«I filosofi hanno solo interpretato
il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo».
La domanda fatidica è: possiamo mutare il mondo, e in che modo? Noi vediamo
che malgrado i nostri propositi il mondo se ne va per conto suo, secondo le sue
leggi, infischiandosene dei buoni propositi.
Scrive al riguardo Marx, nella prefazione alla prima edizione de Il Capitale, in apparente contraddizione
con se stesso:
«Se pure una società è arrivata a
scoprire la legge di natura del proprio movimento – e scopo ultimo di questa
opera è rivelare la legge economica del movimento della società moderna – non
può né saltare né togliere di mezzo con decreti le fasi naturali dello
svolgimento».
Marx stesso ci dice che noi proprio non ci possiamo fare nulla, nonostante
sia stata scoperta – grazie a lui – la
legge economica del movimento della società moderna, dobbiamo
rassegnarci e attendere che la libertà si presenti come prodotto dello sviluppo storico, non possiamo saltare le sue fasi! Sembrerebbe
dunque che il primo a non credere nella possibilità di mutare il mondo con la
lotta di classe sia proprio Marx.
Tutt’altro. È la coscienza della necessità che diviene coscienza della
libertà, essendo questa il risultato dell'altra. La libertà non è la negazione
della necessità ma ne è l'affermazione, scoprire la necessità significa trovare
la libertà. Senza salti storici, avverte Marx, e tuttavia soggiunge subito dopo:
«[si] può abbreviare e attutire le doglie del parto».
Posto poi che le classi sfruttate non lottano solo per obiettivi economici
immediati, ma anche come movimento di lotta politica, i borghesi di tutte le
risme ammoniscono che tale lotta è utopistica. Bisogna comprendere la loro
resistenza: essi difendono la propria posizione, il bottino, con il solito
corollario di servi.
Essi negano che il mutamento possa stabilirsi nel dominio di noi stessi e
della natura fondato sulla conoscenza delle necessità naturali, nel fare agire le
leggi di natura secondo un piano per un fine determinato. Per contro, essi concepiscono
la società capitalista come un punto d’arrivo, un ordine sociale dove tutto è
lasciato alla spontaneità del caso, alla mitica “mano invisibile” del “mercato”
che premia i “migliori”, i più “adatti”, ossia loro stessi.
Si capisce perciò il successo del più volgare pragmatismo, del determinismo
biologico e dello psichismo. Se siamo e restiamo a livello di una colonia di
topi da ingrassare e affamare a seconda delle circostanze, il compito per lor
signori diviene più comodo e soprattutto senza rischi. Eccoli dunque al lavoro
questi ideologi nell’affermare e far credere, al gregge che vuol credere
ovviamente, che la concezione materialistica della storia marxiana altro non
sarebbe che uno stabilire il primato della produzione materiale, della
“sussistenza”, nelle forme stesse della coscienza umana (*).
Essi, nel loro modo sobrio di pensare, negando la possibilità di
trasformazione cosciente della materia sociale, della produzione e
distribuzione, dell’organizzazione in generale secondo scopi predefiniti, vogliono
dimostrare l’inutilità della lotta di classe quale motore di trasformazione
sociale. Perciò essi insistono, per contro, nel voler dimostrare che sono le
élite a svolgere un ruolo storicamente fondamentale negli avvenimenti, credendo
in tal modo di aver trovato la chiave d’interpretazione del fenomeno storico, non
solo di una data epoca, ma di tutte le epoche storiche. In buona sostanza si
tratta di una teoria storico-filosofica generale la cui virtù suprema consiste
nell’essere sovrastorica.
Essi hanno in mente le vecchie concezioni del socialismo, la cui immaturità
corrispondeva all’immaturità della produzione capitalistica, laddove, per dirla
con Engels, la soluzione delle questioni sociali restava ancora celata nelle
condizioni economiche poco sviluppate e perciò doveva uscire dal cervello
umano. “La società non offriva che
inconvenienti: eliminarli era compito della ragione pensante. Si trattava di
inventare un nuovo e più perfetto sistema di ordinamento sociale e di elargirlo
alla società dall'esterno, con la propaganda e, dove fosse possibile, con
l'esempio di esperimenti modello. Questi nuovi sistemi sociali erano, sin dal
principio, condannati ad essere utopie: quanto più erano elaborati nei loro
particolari, tanto più dovevano andare a finire nella pura fantasia”.
