Con
questa calura servono letture leggiere e perciò, scartato ogni ultimo
capolavoro nella gamma dal mediocre al pessimo, il racconto storico soccorre
come solito. Il libro è fresco di stampa, un mattoncino di 429 pagine, ben
corredato di topografia dei luoghi in cui si svolsero i fatti scorrevolmente
narrati. L’autore è Antony Beevor, un ex ufficiale britannico ed esperto di
storia militare. Il lavoro ha per titolo Ardenne
1944, ma nell’edizione italiana hanno aggiunto un pleonastico sottotitolo: L’ultima sfida di Hitler.
Il
libro è interessante per diversi aspetti che forse i non cultori del genere
ignorano, per gli altri vale punti il ripasso: repetitio est mater studiorum. Per quanto la cosa sia nota si resta
sempre un poco sorpresi dal fatto che i più alti gerarchi nazisti fino
all’ultimo tentassero di farsi le scarpe l’un l’altro. Anche nel campo degli
alleati era guerra aperta tra i vari generaloni – e anche su questo Hitler
puntava –, tra tutti quello tra Montgomery ed Eisenhower, con relativo scambio
di complimenti piccati, e la più nota e feroce disputa tra De Gaulle e
Churchill.
Hitler
ebbe a dichiarare alla riunione del 31 agosto: “Verranno momenti in cui le
tensioni fra gli Alleati diventeranno così forti che una rottura sarà
inevitabile. Nella storia del mondo, prima o poi le coalizioni si sono sempre
disfatte”. Il Führer conservava, anche dopo l’attentato del 20 luglio e la
paranoia che ne seguì, una lucidità che gli consentiva di valutare con realismo
la situazione. Egli voleva trasformare ogni città, ogni borgo, in una fortezza,
come successe ad Aquisgrana (il libro dedica un capitolo). Nel suo sprezzante
cinismo Hitler sapeva che ogni giorno di guerra procrastinava la sua fine.
Il
dissidio tra Montgomery ed Eisenhower fu causa della mancata e rapida presa del
porto di Anversa, strategicamente fondamentale per i rifornimenti delle armate
alleate. E proprio sulla questione dei rifornimenti si possono leggere (dalle
parti di pagina 66) le cose più curiose riportate dal libro. Qualche esempio.
In
genere i soldati pareggiavano le spese in alcol e prostitute (Pigalle veniva
chiamata Pig Alley) comprando stecche di sigarette a 50 centesimi allo spaccio
militare e le rivendevano a 15-20 dollari. Neanche a Napoli ai tempi d’oro. Le
truppe statunitensi non sfruttavano solo la loro esenzione dalle tasse d’importazione
ma anche il fatto che non erano sottoposti a controlli sul cambio di valuta: potevano
guadagnare somme considerevoli a danno del governo francese convertendo in
dollari la loro paga in franchi francesi al tasso ufficiale, per poi rivendere
i dollari sul mercato nero.
Bande
organizzate, con la complicità dei disertori americani, si diedero al
saccheggio dei rifornimenti: benzina, sigarette e viveri soprattutto. Il racket
più famigerato in quell’autunno fu quello organizzato dal battaglione delle
ferrovie. I soldati aiutavano gruppi di gangster che fermavano i treni in una
curva in modo che gli uomini della polizia militare incaricati di vigilare
contro i furti – che stavano all’estremità del treno – non potessero vederli
mentre scaricavano carne, caffè, sigarette, uniformi, coperte dai treni
ospedale e cibi in scatola. Un pacco di caffè da nove chili poteva essere
venduto per 300 dollari (di quel tempo!) e una scatola di 10 razioni per 100. Nel
giro di un mese sparirono 66 milioni di pacchetti di sigarette.
Si
rubava soprattutto benzina, il carburante che avrebbe dovuto condurre gli
americani a Berlino. I profitti ricavati dalla benzina rubata all’esercito
erano talmente alti che perfino i trafficanti di droga vollero entrare in
questo nuovo mercato. Sparì la metà delle taniche giunte in Europa
continentale. L’inasprimento delle pene, “l’aggiunta di sostanze coloranti per
rendere la benzina più tracciabile e numerosi altri tentativi messi in atto
dalle autorità americane per contrastare queste forme di malavita non
riuscirono ad intaccare un traffico che veniva ad aggravare ulteriormente il
problema dei rifornimenti al fronte”. Parigi prese il nome di
Chicago-sur-Seine.
Centottanta
ufficiali e soldati furono arrestati e condannati per questo genere di attività,
con pene dai tre ai cinquant’anni.
Il
mercato nero proliferava anche dall’altra parte della barricata, cui si
aggiungeva il problema dei lavoratori stranieri. Le classi più ricche erano
sempre più preoccupate di questo problema, per le decine di migliaia di
lavoratori stranieri dentro e attorno alle città, la maggior parte dei quali
era stata deportata ai lavori forzati. I baraccamenti in cui erano alloggiati
venivano dati spesso alle fiamme, lasciandoli così senza un tetto. I negozianti
sostenevano che le bande di stranieri scassinavano le loro botteghe rubando la
merce, “anche se erano loro stessi a vendere i beni mancanti sul mercato nero”
(p. 64).
Le
merci più ricercate erano ovviamente cibo e sigarette. A Berlino una sigaretta
inglese poteva costare fino a cinque marchi, ma una Camel valeva il doppio. Il
caffè costava 600 marchi il chilo ed era dunque fuori della portata quasi di
chiunque, e il suo traffico era per la maggior parte gestito dalle Ss in
Olanda. Naturalmente era diventato uno status
symbol nelle gerarchie naziste, ma è interessante, oltre a quanto racconta
l’Autore del libro, anche quanto scriveva a proposito delle élite privilegiate
del tempo un certo Céline nel suo D'un
château l'autre.
Di
rilievo la descrizione (capitolo 4) di Beevor di come decine di migliaia di
giovani americani, arruolati come rimpiazzi, fossero mandati al massacro
pressoché nell’indifferenza di tutti, anche dei loro compagni più anziani.
“Solo se un rimpiazzo era ancora vivo dopo quarantott’ore passate al fronte,
aveva ancora qualche speranza di resistere un po’ più a lungo”. Uno degli
ufficiali dello stato maggiore del generale Bradley rifletté sul destino di uno
di questi ragazzi spesso nemmeno di vent’anni:
«Le
sue chance di sopravvivenza sembrano essere al massimo, dopo che è giunto al
fronte, forse di una settimana. Ma poi, stando dietro una scrivania in un
quartier generale, [ci] si rende conto, un po’ come l’attuario di una compagnia
di assicurazioni, che quelle probabilità continuano a scendere sempre più,
lentamente ma in modo costante e con certezza matematica. Le probabilità calano
per ogni giorno che rimane sotto il fuoco nemico finché, se ci rimane
abbastanza, si ritrova a essere l’unico numero sulla ruota della roulette che
non è ancora uscito in un’intera serata di scommesse. E lo sa anche lui».
Sarebbe interessante una statistica sulla provenienza sociale dei caduti statunitensi in guerra per vedere quanti figli dell’aristocrazia venale americana sono finiti sottoterra in rapporto ai figli di operai, contadini, impiegati e piccoli bottegai.
Sarebbe interessante una statistica sulla provenienza sociale dei caduti statunitensi in guerra per vedere quanti figli dell’aristocrazia venale americana sono finiti sottoterra in rapporto ai figli di operai, contadini, impiegati e piccoli bottegai.
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