Sul Sole 24ore
di domenica scorsa, come di consueto, è apparso l’editoriale di Guido Rossi,
uno dei più acuti osservatori politico-sociali della borghesia italiana. Il
titolo dell’articolo (pp. 1 e 8) è Nuovi diritti, la rivolta della borghesia, laddove per borghesia Rossi non si
riferisce alla sua classe sociale, bensì alla “classe media”, così come essa è
emersa in varie parti del globo negli ultimi anni avendo raggiunto “uno stato
di maggior benessere economico”.
L’editoriale si apre alludendo e parafrasando l’incipit
famosissimo del Manifesto del partito
comunista: “Uno spettro minaccioso si aggira per il mondo globalizzato e
rischia di trasformarsi, attraverso la sbalorditiva velocità della rete, in una
epidemia di indignazioni, proteste, rivolte e rivoluzioni”.
Tuttavia non si tratta, afferma Rossi nel tentativo di esorcizzarlo, dello spettro della lotta di classe. Sostiene altresì che gli
“strumenti interpretativi, da sempre utilizzati per comprendere queste
proteste, non possono essere applicati alla crisi attuale della democrazia, che
non rappresenta una nuova forma di lotta di classe nei confronti dell'1% dei
ricchi del mondo”.
Giustappunto la definizione adottata da Rossi della
“classe media” come classe “borghese”, non è neutrale, ma serve per allontanare
anche il solo sospetto dell’esistenza in atto della lotta di classe in
qualunque forma essa possa manifestarsi nelle varie proteste esplose in diversi
paesi del mondo negli ultimi anni.
È curioso questo assunto, poiché esso è in
contraddizione non solo con i fatti ma anche e palesemente con le stesse
affermazioni di Rossi che seguono nell’articolo. Anche per un altro motivo,
perché pare che per l’editorialista del giornale della Confindustria, esistano
ormai sostanzialmente due classi sociali, almeno nei paesi più sviluppati,
ossia la “borghesia” intesa come “classe media”, e i “ricchi”, per i quali
Rossi si esime di classificarli altrimenti.
E anche volendo, in sua vece, classificare i “ricchi”
come “alta borghesia”, si dovrebbe
conseguentemente dedurre che esiste nei paesi sviluppati sostanzialmente una
sola grande classe sociale dalle diverse facce. È questa una variante monotona
di un’altra teoria sulle classi, la quale ha preso piede anche nella
“sinistra”, secondo cui le classi sociali sono negate in favore dei “gruppi
d’interesse”, e così l’intera stratificazione sociale verrebbe composta da
gruppi di status o gruppi professionali, determinati e distinti da elementi
come il reddito, la posizione, il prestigio, il potere e la distribuzione del
potere.
Sfugge o non si vuol prendere in considerazione che così come
la borghesia non è una classe sociale omogenea per quanto riguarda la sua
composizione e gli interessi particolari delle sue varie fazioni, allo stesso modo
anche il proletariato è una classe sociale che presenta al suo interno delle
differenze, a volte anche sociologicamente notevoli.
Dalla classificazione di Rossi della “classe media”
come “borghesia”, deriva una singolare domanda, e cioè “se la borghesia, che ha
sviluppato nella democrazia le sue forme e i suoi diritti, stia ora
rivoltandosi contro se stessa”! Dunque Rossi vede nelle rivolte attuali dei
movimenti borghesi che protestano contro “il fallimento delle democrazie di
fronte alle conseguenze della globalizzazione”.
Scrive dunque che “Dalla Tunisia all'Egitto, dagli
Indignados a Occupy Wall Street, dalla Grecia alla Spagna e a modo suo
l'Italia, ed ora dalla Turchia al Brasile […] i cavalli dell’umana Apocalisse
cavalcano […] sotto una varietà di forme: dallo sfruttamento economico, alla
povertà senza speranza, alle disuguaglianze ingiuste, alla corruzione delle
élite, alle politiche antidemocratiche, ai poteri giudiziari repressivi e
brutali, ai fanatismi religiosi, alle violenze dei militari”.