Qualcuno estraneo al marxismo potrebbe restare sorpreso da queste parole,
esse rivelano quanto Marx ed Engels fossero lontani dalle utopie e come, anzi,
essi le combatterono strenuamente per tutta la vita. Perciò, nel loro caso è
appropriato parlare di socialismo scientifico!
Quella di una società senza classi non è né un’utopia né un’idea di stampo
millenaristico, ma necessità dello
sviluppo storico delle forze produttive. E questa necessità, quale
imperativo dello sviluppo storico, Marx ed Engels non hanno lesinato di
dimostrarla, basta leggere di prima mano.
Che noi si abbia coscienza che le istituzioni sociali vigenti sono
irrazionali ed ingiuste, è un segno del fatto che nei metodi di produzione e
nelle forme di scambio si sono verificati dei mutamenti per i quali è ormai
palese che questo ordinamento sociale, che si attagliava a condizioni
economiche precedenti, non va più bene, in esso deflagra la contraddizione che produzione sociale e appropriazione privata
non possono andare ancora insieme.
Gli utopisti borghesi, quelli che hanno proclamato la fine della storia, non
vogliono vedere, tra l’altro, nella crisi generale del modo di produzione
capitalistico che ci sta sotto gli occhi (la ripresa! Tra cinque anni, tra
sette, tra venti!!), come abbia guadagnato in ampiezza e in profondità la
contraddizione e il contrasto tra rapporti di produzione e le forze produttive,
il conflitto in atto fra lo sviluppo materiale della produzione e la sua forma
sociale. La contraddizione si è sviluppata sino a diventare il controsenso per
cui il modo di produzione si ribella contro la forma dello scambio, ed è
altresì palese che la borghesia e dunque il suo personale economico e politico è
incapace di continuare ulteriormente a dirigere le forze produttive sociali. Scrive
Engels:
«Le forze socialmente attive
agiscono in modo assolutamente uguale alle forze naturali: in maniera cieca,
violenta, distruttiva, sino a quando non le riconosciamo e non facciamo i conti
con esse. Ma una volta che le abbiamo riconosciute, che ne abbiamo compreso il
modo di agire, la direzione e gli effetti, dipende solo da noi il sottometterle
sempre più al nostro volere e per mezzo di esse raggiungere i nostri fini. E
questo vale in modo tutto particolare per le odierne potenti forze produttive. Fino a quando ostinatamente ci rifiuteremo
di intenderne la natura e il carattere, e a questa intelligenza si oppongono il
modo di produzione capitalistico e i suoi sostenitori, queste forze agiranno
malgrado noi e contro di noi, e ci domineranno».
Quali trasformazioni subirà, quali forme prenderà questa nuova società?
Tenuto conto che tra la società capitalistica e la società comunista vi è
il periodo della trasformazione rivoluzionaria dell'una nell'altra, a questa
questione si può rispondere solo scientificamente, rilevava Marx, e componendo
migliaia di volte la parola popolo con la parola democrazia, la parola diritti
con la parola uguaglianza, non ci si avvicina alla soluzione del problema
neppure di una spanna (*).
Va altresì tenuto conto che la rivoluzione nella metropoli imperialista non
è proprio quel che si dice una semplice rivolta nichilista e distruttiva. E,
come detto, non è neppure l’inveramento di un sogno centenario. Essa è invece
la più complessa impresa scientifica e la più sublime opera d’arte che siano
mai state compiute su questo pianeta.
(*) Scrive Engels in una sua famosa lettera: «Secondo la concezione materialistica della storia, il fattore in ultima
istanza determinante nella storia è la produzione e la riproduzione della vita
reale. Nulla di più né Marx né io abbiamo mai affermato. Se ora qualcuno
travisa la questione nel senso che il fattore economico sia l’unico, egli
trasforma questa proposizione in una frase astratta, assurda, che non dice
nulla».
(**) Per esempio, qui non si tratta semplicemente di distribuire al meglio
la ricchezza prodotta socialmente. Questo non è comunismo, bensì si tratta di
un “socialismo volgare [che] ha preso dagli economisti borghesi l'abitudine di
considerare e trattare la distribuzione come indipendente dal modo di
produzione, e perciò di rappresentare il socialismo come qualcosa che si aggiri
principalmente attorno alla distribuzione”.
mia cara Olympe , non avendo un tuo recapito personale approfitto di questo spazio per fare gli auguri di buone feste , tanta salute e bellezza a te che sei una persona speciale per me. lucilla
RispondiEliminati ringrazio e ricambio di cuore. scusami per il ritardo
EliminaCiao cara
RispondiEliminati abbraccio forte
spero non troppo forte. ciao carissimo
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