venerdì 4 aprile 2014

È tutto così diverso



Non so voi cosa pensiate di questa Repubblica, ma se andate a votare credete comunque che si tratti di una repubblica democratica. Non so cosa pensiate voi di questa Europa, ma se andate a votare alle europee pensate che l’Europa sia democratica. C’è un parlamento a Roma e un altro a Bruxelles, e ciò basta a dire che si tratta di una faccenda che ha a che fare con la democrazia. Se nell’antica Roma anche gli schiavi avessero potuto votare, pur rimanendo schiavi, si sarebbe potuto affermare che si trattava di un sistema democratico?  Si obietterà che anche con il diritto di voto, la loro condizione non era quella di uomini liberi. Che cosa avrebbero potuto ottenere quegli schiavi per via elettorale, alcuni miglioramenti della loro condizione di schiavi? Probabilmente si sarebbero raggiunti dei compromessi nel conflitto tra padroni e schiavi, soprattutto se nel senato romano il voto dei rappresentanti degli schiavi fosse risultato necessario per mandare avanti la baracca. E però gli schiavi avrebbero potuto ottenere di essere “liberi”? Questo sarebbe stato molto più difficile perché ciò avrebbe comportato un cambiamento molto profondo nello stato dell’economia e dal lato della formalizzazione dei rapporti sociali tra le classi. Tuttavia poniamo che ciò fosse stato possibile e si fosse realizzata la liberazione degli schiavi e la fine del lavoro coattivo. Quale sarebbe stata allora la condizione di quelle persone divenute libere? L'indomani per la loro sussistenza non avrebbero ricevuto nulla dai loro ex padroni, né avrebbero più trovato alloggio presso le loro proprietà. Che cosa avrebbero potuto fare quelle persone nel pieno possesso della loro libertà personale e del loro diritto di voto? Eh, difficile rispondere, non riesco ad immaginare un’analogia storica con tale situazione, è tutto così diverso duemila anni dopo ……

4 commenti:

  1. Penso sia utile oggi- come questo blog fa spesso- parlare di schiavismo. Ci ricorda qual è la condizione di vita e di lavoro di milioni di persone se allarghiamo lo sguardo a tutto il mondo. Su queste condizioni di vita e di lavoro di milioni di schiavi i parlamenti non possono molto, se non continuare a prorogare la loro condizione. Il problema però non è quello. Il problema, io credo, è come viene vissuta oggi la condizione di schiavitù dagli schiavi del terzo millennio. Di solito lo schiavo oggi o non riconosce la propria condizione o la nega oppure ci si adegua pensando che non ha alternative. Meglio una briciola che niente. Questa però è una condizione ormai planetaria: prima potevamo dire che riguardava il cosiddetto terzo e quarto mondo, oggi riguarda anche noi: lo sterminato esercito di riserva per il precariato disposto a negoziare al ribasso purchessia, chi lavora in nero senza garanzia alcuna...
    In questi anni anni il capitalismo è tornato per molti quello che era nell'800. Per concertazioni, tavoli, compromessi non c'è più tempo né ci sono più i soldi sacrificati sull'altare delle politiche di austerità e di "contenimento- che in realtà vuol dire aumento- del debito pubblico.

    Credo che. a proposito di schiavismo, bisognerebbe seriamente rivalutare la figura di Spartaco. Ha tenuto testa alle legioni romane sconfiggendole più volte, aggregò contadini, pastori e ovviamente schiavi prima della disfatta finale. Non a caso a lui si ispirò Rosa Luxemburg con la Lega degli Spartachisti e oggi viviamo davvero tempi da socialismo o barbarie....



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    1. La questione che tu poni ovviamente la condivido. Alludo alla condizione degli schiavi di oggi come fatto comune, generale, non dunque solo dove essa raggiunge livelli di sfruttamento più alti e non solo dove domini la precarietà. Un borghese come Maffeo Pantaleoni poteva ben scrivere che «Allorché un individuo è costretto a pagare e a lavorare per altri, questo individuo è lo schiavo degli altri». E, del resto, basterebbe leggere Cicerone: «I mercanti non possono guadagnare senza mentire, e non c'è nulla di più spregevole della menzogna [...] tutti coloro che vendono la loro fatica e la loro industria, [...] chiunque offra il suo lavoro in cambio di denaro vende se stesso e si mette a livello degli schiavi» (Dei doveri, I, XLII).

