La
situazione della nostra epoca sembra ricalcare l’esperienza vissuta da Henry
Molaison, un ventisettenne del Connecticut sottoposto nel 1953 a un intervento
sperimentale di "psicochirurgia" per combattere la forte epilessia di
cui soffriva [clicca per l'articolo]. Come sempre accade quando la neochirurgia s’incarica di
rimuovere stati patologici di questo tipo, l’intervento ha avuto come risultato che l'epilessia si attenuò, ma H. M. perse la capacità di creare nuovi ricordi:
conservava una memoria a breve termine che gli consentiva di registrare fatti,
volti, sensazioni per una trentina di secondi, e poi dimenticava tutto.
Mi
pare di poter sostenere che corra una certa analogia con l’eterno presente in
cui noi tutti crediamo di vivere, dimentichi di ciò che è stata la storia e segnatamente
il suo drammatico dipanarsi nel corso del Novecento. Dimentichi troppo spesso
che la memoria storica costruisce il racconto del nostro passato ed è ciò che
ci dà un'identità. Quando si chiedeva ad H.M. di
guardare al futuro egli “rimaneva perplesso perché non poteva viaggiare
mentalmente in avanti nel tempo a breve o a lungo termine. Non aveva gli
elementi per poter costruire l'agenda per il giorno, il mese o l'anno dopo, e
non poteva immaginare le esperienze future”.
Anche
a noi succede, quando dobbiamo “guardare al futuro” di rimanere perplessi e
smarriti, ossia di immaginarlo come una semplice prosecuzione del presente.
Fondamentalmente siamo rimasti espropriati di senso ideologico: la storia delle lotte sociali ci viene raccontata solo come una grande sconfitta, la critica scientifica del modo di produzione capitalistico come un marchiano errore, il sacrificio di milioni di proletari come inutile. Oggi siamo rassegnati al
fatto che la nostra condizione non possa mutare, che una progettazione sociale
di segno opposto a quello dove domina l’oppressione e lo sfruttamento non sia
possibile, o sia agibile solo entro i parametri prestabiliti della riproduzione capitalistica.
Il
più grande risultato ottenuto dalla borghesia imperialista, nel proclamare la
fine delle ideologie e della storia, è stato proprio questo: privarci di una
coscienza di classe e della consapevolezza degli scopi, ossia di una
progettazione consapevole e collettiva del futuro che non sia la mera
riproduzione del presente e del dominio della borghesia. Ogni volta che ci
sentiamo rispondere che il salto dalla preistoria delle società classiste al
socius evoluto e postcapitalista è utopia, che dobbiamo accontentarci di una
semplice e lenta trasformazione delle forme politiche del dominio, ebbene
dobbiamo aver chiaro che chi ci parla in questi termini rappresenta, ne sia
cosciente o meno, gli interessi dei padroni del mondo.
Fino
a quando non ci riappropriamo della nostra storia, di quel sapere che è
coscienza di classe e consapevolezza degli scopi, resteremo prigionieri
rassegnati della nostra condizione di oppressi e di schiavi volontari,
invischiati sempre più in quelle reti e circuiti che trasmettono
l’allucinazione autorizzata che indirizza le nostre emozioni verso bersagli
illusori. Non dico che è facile, che fili via liscio, ma ognuno di noi può alzarsi dal posto numerato che gli è stato assegnato. Del primo passo da
compiere ho già detto, ed è facile; il secondo presenta già qualche difficoltà
in più: prendiamo le distanze dagli angeli della seduzione e dai demoni della
paura, riappropriamoci della nostra memoria.
Post molto appropriato e interessante
RispondiEliminaCaino
"ognuno di noi può alzarsi dal posto numerato che gli è stato assegnato".
RispondiEliminaMa in che modo Olympe?
Saluti da, Franco.
Questa domanda sorge molto spesso anche a me.
EliminaAnche perché non è raro vedere cadere a terra le teste che sporgono dalla fila. Spesso con gli applausi dei vicini di posto, malgrado ne abbiano la divisa imbrattata.
non propongo nessun arrembaggio, nessun avventurismo. a me il post sembra chiaro. ci si può smarcare senza rimetterci la testa.
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