Quando
ci sediamo a tavola per mangiare, due o tre volte il giorno, lo facciamo
senza pensarci troppo, diamo per scontato che ci sediamo a tavola e
troveremo del cibo. La nostra dieta è in genere molto varia, non ci si nutre
più prevalentemente di un solo tipo di cibo come poteva succedere un tempo. Non
di solo pane, non di sole farine e verdure, ma una varietà di cibi tra i quali
possiamo scegliere cosa mangiare di più e cosa di meno. Possiamo anche decidere
in anticipo che cosa mangeremo il mattino per la sera o per il giorno dopo. Il
cibo non è più un problema, o non almeno un problema assillante, anche nelle famiglie più povere c’è cibo abbastanza
per non patire la fame.
La
maggior parte delle persone non si occupa direttamente della produzione,
conservazione e distribuzione del cibo di cui si nutre. È sufficiente che
l’acquisti e lo predisponga per il consumo secondo quantità e gusto. Anche solo molto meno di un secolo fa le cose non stavano così. Procurarsi il cibo in misura
sufficiente ai bisogni era per molte persone un problema non dappoco. Esistevano
poi due livelli di alimentazione, quella dei benestanti e
quella delle persone normali. I poveri, cioè la stragrande maggioranza delle
persone, in genere erano magri, in non rari casi denutriti e malnutriti,
non solo durante i periodi bellici e subito dopo.
Il
cibo prodotto era piuttosto scarso e quanto al suo consumo le
differenze di classe sociale erano, come detto, nettamente più marcate di quanto lo siano
oggi. Non si mangiava perché si aveva appetito, ma con fame. In non poche
famiglie era fame ripetuta, quotidiana e mai soddisfatta. Atavica. Ogni volta
che si presentava l’occasione di poter mangiare un po’ di più non ci si tirava
indietro. Le anime comuni sconoscevano i problemi connessi all’abuso di cibo e soprattutto
al consumo smodato di certi cibi.
Oggi
siamo giunti al punto che produciamo tanto di quel cibo che possiamo sprecarne
una parte non trascurabile, e nonostante vi siano miliardi di persone che
soffrono la fame o non mangiano a sufficienza. Un paradosso solo apparente.
Nelle nostre cosiddette società opulente, invece, ci viene detto che consumiamo
troppa carne di animali nutriti grazie alle coltivazioni, in percentuale un
quarto delle proteine che consumiamo, e il pesce un altro cinque per cento. Il
resto è costituito da vegetali, circa 50mila specie commestibili delle quali
però ne mangiamo solo circa 250: cereali, frutta, verdure, radici, tuberi,
erbe, spezie, ecc.
Il
90 per cento delle calorie lo ricaviamo solo da 15 specie vegetali, dieci delle
quali sono prodotte da tre piante: riso, mais e grano. L’alimentare costituisce
solo il sei per cento dell’economia mondiale, e dunque una piccola porzione del
grande business, una quantità dieci volte inferiore al settore dei servizi.
Però si tratta di una piccola porzione da cui dipende tutto il resto. Si pensi
solo che il 43 per cento della popolazione attiva economicamente, circa 1,4mld
di persone, è costituita da agricoltori.
Quando
parliamo di demografia, di peso economico e di necessità reali, dobbiamo tener
conto di questi dati. Il petrolio fa muovere il mondo, ma riso, mais e grano lo
sfamano. Chiaro che chi controlla la produzione e la manifattura di questi
prodotti ha un grosso potere in mano. Non per caso l’ex segretario
all’Agricoltura di Reagan, John Block, affermava: «L’idea che i paesi in via di
sviluppo debbano nutrire se stessi è un anacronismo proprio di un’era passata.
Piuttosto devono garantire la propria sicurezza
alimentare contando sui prodotti agricoli statunitensi, che si possono
comprare, nella maggior parte dei casi, a un prezzo minore». Poi chiediamoci
perché c’è l’esodo dall’Africa.
Quando
un esponente dell’America che conta tira in ballo la “sicurezza”, qualunque sia
il tema del discorso, allora vuol dire che sta mettendo molta gente nei guai.
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