sabato 13 giugno 2015

Il secondo passo


La situazione della nostra epoca sembra ricalcare l’esperienza vissuta da Henry Molaison, un ventisettenne del Connecticut sottoposto nel 1953 a un intervento sperimentale di "psicochirurgia" per combattere la forte epilessia di cui soffriva [clicca per l'articolo]. Come sempre accade quando la neochirurgia s’incarica di rimuovere stati patologici di questo tipo, l’intervento ha avuto come risultato che l'epilessia si attenuò, ma H. M. perse la capacità di creare nuovi ricordi: conservava una memoria a breve termine che gli consentiva di registrare fatti, volti, sensazioni per una trentina di secondi, e poi dimenticava tutto.

Mi pare di poter sostenere che corra una certa analogia con l’eterno presente in cui noi tutti crediamo di vivere, dimentichi di ciò che è stata la storia e segnatamente il suo drammatico dipanarsi nel corso del Novecento. Dimentichi troppo spesso che la memoria storica costruisce il racconto del nostro passato ed è ciò che ci dà un'identità. Quando si chiedeva ad H.M. di guardare al futuro egli “rimaneva perplesso perché non poteva viaggiare mentalmente in avanti nel tempo a breve o a lungo termine. Non aveva gli elementi per poter costruire l'agenda per il giorno, il mese o l'anno dopo, e non poteva immaginare le esperienze future”.

Anche a noi succede, quando dobbiamo “guardare al futuro” di rimanere perplessi e smarriti, ossia di immaginarlo come una semplice prosecuzione del presente. Fondamentalmente siamo rimasti espropriati di senso ideologico: la storia delle lotte sociali ci viene raccontata solo come una grande sconfitta, la critica scientifica del modo di produzione capitalistico come un marchiano errore, il sacrificio di milioni di proletari come inutile. Oggi siamo rassegnati al fatto che la nostra condizione non possa mutare, che una progettazione sociale di segno opposto a quello dove domina l’oppressione e lo sfruttamento non sia possibile, o sia agibile solo entro i parametri prestabiliti della riproduzione capitalistica.




Il più grande risultato ottenuto dalla borghesia imperialista, nel proclamare la fine delle ideologie e della storia, è stato proprio questo: privarci di una coscienza di classe e della consapevolezza degli scopi, ossia di una progettazione consapevole e collettiva del futuro che non sia la mera riproduzione del presente e del dominio della borghesia. Ogni volta che ci sentiamo rispondere che il salto dalla preistoria delle società classiste al socius evoluto e postcapitalista è utopia, che dobbiamo accontentarci di una semplice e lenta trasformazione delle forme politiche del dominio, ebbene dobbiamo aver chiaro che chi ci parla in questi termini rappresenta, ne sia cosciente o meno, gli interessi dei padroni del mondo.


Fino a quando non ci riappropriamo della nostra storia, di quel sapere che è coscienza di classe e consapevolezza degli scopi, resteremo prigionieri rassegnati della nostra condizione di oppressi e di schiavi volontari, invischiati sempre più in quelle reti e circuiti che trasmettono l’allucinazione autorizzata che indirizza le nostre emozioni verso bersagli illusori. Non dico che è facile, che fili via liscio, ma ognuno di noi può alzarsi dal posto numerato che gli è stato assegnato. Del primo passo da compiere ho già detto, ed è facile; il secondo presenta già qualche difficoltà in più: prendiamo le distanze dagli angeli della seduzione e dai demoni della paura, riappropriamoci della nostra memoria.

4 commenti:

  1. Post molto appropriato e interessante

    Caino

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  2. "ognuno di noi può alzarsi dal posto numerato che gli è stato assegnato".

    Ma in che modo Olympe?

    Saluti da, Franco.

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    1. Questa domanda sorge molto spesso anche a me.
      Anche perché non è raro vedere cadere a terra le teste che sporgono dalla fila. Spesso con gli applausi dei vicini di posto, malgrado ne abbiano la divisa imbrattata.

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    2. non propongo nessun arrembaggio, nessun avventurismo. a me il post sembra chiaro. ci si può smarcare senza rimetterci la testa.

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