e naturale effetto
il crollo della fiducia nei valori e principi di questa società.
Finora il malessere e la protesta sociale sono stati
catalizzati da movimenti populisti considerati tutto sommato compatibili con il
sistema, spesso appoggiati da alcune fazioni importanti del potere reale per motivi che meriterebbero
attenzione. E però questa condizione di crescente marginalità e povertà non
sarà risolta o anche solo arginata dalle iniziative di questi movimenti, poiché
neanche loro possiedono ricette adeguate, e anzi finiranno per esasperare ancor
più il conflitto sociale a causa di programmi di riforma che non è improprio
definire cervellotici.
Più di otto anni fa, e sembra ormai un altro tempo,
qui scrivevo: Marx sosteneva che ogni epoca si pone solo i problemi che può risolvere,
e questo è vero; e oggi siamo giunti precisamente al punto in cui non è più
possibile risolverne nessuno senza risolverli tutti.
Al prossimo colpo di maglio della crisi, che non
tarderà, dai movimenti populisti o loro propaggini scaturirà qualcosa di più inquietante
e pericoloso. Le premesse ci sono tutte, con una differenza rispetto al passato,
e cioè che a contrastare la marea nera, sia pure su una linea di contenimento, non
ci sarà pronta una sinistra ideologicamente motivata e organizzata, meno che
meno in Italia dove a forza d’ibridazioni e di demolizioni non ne rimane traccia.
Da condividere dalla prima all’ultima parola.
RispondiEliminaTroppo brava,come sempre. Grazie.
Marco
Ritengo sia una fredda lettura, seppur parziale, della realtà presente e quale va prefigurandosi, credo senza gratuiti allarmismi. Di Maio&C. così come Salvini sono due briscoline, non fanno paura a nessuno. La prossima legge finanziaria ci dirà l’entità del danno causato e anche quanti consensi perderanno. È ciò che si sta addensando sopra le nostre teste che deve preoccupare alla luce delle contraddizioni che non solo non verranno risolte ma che sono destinate ad deflagrare nella crisi di un sistema economico che va dritto per le sue leggi.
EliminaGrazie, ciao
Il punto che nessuno vuole o può nè toccare nè mettere in discussione a mio avviso (tra tanti altri beninteso che potrebbero essere al pari in quanto importanza ed urgenza sia ben chiaro) è il crollo verticale del mondo del lavoro e delle sue tutele e specifiche.
RispondiEliminaCosì che vent'anni sembrano duecento. In negativo ovviamente, nessuno parla apertamente su nessun media di rilevanza nazionale di cosa sia lavorare oggi in un rapporto subalterno tra imprenditore/lavoratore, o meglio, se ne parla comunque come per tutto del resto sempre in toni di propaganda, di visione soggettiva.
Se il sistema è questo, se la partita è truccata, cambiare la casacca dei giocatori mi domando a cosa possa ancora servire.
Un caro saluto
Roberto
Perché di queste lotte, non se ne parla mai?
RispondiEliminahttp://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2018/05/26/brasile-sciopero-camionisti-e-emergenza_ab1211bf-6da7-4ef7-8931-7ee7b6a5a6dd.html
le prossime elezioni si pongono come un referendum pro-contro euro
RispondiEliminale basi di lega e 5s non so fino a che punto seguiranno questi presunti anti establishment, che di anti establishment (nel senso di classe) nel contratto non ci avevano ovviamente scritto nulla, neanche dell' euro si parlava
questo conflitto istituzionale ha fatto venire allo scoperto posizioni mimetizzate