Avvertenza e controindicazioni. Il post (e quello seguente) è
sconsigliato a lettori che mostrino i segni, anche lievi, d’intolleranza alla
amoxicillina e all’intreccio storico tra fatti apparentemente diversi e tra
loro lontani. Questa lettura è peraltro priva di effetto simpatetico in coloro
(popolazione numerosa) che ritengono di non avere più nulla di nuovo da
imparare.
Chi fu Angelo Gatti? Anzitutto fu
uomo d’altri tempi, essendo nato a Capua nel 1875 († 1948), e unanimemente
riconosciuto come un’intelligenza non convenzionale, non solo per la sua epoca.
Il suo nome divenne noto al grande pubblico negli anni Trenta con il successo di un suo romanzo, Ilia e
Alberto, in cui immortalava l'immagine della moglie Emilia Castoldi, ma è noto a noi contemporanei per i suoi saggi storici,
soprattutto per i diari di guerra. Due libri suoi si segnalano sugli altri,
entrambi, non a caso, editi
postumi: Un italiano a Versailles (1958), e Caporetto, diario di guerra (1964).
Gatti fu testimone di prim’ordine, data la sua posizione di capo dell’ufficio
storico, delle vicende del comando supremo retto da Luigi Cadorna, e poi quale
componente, sempre al seguito di Cadorna, del comitato militare interalleato di
Versailles.
Nel primo libro, dedicato alla
missione italiana a Versailles, pubblicato postumo dal fratello Carlo, Angelo Gatti
traccia, con levità ma in modo inesorabile, un ritratto psicologico del Cadorna
poggiandosi su una conoscenza quotidiana diretta. Nella premessa al libro, il
figlio di Luigi Cadorna, Raffaele, scrive che Gatti, “nel deprecare
l’impermeabilità alle suggestioni altrui, ha peraltro illuminato le
inseparabili facce di una stessa medaglia”, un modo elegante per dire quanto
saldo e impermeabile fosse il Cadorna nel suo smisurato egocentrismo, la sua
megalomania di ravvicinare a sé la sorte di Napoleone (su questo argomento
rintraccio ben sei post che avevo scritto nel 2010 e già dimenticati, segno
della tendenza mia a ritornare sui luoghi dei pregressi delitti).
Del secondo libro, Caporetto, non si può assolutamente
prescindere se si vuole leggere un resoconto di prima mano, da parte italiana,
per capire cosa è realmente successo in quei giorni dell’autunno 1917 e
soprattutto quali furono le premesse. Rinunciarvi sarebbe come omettere lo
studio, molto citato e poco frequentato, di Piero Pieri sulla prima guerra
mondiale (*). Caporetto contiene
molte notizie essenziali, quindi ben oltre il mero pettegolezzo diaristico, come
per es. gli illuminanti rapporti redatti dai comandanti di unità intermedie, e fu edito postumo e subito sequestrato
dalla magistratura (prendendo spunto dalla denuncia di un generale che si ebbe
a dire diffamato). Dopo di che il libro scomparve, per ritornare oggi nei
tipi de Il Mulino (15 euro).
E tuttavia, come solito, questa
premessa mi serve per parlare d’altri intrecci. In Caporetto, Gatti descrive un suo incontro, avvenuto nella sera del
3 settembre 1917, con il vice presidente del senato, Emanuele Paternò del
Castello, noto alla voce Treccani
come Paternò principe di Sessa (i Sessa – malgrado quello che ne possa pensare
Carlo Verdone – erano dei nobili, dei marchesi, una delle tre linee di
discendenza dell’antichissima dinastia Paternò). Il racconto dell’incontro con Gatti occupa diverse pagine ed è tutto da leggere e meditare, se non altro
perché spiega a chiare lettere come sia assolutamente illusorio porre una
qualche fiducia e speranza, ieri come oggi, sulle magnifiche sorti e
progressive delle classi dirigenti italiane.
Il senatore Paternò, conosceva
meravigliosamente gli uomini, aveva cultura formidabile e memoria di ferro, “un
uomo – per dirla con Gatti – di una conversazione lapidaria, profonda, piena di
cose”. Egli fu anche uno dei massimi scienziati italiani dell’epoca sua, un
chimico di vaglia, autore d’importanti ricerche nel suo campo (pure sui gas,
come il fosgene), ovviamente professore e socio dei Lincei, eccetera. Suo
allievo fu Domenico Marotta, il quale nel 1917 faceva parte della Commissione
per la macinazione del grano e la panificazione (pure questa commissione
esisteva). Ma di questo incarico del Marotta non c’importa proprio nulla.
Domenico Marotta è noto per ben
altro, e non mi pare che in internet vi sia traccia (se non per gli abbonati di
Le Scienze) di quello che racconterò,
forse, nel prossimo post.
(*) La Prima guerra mondiale (1914-1918), problemi di storia militare,
SME – Uff. Storico, Roma, 1966.
Molto più interessante dell'Eugenio miliardario bollito. E della cronaca ormai a diagramma piatto.
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