lunedì 28 aprile 2014

Da Caporetto alla penicillina


Avvertenza e controindicazioni. Il post (e quello seguente) è sconsigliato a lettori che mostrino i segni, anche lievi, d’intolleranza alla amoxicillina e all’intreccio storico tra fatti apparentemente diversi e tra loro lontani. Questa lettura è peraltro priva di effetto simpatetico in coloro (popolazione numerosa) che ritengono di non avere più nulla di nuovo da imparare.


Chi fu Angelo Gatti? Anzitutto fu uomo d’altri tempi, essendo nato a Capua nel 1875 († 1948), e unanimemente riconosciuto come un’intelligenza non convenzionale, non solo per la sua epoca. Il suo nome divenne noto al grande pubblico negli anni Trenta con il successo di un suo romanzo, Ilia e Alberto, in cui immortalava l'immagine della moglie Emilia Castoldi, ma è noto a noi contemporanei per i suoi saggi storici, soprattutto per i diari di guerra. Due libri suoi si segnalano sugli altri, entrambi, non a caso, editi postumi: Un italiano a Versailles (1958), e Caporetto, diario di guerra (1964). Gatti fu testimone di prim’ordine, data la sua posizione di capo dell’ufficio storico, delle vicende del comando supremo retto da Luigi Cadorna, e poi quale componente, sempre al seguito di Cadorna, del comitato militare interalleato di Versailles.



Nel primo libro, dedicato alla missione italiana a Versailles, pubblicato postumo dal fratello Carlo, Angelo Gatti traccia, con levità ma in modo inesorabile, un ritratto psicologico del Cadorna poggiandosi su una conoscenza quotidiana diretta. Nella premessa al libro, il figlio di Luigi Cadorna, Raffaele, scrive che Gatti, “nel deprecare l’impermeabilità alle suggestioni altrui, ha peraltro illuminato le inseparabili facce di una stessa medaglia”, un modo elegante per dire quanto saldo e impermeabile fosse il Cadorna nel suo smisurato egocentrismo, la sua megalomania di ravvicinare a sé la sorte di Napoleone (su questo argomento rintraccio ben sei post che avevo scritto nel 2010 e già dimenticati, segno della tendenza mia a ritornare sui luoghi dei pregressi delitti).

Del secondo libro, Caporetto, non si può assolutamente prescindere se si vuole leggere un resoconto di prima mano, da parte italiana, per capire cosa è realmente successo in quei giorni dell’autunno 1917 e soprattutto quali furono le premesse. Rinunciarvi sarebbe come omettere lo studio, molto citato e poco frequentato, di Piero Pieri sulla prima guerra mondiale (*). Caporetto contiene molte notizie essenziali, quindi ben oltre il mero pettegolezzo diaristico, come per es. gli illuminanti rapporti redatti dai comandanti di unità intermedie, e fu edito postumo e subito sequestrato dalla magistratura (prendendo spunto dalla denuncia di un generale che si ebbe a dire diffamato). Dopo di che il libro scomparve, per ritornare oggi nei tipi de Il Mulino (15 euro).

E tuttavia, come solito, questa premessa mi serve per parlare d’altri intrecci. In Caporetto, Gatti descrive un suo incontro, avvenuto nella sera del 3 settembre 1917, con il vice presidente del senato, Emanuele Paternò del Castello, noto alla voce Treccani come Paternò principe di Sessa (i Sessa – malgrado quello che ne possa pensare Carlo Verdone – erano dei nobili, dei marchesi, una delle tre linee di discendenza dell’antichissima dinastia Paternò). Il racconto dell’incontro con Gatti occupa diverse pagine ed è tutto da leggere e meditare, se non altro perché spiega a chiare lettere come sia assolutamente illusorio porre una qualche fiducia e speranza, ieri come oggi, sulle magnifiche sorti e progressive delle classi dirigenti italiane.

Il senatore Paternò, conosceva meravigliosamente gli uomini, aveva cultura formidabile e memoria di ferro, “un uomo – per dirla con Gatti – di una conversazione lapidaria, profonda, piena di cose”. Egli fu anche uno dei massimi scienziati italiani dell’epoca sua, un chimico di vaglia, autore d’importanti ricerche nel suo campo (pure sui gas, come il fosgene), ovviamente professore e socio dei Lincei, eccetera. Suo allievo fu Domenico Marotta, il quale nel 1917 faceva parte della Commissione per la macinazione del grano e la panificazione (pure questa commissione esisteva). Ma di questo incarico del Marotta non c’importa proprio nulla.

Domenico Marotta è noto per ben altro, e non mi pare che in internet vi sia traccia (se non per gli abbonati di Le Scienze) di quello che racconterò, forse, nel prossimo post.



(*) La Prima guerra mondiale (1914-1918), problemi di storia militare, SME – Uff. Storico, Roma, 1966.

1 commento:

  1. Molto più interessante dell'Eugenio miliardario bollito. E della cronaca ormai a diagramma piatto.

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