      Marx ebbe a scrivere che man mano che la produzione capitalistica procede, si sviluppa una classe operaia che per educazione, tradizione, abitudine, riconosce come leggi naturali ovvie le esigenze di quel modo di produzione. Soggiungo, fin da piccoli, a scuola, c’insegnano che lo schiavo è una figura sociale di epoche arcaiche, che per schiavo si deve intendere colui che è sottoposto direttamente al dominio di un padrone. Passa manco per la capa che tale dominio possa essere esercitato in forme diverse, che così come lo schiavo romano era legato al suo proprietario da catene, allo stesso modo l’operaio salariato lo è al suo da invisibili fili, e che dunque l’apparenza della sua autonomia è mantenuta dal continuo mutare dei padroni individuali e dalla fictio juris dei contratti.

      Vero è che a nessuno piace sentirsi dire che è uno schiavo, tuttavia ognuno può illudersi come vuole, e soggiacere alle lusinghe di un sistema che lo sfrutta e gli fa marameo. Quanto a Spartaco, la sua lotta era destinata al fallimento, ma come dicevano durante la rivolta dei taiping: se combattiamo saremo sconfitti, se non combattiamo saremo sconfitti, allora combattiamo.



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  2. Così come chi ha un blog vuole comunicare con gli altri o chi è felice sente il bisogno di amare l’universo, anche un padrone ha bisogno di comunicare il proprio status di padrone. E Lo schiavo, per il padrone, non è solo un mezzo di produzione (utensile) ma un trofeo da esibire (simbolo). Un SUV non serve solo a guadare il fiume o a salire su cime innevate ma per andare a comprare le sigarette o a fare shopping in centro per farsi vedere. Con la stessa ostentazione di forza del gorilla quando si batte i pugni sul petto o dell’indiano che esibisce lo scalpo dell’uomo bianco. Il lavoro, il lavoratore, lo schiavo, il sottomesso, il subordinato sono la prova provata della supremazia. Non c’è padrone senza servo e viceversa. Il lavoro è il guinzaglio che lega il collo dello schiavo alla mano del padrone. Nei negozi terroni, ma probabilmente ovunque, il proprietario (padrone) anche quando non c’è un cazzo da fare (perché magari non ci sono clienti da servire) ordina alla commessa di lavare di nuovo i vetri lavati un’ora prima o rilavare il pavimento o la manda a comprare la pizza, a prendergli i figli a scuola, a stendere il bucato a casa e ... magari chiedere anche qualche altra “prestazione” pena il licenziamento. Chi osa ribellarsi è uno “schizzinoso” by Fornero. Lo spesso padrone che, ogni tanto, conclude la sua intensa giornata lavorativa urlando parolacce contro il sistema a quinta colonna su retequattro da Paolo del Debbio che intervista le piccole medie imprese che stanno morendo e sono incazzate.
    L’ostentazione di qualcosa (gloria, potere, successo etc.) è un esorcismo contro la paura della morte, l’espressione dell’istinto di sopravvivenza e/o il procacciamento del piacere.
    Naturalmente questi sono gli istinti più bassi, riflessi pavloviani da legge della giungla. Non c’è stata alcuna evoluzione se non nelle mille varianti di fagioli borlotti e nei pisellini primavera findus.
    La vita, purtroppo, è nella dualità. Nell’oscillazione, cioè, tra due soli poli, alto basso, bello brutto, buono cattivo etc. La vita, questo è il paradosso, è come l’elettricità cioè una differenza di potenziale. Ogni forma vitale è movimento, azione, lotta. L’elettricità (la vita) non potrebbe esistere senza uno dei due poli a conferma che anche l’esistenza si nutre della differenza tra padrone e schiavo, tra belli e brutti e buoni e cattivi.
    Tutto il resto è paludoso, statico, morto. Forse è proprio la dualità la vera grande schiavitù da cui discende tutto il resto. Ora mi sono allargato.
    Ciao cara.

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  3. "Eh, difficile rispondere, non riesco ad immaginare un’analogia storica con tale situazione, è tutto così diverso duemila anni dopo..."

    E' vero, solo che io queste differenze non riesco proprio a vederle. Tranne quella di bighellonare in giro senza un soldo in tasca ovviamente.

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