martedì 15 aprile 2014

Un altro Gavrilo?


Quale evento fu più casuale di quello che ebbe per protagonista Gavrilo Princip? L’attentato era fallito, i suoi complici erano fuggiti o arrestati, lui stesso se ne stava mesto e rassegnato davanti a un negozio mangiando un panino, quando accadde ciò che usualmente chiamiamo destino, fato, casualità. L’auto su cui viaggiavano il granduca e sua moglie, già scampati alla bomba, di ritorno dalla cerimonia che si era tenuta in municipio, imboccò una strada sbagliata e l’autista dovette fermarsi e fare manovra per tornare indietro. E tutto ciò proprio a due passi dell’incredulo Gavrilo, il quale deve aver pensato: pazienza per il panino, ma che botta di culo! Sparò a colpo sicuro provocando venti milioni di morti.



Un classico esempio di come nel fuggevole, nell’irripetibile e nel temporaneo compaia il permanente e il duraturo. Di come – per dirla hegelianamente – la casualità diventi necessità assoluta. E del resto, senza la casualità tutto ciò che è irripetibile e transitorio sarebbe già necessità; solo nella formula della casualità il necessario è assoluto. Concetti questi troppo sottovalutati, misconosciuti, anzitutto dalla scienza, quella che crede di poter operare facendo a meno della concezione dialettica del nesso tra casualità e necessità, con tutte le conseguenze del … caso.

Erano anni, decenni, che si cercava da una parte e dall’altra un casus belli per mettere un po’ in ordine, secondo gli interessi contrapposti delle varie forze in campo. Se la Serbia avesse accettato tutti i punti dell’ultimatum, compreso quello che prevedeva un’indagine in Serbia da parte delle autorità asburgiche, in tal caso il nome di Gavrilo non se lo ricorderebbe quasi nessuno, sarebbe rimasto una mera curiosità. Il pretesto per fare guerra sarebbe stato trovato altrove.

Tutto era pronto, cercato, atteso e sospeso, reso necessario dallo sviluppo stesso del capitalismo, e solo per caso la guerra non fu dichiarata qualche anno prima (o dopo). Come potremmo immaginare lo sviluppo impetuoso e davvero inedito del XX secolo sulla base di regimi feudali come  quello zarista o di quello ottomano, di una monarchia di stampo asburgico? Tutto ciò che è reale è razionale, e viceversa. A scuola i cattivi maestri ripetono insulsamente che questa frasetta alluderebbe ad altro.

Oggi le cose di un secolo fa ci appaiono così chiare, razionali, lineari. E già allora furono non pochi quelli che seppero vedere con chiarezza, se non proprio nei dettagli, la tendenza. Possiamo trarne qualche analogia con il presente? Affermativo; ma bisogna stare attenti a non forzare, le analogie s’accompagnano bene con i concetti ma senza esagerare, senza spingerle oltre un certo limite, tenendo conto che la storia, tra le tante variabili possibili, cova sempre l’imprevisto, anzi, si muove come un’infinita trama di casualità.

Il futuro è tutto ciò su cui possiamo ancora influire, ed è perciò indispensabile, tra l’altro, acquisire conoscenza del passato per acquisire conoscenza del futuro, posto che questo è conseguenza del passato. E tuttavia non basta affastellare fatti e nemmeno connessioni, è necessario avere chiare le leggi, come processo della contraddizione, e le tendenze come studio simulato delle stesse contraddizioni.

La legge che definisce un modello teorico riflette in senso mediato il suo oggetto reale, non descrive quindi il movimento della realtà immediata, ma piuttosto cerca di coglierne, di là dei singoli aspetti immediati, la sua “bronzea” necessità. La legge si riferisce solo agli aspetti necessari, generali, stabili, essenziali, tra i lati di un fenomeno o tra fenomeni.

Ecco perché, ad esempio, Marx, nel descrivere il modello dinamico del modo di produzione capitalistico non si limita a descrivere la genesi, lo sviluppo e la forma più avanzata, a lui presente, di questo modo di produzione; va invece a ricercarne le leggi generali e le tendenze necessarie. Perciò l’attualità di Marx e della sua analisi, nonostante quello che possono dirne i suoi mediocri critici e “riscopritori”. Ecco la sua capacità di “vedere” e far “vedere” ciò che ancora non è pur essendo già contenuto nel movimento incessante della materia sociale.

Per tornare sul discorso storico, una di queste leggi generali, tra quelle scoperte da Marx, afferma:

«A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi s’erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura. Quando si studiano simili sconvolgimenti, è indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione, che può essere constatato con la precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo. Come non si può giudicare un uomo dall'idea che egli ha di se stesso, così non si può giudicare una simile epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa; occorre invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale, con il conflitto esistente fra le forze produttive della società e i rapporti di produzione. Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza. Ecco perché l’umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione».


Bello Marx, vero? Dicono che sia “difficile”, ma non è così; i nuovi teologi hanno interesse a che il popolo non metta mano sulle “scritture” poiché sanno che la conoscenza è di per sé pericolosa (per loro). Tanto più quando si tratta di Marx (perciò in ogni modo tendono a screditarlo falsificandolo), poiché egli rende chiare le contraddizioni nelle quali si dibatte il sistema, le formula in concetti e categorie che possono essere compresi da chiunque. Resta da stabilire fino a quando le forme degli attuali rapporti sociali di produzione reggeranno il conflitto con lo sviluppo delle forze produttive della società. L’edificio mostra ampie crepe, ma non attendiamoci crolli improvvisi, sarebbe antistorico e antimarxista. E tuttavia anche quelli che pensano di tenere in piedi questo sistema schiavista e di assurda dissipazione con qualche malfermo travicello, s’illudono sulla tenuta delle fondamenta.

