Sto leggendo un buon libro che parla della storia del
Medio Oriente, pubblicato da Marcella Emiliani, una storica di vaglia che si
vede di frequente anche sui canali di Rai Storia. Ha per titolo: Medio Oriente. Una storia dal 1918 al 1991.
Tutti gli accordi tra le potenze europee che
riguardano la spartizione dell’Impero ottomano sono precedenti il 1918, dunque
perché Marcella Emiliani parte proprio dal 1918, come recita il sottotitolo del
libro? Va dato atto tuttavia che la professoressa non manca di tracciare un
quadro degli avvenimenti che precedono il 1918:
È
del 1916 l’accordo Sykes-Picot con
cui Francia e Gran Bretagna si spartivano i territori della cosiddetta
Mezzaluna fertile: Palestina, Giordania e Iraq sarebbero andati alla Gran
Bretagna ; Siria e Libano alla Francia. Solo l’anno dopo, nel 1917, la Gran
Bretagna si impegnava con il Congresso sionista mondiale a garantire
l’esistenza di un “focolare nazionale ebraico” in Palestina […].
L’accordo Sykes-Picot doveva rimanere segreto perché avrebbe suscitato le ire
delle altre potenze europee, ma soprattutto perché rappresentava un vero e proprio tradimento delle promesse
che la Gran Bretagna aveva fatto agli arabi pur di ottenere il loro
appoggio nella guerra contro l’Impero ottomano alleato degli imperi centrali (p. 19).
Il lettore legge e corre via. A quale tradimento inglese
nei riguardi degli arabi si riferisce la professoressa Emiliani? Si tratta degli
accordi intervenuti tra lo Sceriffo della Mecca, Hussein ibn Ali, e l’Alto
Commissario britannico per l’Egitto, Henry McMahon, contenuti nella loro corrispondenza intercorsa nel periodo
tra il 14 luglio 1915 e 10 marzo 1916. È fondamentale sapere in dettaglio di
tali accordi per comprendere la complessa storia che porterà alla
configurazione del Medio Oriente quale noi lo conosciamo. È grazie al noto
orientalista Ernesto Rossi, nel suo libro Documenti
sull'origine e gli sviluppi della questione araba (1875-1944), pubblicato a
Roma nel 1944 dall’Istituto per l'Oriente, che possiamo leggere la traduzione
di quella corrispondenza.
Prima però di riportare gli stralci più significativi
di alcune di quelle lettere credo sia opportuno lasciare la parola ad uno dei
principali protagonisti di quella vicenda storica, ossia alle memorie redatte
da Thomas Edward Lawrence:
La
rivolta araba [dei
beduini hijazi contro i turchi, nota mia]
era cominciata sotto false pretese. Per acquistarsi l'aiuto dello sceriffo, il
nostro Gabinetto si era offerto, tramite Sir Henry McMahon, di appoggiare
l'insediamento di governi indipendenti in alcune parti della Siria, e della Mesopotamia,
«salvi restando gli interessi della nostra alleata, la Francia». Quest'ultima
insignificante clausola nascondeva un trattato (tenuto segreto, sinché non fu
troppo tardi, a McMahon e quindi anche allo sceriffo) con il quale la Francia,
l'Inghilterra e la Russia avevano convenuto di annettersi alcune regioni arabe,
e di estendere le loro rispettive sfere d'influenza su tutto il resto. Le voci
di questo tranello arrivarono all'orecchio degli Arabi dalla Turchia. In
Oriente si dava più affidamento alle persone che alle istituzioni. Perciò gli
Arabi, avendo sperimentato la mia amicizia e la mia sincerità sotto il fuoco,
chiesero da me, come libero agente, di confermare le promesse del Governo
britannico. Io non avevo avuto nessuna precedente né precisa conoscenza delle garanzie
offerte da McMahon e dal trattato di Sykes-Picot, ambedue elaborati da uffici
di emergenza del Ministero degli Esteri. Ma, non essendo pazzo del tutto,
capivo che, se avessimo vinto la guerra, le nostre promesse fatte agli Arabi
sarebbero rimaste lettera morta. Se fossi stato un consigliere coscienzioso,
