Venti punti tondi in meno rispetto
alle regionali di dieci anni fa e dodici punti sotto rispetto a quelle
precedenti. Ben il 48 per cento degli elettori, per i più vari motivi ma
sostanzialmente perché non credono più in questo sistema della delega in bianco,
hanno deciso di non farsi prendere per il culo ancora una volta. Se poi s’aggiunge
a questo dato il fatto che il M5S è ormai una realtà elettorale nazionale consistente e duratura con
cui fare i conti, l’establishment dovrebbe trarne un’unica conclusione, ma
ovviamente non lo farà.
Questo risultato elettorale non mostra solo la dissoluzione del sistema politico della rappresentanza così come intesa da sempre, ma la distanza che corre tra questo sistema e la società e su cui ormai nessuna propaganda riesce a fare da ponte.
Un governo dopo l’altro “punta
a crescenti rinunce di sovranità in campo economico ma anche politico e
istituzionale”, come scriveva Scalfari ieri. E dovrebbe essere questo il dato
su cui più riflettere, ossia quanto questa cessione di autonomia e sovranità
abbia giovato alle classi subalterne. È sufficiente un raffronto tra il potere
d’acquisto di salari e pensioni di tre lustri or sono con quello attuale per
avere chiaro cos’ha prodotto l’uso politico della moneta unica e la dittatura liberista.
Terremotare per anni il quadro
sociale di un paese non è mai senza conseguenze. Un po' alla volta si sta prendendo atto che votare in un sistema
sociale come questo non solo è inutile ma serve a legittimarlo. L’inutilità è
dimostrata, tra l’altro, chiaramente da ciò che sta avvenendo in Grecia con il
rischio che alla prossima tornata elettorale vinca l’estrema destra. Per quanto
riguarda la legittimità, le elezioni in cui vota la maggioranza degli elettori
sono la foglia di fico di un sistema improntato, tanto per stare sulle
generali, sulle più marcate diseguaglianze sociali, su una tassazione che
riguarda fondamentalmente i salariati, sulla predominanza di un apparato
burocratico corrotto e vessatorio, ecc. ecc. ecc..
L'astensione ha anzitutto lo scopo di togliere l'alibi democratico a questo sistema e di metterlo a nudo per ciò che esso realmente rappresenta per quanto riguarda gli effettivi interessi di classe. L'astensione è un atto politico. Un atto politico fondamentale, seppur ancora di per sé insufficiente, propedeutico.
Non sarà un caso che “l'aumento
massiccio delle astensioni” è il segnale politico più forte che arriva da
queste elezioni, e a riconoscerne esplicitamente l’importanza era già
ieri nel suo editoriale uno dei più autorevoli portavoce della borghesia
italiana, il liberista sempreverde ed europeista inossidabile Eugenio Scalfari. Il quale
ieri descriveva anche gli effetti che avrebbe il nuovo disegno di legge sui
partiti: “un imbarbarimento generale e la nostra democrazia diventerebbe ancora
più fragile ed effimera di quanto già non sia”. E ciò segue quanto ha scritto
due settimane or sono in tema di riforma elettorale, e cioè che questa “non è
neppure più una democrazia, a rifletterci bene”.
E se lo dice lui, non resta che prenderlo in parola.
E se lo dice lui, non resta che prenderlo in parola.
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E i consigli regionali si insedieranno come niente fosse accaduto. Importa sega loro, vero.
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