9 commenti:

  1. citavi l'altro giorno gli ultimi momenti della serenissima, la coscienza che vi si diffondeva nel XVIII, la percezione della fine, cioè la sua decadenza. Assomiglia all'Italia contemporanea? Affermativo; certo, rispetto ad oggi, vi era una elaborazione dal punto di vista teorico, giuridico e soprattutto artistico di gran lunga migliore (e tiepolo e vivaldi e goldoni ecc ecc). Ma interessante leggere le annotazioni dell'ultimo doge manin, consapevole di andare alla catastrofe soprattutto per via dell'incompetenza e del conflitto d'interessi in seno allo stato. Catastrofe serenissima peraltro, a parte lo spassoso episodio del libérateur d'Italie.
    Ma lo schianto della repubblica apparve irrimediabile prima, e poi improvviso... Apparve irrimediabile dentro e improvviso da fuori. Tutto vogleva al peggio attorno al sistema, sistema che diventava sempre più arretrato ad ogni accelerazione impressa... La pressione, la trasformazione della produzione premeva invece da fuori il sistema; mentre l'interno del sistema, la sua coscienza, era già nostalgica, votla al passato e difatti tuttora perdura in forma di mera speranza.

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    1. vero tutto, il declino datava da due secoli, con la non trascurabile differenza che si consumava negli ultimi anni tra tiepolo vivaldi goldoni ecc.

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    2. per stare alla pittura, tiepolo dovette emigrare... A venezia dilaga il vedutismo che potremmo rozzamente paragonare al nostro internet. Canaletto andava a Londra, Bellotto in Germania, Guardi faceva capricci terrificanti e nessuno sel o filava... Marco ricci, disperatissimo, suicida se non ricordo male. Longhi ritraeva le interiora di uan società attonita; il figlio di tiepolo dipingeva pulcinella in altalena, funerali di pulcinella. Era già tutto chiaro per quanto struggente e bellissimo. Mentre oggi è tutto incerto, gretto e francamente bruttino.

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    3. I soliti disfattisti.....Noi abbiamo Fuksas (e scusa se è poco)
      AG

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  2. Domanda laterale: dalle parti del Mar Nero, quanto il “caso” [vedi il jet russo] potrà portare all'irreparabile? In altri termini: le schermaglie tra due potenze mosse entrambe (in un modo ultra sviluppato gli Usa, sulla buona via la Russia) dalla capitalistica fame per la conquista dei "mercati", quanto saranno "controllabili" dentro la diplomazia?

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    1. un incidente è sempre possibile
      ma un incidente non basta se non c'è la premeditazione
      in ballo c'è l'europa, il rischio che la germania si avvicini troppo a putin e altro

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  3. Ed ecco come i teologi tengono lontano il popolo dalle "scritture". «È incredibile come il popolo, appena è assoggettato, cade rapidamente in un oblio così profondo della libertà, che non gli è possibile risvegliarsi per riottenerla, ma serve così sinceramente e così volentieri che, a vederlo, si direbbe che non abbia perduto la libertà, ma guadagnato la sua servitù [...]
    È vero che, all’inizio, si serve costretti e vinti dalla forza, ma quelli che vengono dopo servono senza rimpianti e fanno volentieri quello che i loro predecessori avevano fatto per forza.
    È così che gli uomini che nascono sotto il giogo, e poi allevati ed educati nella servitù, senza guardare più avanti, si accontentano di vivere come sono nati, e non pensano affatto ad avere altro bene né altro diritto, se non quello che hanno ricevuto, e prendono per naturale lo stato della loro nascita [...]
    Benché dunque l’indole umana sia libera, l’abitudine ha sugli individui effetti maggiori che non la loro indole, e così essi accettano la servitù se sono sempre stati educati come schiavi: «La natura dell’uomo è proprio di essere libero e di volerlo essere, ma la sua indole è tale che naturalmente conserva l’inclinazione che gli dà l’educazione».
    I teatri, i giochi, le farse, gli spettacoli, i gladiatori, le bestie esotiche, le medaglie ed altre simili distrazioni poco serie, erano per i popoli antichi l’esca della servitù, il prezzo della loro libertà, gli strumenti della tirannia.
    Questi erano i metodi, le pratiche, gli adescamenti che utilizzavano gli antichi tiranni per addormentare i loro sudditi sotto il giogo.
    Così i popoli, istupiditi, trovando belli quei passatempi, divertiti da un piacere vano, che passava loro davanti agli occhi si abituavano a servire più scioccamente dei bambini che vedendo le luccicanti immagini dei libri illustrati, imparano a leggere».

    "Il discorso sulla servitù volontaria" 1552 di Étienne de La Boétie

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  4. A proposito di “mediocri critici e riscopritori”, oggi alla trasmissione di Rai3 condotta dalla De Gregorio presenziava Canfora.
    Non so se è un caso (e torniamo sempre lì), ma il suo post sembra una perfetta risposta alle baggianate che anche oggi mi è toccato di sentire (rendendosi così necessario :-) ).
    Affermazioni del tipo “ci vuole un altro genio come Marx che ci spieghi ciò che abbiamo intorno”, come se il marxismo fosse un relitto di tempi ormai passati.
    Blaterazioni su presunti mutamenti avvenuti nel processo di vendita della forza-lavoro, ecc…

    Aveva proprio ragione in quei tre post di quasi un anno fa sull’ultimo libro del suddetto: personaggi come lui sono tra i più pericolosi e deleteri per una corretta comprensione del presente.

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