avrei rimandato a casa i miei uomini e non avrei permesso che rischiassero la
vita per una simile faccenda. Ma l'entusiasmo degli Arabi restava il nostro strumento
principale per vincere la guerra in Oriente. Così li assicurai che
l'Inghilterra manteneva la sua parola nella lettera e nello spirito. Con questa
certezza essi compirono i loro atti eroici, ma naturalmente, anziché essere
orgoglioso delle nostre azioni in comune, cedevo continuamente ad un sentimento
di amara vergogna. Ebbi la chiara visione della mia situazione una sera, quando
il vecchio Nuri Shaalan, nella sua grande tenda, estrasse una serie di documenti,
e mi chiese quale delle garanzie inglesi fosse degna di fede. Sull'animo suo,
dopo la mia risposta, poteva basarsi la riuscita o l'insuccesso di Feisal. Finii
per consigliargli, facendo forza a me stesso, di affidarsi alla contraddizione
più recente. Quest'abile risposta mi portò, in sei mesi, ad essere il
principale confidente della rivolta. (*)
E veniamo alla traduzione delle lettere, anzitutto
a quella fondamentale datata 24 ottobre 1915, a firma di MaMahon e diretta a
Hussein, Sceriffo della Mecca:
[…]
Rimpiango che abbiate ricevuto dalla mia ultima lettera l’impressione che io
consideri la questione dei limiti e confini con freddezza ed esitazione; così
non è, ma mi sembrava che non fosse ancora venuto il tempo di discutere la
questione in modo conclusivo.
Ho
però compreso dalla vostra ultima lettera che voi considerate questa questione
di importanza vitale ed urgente. Quindi, senza perdere tempo, ho informato il
Governo britannico del contenuto della vostra lettera, e con grande piacere vi
comunico da perte sua la seguente dichiarazione, che confido riceverete con
soddisfazione.
I
distretti di Mersina e Alessandretta e le parti della Siria poste a ovest dei
distretti di Damasco, Homs, Hamàh, Aleppo, non si possono dire puramente arabi,
e andrebbero esclusi dai confini richiesti.
Con
le modifiche suddette, e senza pregiudizio dei nostri precedenti trattati con
capi arabi, accettiamo detti confini.
Quanto
alle regioni poste all'interno entro quelle frontiere in cui la Gran Bretagna è
libera di agire senza danneggiare gli interessi della Francia sua alleata, sono
autorizzato a nome del Governo britannico a dare le seguenti assicurazioni ed a
rispondere come segue alla vostra lettera:
1. Salve
le precedenti modifiche, la Gran Bretagna è pronta a riconoscere e sostenere l'indipendenza
degli Arabi entro tutti i confini
richiesti dallo Sceriffo di Mecca.
2. La
Gran Bretagna garantirà i Luoghi Santi contro ogni aggressione esterna e ne
riconoscerà l’inviolabilità.
3. […].
Lo Sceriffo della Mecca, in
una precedente lettera, datata 14 luglio 1915, chiedeva all’Alto
Commissario britannico per l’Egitto, che l’Inghilterra riconoscesse:
…
l’indipendenza dei paesi Arabi, limitati a nord da Mersina e Adana, fino al 37° parallelo di latitudine,
sul quale si trovano Biregik, Urfa, Mardin, Midiat, Gaziret (Ibn ‘Omar),
Amadia, fino al confine della Persia; ad est dal confine persiano fino al Golfo
di Bassora; a sud dell’Oceano Indiano, eccettuata ka posizione di Aden, che
resterà com’è; ad ovest dal Mar Rosso e dal mediterraneo fino a Mersina.
L’Inghilterra approverà l’approvazione di un Califfato arabo dell’Islam.
Pertanto, come abbiamo visto, la Gran Bretagna,
tramite il suo Alto Commissario, con la lettera 24 ottobre 1915, si era detta “pronta a riconoscere e sostenere
l'indipendenza degli Arabi entro tutti i
confini richiesti dallo Sceriffo di Mecca”, cioè fino al 37° parallelo di latitudine, salvo i “distretti di Mersina e Alessandretta e le
parti della Siria poste a ovest dei distretti di Damasco, Homs, Hamàh, Aleppo”.
