C’è
una vicenda in corso che dovrebbe tenerci incollati al televisore dalle Alpi ai
Peloritani e invece non se ne sente proprio il bisogno. Si tratta delle grandi
manovre che hanno per oggetto la Cassa depositi e prestiti, a tutti gli effetti
una vera e propria banca. Che cos’è la Cdp? In breve e sostanzialmente si
tratta di una banca che investe i risparmi che raccoglie e gli affida Poste
Italiane, vale a dire la parte bassa del risparmio. Risparmio popolare ma
cospicuo se nel 2013 la Cassa ha collocato 173 miliardi di euro provenienti dal
risparmio postale nel suo conto corrente presso la Tesoreria dello Stato.
In
pratica è un modo per finanziare il debito pubblico, la Cassa presta al Tesoro
i soldi che Poste Italiane raccoglie ricavandone un interesse non proprio
infimo: nel 2013, prima del picco deflazionario, il Tesoro riconosceva alla
Cassa un interesse del 3,4 per cento, non proprio da buttar via. La Cassa ha
riconosciuto a Poste circa 1,7 miliardi in commissioni per la montagna di soldi
nostri che ha ricevuto in gestione, cioè appena lo 0,7%. Sennonché la Cassa
appartiene al Tesoro, ma anche a delle fondazioni bancarie che in tal modo si
dividono il cospicuo dividendo. Anche Poste è del Tesoro, ma ora sta per essere
collocata in Borsa.
Insomma
un bel giro di soldi e d’interessi, una cosa su cui veder chiaro, che ci
dovrebbe interessare direttamente, che può essere spiegata, con i dovuti modi,
e compresa da un ragazzino di prima media ma è invece una cosa, come dicevo, della
quale il popolo asino che lavora e paga sembra non dover essere interessato.
Compito dei talk show è di tenerci occupati in questioni di ben altro momento,
oppure di insegnarci tutti i trucchi e le raffinatezze della salade niçoise.
Ci
ricordiamo dell’Eni, quella del già Enrico Mattei. Lì oltre a molti soldi
c’erano in ballo molti posti di lavoro. Ebbene, nel 1995, quando è scattata la
prima fase della privatizzazione, l’ENI registrava un record del bilancio
consolidato del 1994 che toccava un’utile netto di 3.215 miliardi, il più alto
di tutta la sua storia e uno dei più alti in Italia. E ciò nonostante si decise per l'operazione di privatizzazione, la quale fu rivolta all’intero mercato
azionario con quotazioni a Milano, New York, Londra, Tokyo, con il
coordinamento del Credit SuisseFirt Boston.
Per
rendere più appetibile il boccone, si era provveduto, gridando al lupo e
saccheggiando i conti correnti (Amato Giuliano), svalutando la lira e
diffondendo il panico, sparando ad alzo zero sul “pubblico” e magnificando il
mercato e le progressive meraviglie del privato, a ridurre in pochi anni il personale
dell’Eni del 33,5 per cento (era di circa 84.000 occupati e all’estero
impiegava circa 25.500 dipendenti). Poi seguirono altre fasi del collocamento
delle azioni. I soldi incassati dallo Stato dovevano ridurre il debito
pubblico. S’è visto.
Ricordo la svendita di ENI, e mi chiedo che senso abbia per un qualsiasi imprenditore (in questo caso lo Stato) vendere una delle poche aziende di stato con i conti in positivo e tenersi strette quelle in negativo.
RispondiEliminaSe poi pensiamo ai periodici "ultimi sacrifici" per salvare Alitalia...
Eppure l'Eni qualcuno lo assume sempre alla bisogna.
RispondiEliminaLa decisione, ha detto Pistelli, è nata “chiacchierando con l’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi"
Eliminavedi, ha superato brillantemente il colloquio di lavoro: qualche chiacchiera e assunto alla vicepresidenza Eni