Non si fa esplicita menzione della Palestina, e da tale
ambiguità nascerà una inesauribile diatriba.
Dopo il conflitto, l’8 settembre 1919, T.E. Lawrence
mandò al Times una lettera che fu in
parte soppressa. Ne ho qui davanti a me la versione integrale, il passo che
interessa è il seguente:
La
promessa dell’Inghilterra al re Hussein, in data 24 ottore 1915, garantisce, a
condizione che vi sia una rivolta araba, di riconoscere l’indipendenza degli
Arabi a sud del 37° grado di latitudine, eccettuando le province di Baghdad e
Basra, dove gli interessi inglesi richiedono speciali misure di controllo
amministrativo, e eccettuando i luoghi nei quali la Gran Bretagna non è “libera
di agire senza ledere gli interessi della Francia”.
Il 37° parallelo Nord si trova a passare nel
Mediterraneo (Gerusalemme è posta su 31°, 47’) e dunque dovrebbe intendersi che
negli accordi intercorsi tra l’Alto Commissario e lo Sceriffo della Mecca, la
Palestina (posta a sud del 37°) fosse inclusa nei territori richiesti dagli
arabi e riconosciuti ad essi. Scrive al riguardo la prof. Emiliani:
Nel
carteggio intercorso, Londra non specificò mai i confini di questo “grande
Stato arabo” e finse anche di non sapere che l’ambizione di Hussein era quella
di restaurare un vero e proprio Califfato.
Ciò non corrisponde ai fatti, poiché, come s’è visto,
nella lettera di Hussein del 14 luglio 1915 le
richieste sono ben precise, compresa quella relativa al riconoscimento del
Califfato, e molto specifiche sono le eccezioni poste da McMahon nella sua del
successivo 24 ottobre con la quale accoglie le richieste dello Sceriffo.
Rosellina Balbi, che non può essere tacciata di essere
stata filoaraba, scriveva nel suo Hatikvà,
il ritorno degli ebrei nella Terra Promessa:
[…]
si è discusso a lungo se la Palestina facesse o no parte delle zone promesse ad
Hussein. Secondo lo storico inglese Toynbee, sì; altri studiosi hanno espresso
un parere opposto.
Vero è che con gli accordi segreti con Francia e
Russia da una parte, che saranno resi pubblici da Lenin, e dall’altra con
l’accordo con gli arabi, l’Inghilterra giocava su due tavoli la sua partita
sulla spartizione della “carcassa del turco”.
Andiamo al 1919, ossia alla Conferenza di pace di
Parigi. Una sezione della Conferenza fu incaricata di trattare della questione
mediorientale nell’intento di far quadrare il cerchio delle diverse promesse
britanniche. Ciò condusse a un sistema mandatario in cui la Gran Bretagna
governava sulla Palestina, la Transgiordania e l’Iraq, e la Francia sulla Siria
e il Libano. Da ciò, si può ben comprendere, il perdurante astio degli arabi
verso la Gran Bretagna – e, per estensione, all’intero Occidente – accusati di
essersi rimangiati le loro promesse, quantunque il contributo arabo della
rivolta contro gli ottomani, dal punto di vista bellico, si possa considerare
un “evento marginale”, come ebbe ad ammettere lo stesso Lawrence. A
Gerusalemme, Damasco, Aleppo e Baghdad i nazionalisti arabi durante il
conflitto si erano eclissati e la popolazione non fu certo dalla parte degli
“infedeli”.
Fin qui,
per sommi capi, la vicenda che ebbe al centro la corrispondenza Hussein-McMahon
e il ruolo di T.E. Lawrence, un personaggio che più di cento biografi e il
celebre film di David Lean hanno contribuito a rendere irreale.
Si troverà mai un accordo tra palestinesi ed ebrei?
Personalmente non credo, non almeno fino a quando continuerà ad esistere uno
Stato-nazione chiamato Israele e fintanto che i palestinesi punteranno ad avere
un proprio Stato-nazione. Insomma, fino a quando esisterà una società di
classe, di razze e di religioni.
*
Com’è stato costituito il mito dall'esilio del
“popolo ebreo”, com’è diventato la suprema cauzione dei diritti storici sulla
Palestina, secondo la retorica sionista della Terra d'Israele? D’incongruenze
nella presunta storia biblica degli ebrei ce ne sono a bizzeffe, a cominciare
dal mitico Mosè, il quale non ha potuto condurre gli ebrei fuori dall’Egitto
verso la «terra promessa», per la semplice ragione che, in quel tempo, la terra
promessa era in mano agli egiziani. Del resto non si trova traccia di una
rivolta di schiavi nell’impero dei faraoni, né di una veloce conquista del paese
di Canaan ad opera di un elemento straniero. Così come, riguardo al seguito, non
esiste alcuna fonte storica antica che parli della cacciata degli ebrei dalla
Palestina da parte dei romani, evento fondatore nella storia degli ebrei. Se
non c’è stato un esilio dalla Palestina romanizzata, da dove provengono i
numerosi ebrei che vivono intorno al Mediterraneo fin dall’Antichità? Le
risposte a queste domande si possono trovare nel libro di uno storico
israeliano, Shlomo Sand: L’invenzione del
popolo ebraico, Rizzoli, 2010.
(*) I sette
pilastri della saggezza, Bompiani, 1983, pp. 323-24. Nell'originale inglese: The Arab Revolt had begun on false pretences. To gain
the Sherif’s help our Cabinet had offered, through Sir Henry McMahon, to
support the establishment of native governments in parts of Syria and
Mesopotamia, ‘saving the interests of our ally, France’. The last modest clause
concealed a treaty (kept secret, till too late, from McMahon, and therefore
from the Sherif) by which France, England and Russia agreed to annex some of
these promised areas, and to establish their respective spheres of influence
over all the rest.
Rumours of the fraud reached Arab ears, from Turkey.
In the East persons were more trusted than institutions. So the Arabs, having tested
my friendliness and sincerity under fire, asked me, as a free agent, to endorse
the promises of the British Government. I had had no previous or inner
knowledge of the McMahon pledges and the Sykes-Picot treaty, which were both
framed by war-time branches of the
Foreign Office. But, not being a perfect fool, I could
see that if we won the war the promises to the Arabs were dead paper. Had I
been an honourable adviser I would have sent my men home, and not let them risk
their lives for such stuff. Yet the Arab inspiration was our main tool in
winning the Eastern war. So I assured them that England kept her word in letter
and spirit. In this comfort they performed their fine things: but, of course,
instead of being proud of what we did together, I was continually and bitterly
ashamed.
Clear sight of my position came to me one night, when
old Nuri Shaalan in his aisled tent brought out a file of documents and asked which
British pledge was to be believed. In his mood, upon my answer, lay the success
or failure of Feisal. My advice, uttered with some agony of mind, was to trust
the latest in date of the contradictions. This disingenuous ansie promoted me,
in six months, to be chief confidence-man. In Hejaz the Sherifs were
everything, and I had allayed my conscience bytelling Feisal how hollow his
basis was. In Syria England was mighty and the Sherif very low. So I became the
principal.
Weizmann, Acetone, Cordite, Lloyd George, Churchill, Balfour, Palestina.
RispondiEliminahttps://www.winstonchurchill.org/publications/finest-hour/finest-hour-170/churchill-and-dr-chaim-weizmann-scientist-zionist-and-israeli-statesman
http://davidson.weizmann.ac.il/en/online/sciencehistory/scientific-context-balfour-declaration
http://www.historyextra.com/conker
L'Inghilterra era allora la regina dei mari, non aveva rivali e voleva il canale di Suez per suo uso e consumo, visto che le serviva per andare in India, quindi ha tramato, ingannato, rimangiandosi parole e trattati già stipulati,proprio come gli amati cugini USA fecero coi nativi americani, solo che agli USA andò bene, all'Inghilterra no e ci trascina tutti quanti nelle infinite guerre del Mediterraneo, con l'aiuto della Francia e degli USA sempre pronti a esportare armi e guerre, il sionismo ha fatto il resto.......
RispondiEliminaCaifa.
Tutto bene Olympe?
RispondiEliminaQuesto suo silenzio, è assordante!
tutto bene, grazie
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