Rossi ha perfettamente ragione, “le proteste hanno
origini difformi e difficilmente comparabili”, e in radice anche quelle
motivazioni. Dove la sua collocazione di classe lo porta fuori strada nell'analisi di tali movimenti è nel
considerarli avulsi della lotta di classe perché di essi sarebbe protagonista la “borghesia”, ossia la “classe media”, che più che un'aumento di reddito (evidentemente nella concezione di Rossi la lotta di classe è sinonimo di aumento salariale), chiede diritti al lavoro, alla salute e alla partecipazione democratica.
E ciò è in parte vero, non vi è da parte di questi movimenti una richiesta radicale di cambiamento di sistema sociale, anche perché ad essi manca una precisa connotazione politica e un'adeguata organizzazione rivoluzionaria. E tuttavia ciò non basta per escludere che non si tratti, almeno in nuce, di una lotta di classe che si sta evolvendo. Storicamente, a ben vedere, la lotta di classe raramente ha avuto connotazioni politiche esplicite quali noi conosciamo in epoca moderna.
La democrazia, quale noi la conosciamo, non può
essere garantita senza l’intervento degli Stati nell’economia, ossia senza il
sostegno statale all’occupazione e ai redditi, e perciò stesso alla domanda, e
con politiche di welfare. L’intervento statale però implica – essendo tantopiù comune ed
ineliminabile una cronica evasione fiscale (tanto maggiore quanto
è più esosa la tassazione) – uno squilibrio dei conti pubblici e dunque l’aumento
vertiginoso del debito, il quale dà occasione all’aristocrazia finanziaria –
non di rado provocando oscillazioni straordinarie del corso dei titoli – di
tenere sotto schiaffo gli Stati, costretti di volta in volta a contrattare
nuovi prestiti a condizioni sfavorevoli, trasformandoli in gabellieri per lo
sfruttamento della ricchezza nazionale.
A questa situazione si aggiunge, da un lato, una nuova
geografia dei flussi di capitale a seguito degli accordi WTO e una nuova
gerarchia internazionale del lavoro, dinamiche che sovvertono da cima a fondo
le tradizionali strutture produttive dei paesi a più antica
industrializzazione; dall’altro lato, si fanno sentire le contraddizioni di una
crisi economica e finanziaria di dimensioni inedite che si manifesta come crisi di sovrapproduzione e sottoconsumo, così come
negli effetti delle bolle speculative.
Gli Stati e le organizzazioni monetarie
internazionali hanno adottato politiche di rientro del debito puntando sulle
privatizzazioni e il taglio della spesa sociale e ciò non poteva che peggiorare
le condizioni di vita e di lavoro dei paesi a più antica industrializzazione.
In tal modo la povertà sta ridiventando un fatto reale che riguarda strati sempre
più ampi di popolazione e ciò non può non avere conseguenze sul piano dell’ordine
sociale in Europa e in Usa.
Per quanto riguarda invece altre realtà, come
l’Egitto o la Tunisia, ma anche il Sudafrica o la Nigeria, la protesta sociale
ha motivazioni ancora più radicali: fame, sfruttamento e povertà senza speranza.
In Turchia, invece, o in Brasile, le motivazioni sono ancora diverse, e
tuttavia in tutti questi casi siamo in presenza di un movimento di protesta e
di rivolta che ha un denominatore comune. Questo sistema, vuoi per un motivo o
per l’altro, vuoi per tutti i motivi presi assieme ed elencati dallo stesso
Guido Rossi, non è più tollerabile ed è forte la richiesta di cambiamento, anche se essa, come rilevavo sopra, manca ancora di una più precisa connotazione politica e di un'adeguata organizzazione rivoluzionaria.
La forma e la coscienza che gli agenti di queste
rivolte possiedono, è ancora immatura e sottoposta a condizionamenti ideologici
e alla manipolazione degli specialisti che si annidano dappertutto. Tuttavia, l’aggravarsi
della situazione, nel tempo, dovrà necessariamente generare nuove e adeguate
forme ideologiche di lotta, trasformare il linguaggio della protesta attuale e
assumere quello della sovversione armata di massa, anche in considerazione del
fatto che la violenza è sempre stata presente nel conflitto di classe. E che si
tratti di un conflitto di classe, sia pure ancora assai confuso e non
organizzato politicamente, non vi sono dubbi, per quanto Guido Rossi posa
negarlo e la borghesia (quella vera) faccia gli scongiuri.
E' recente la notizia dell'acquisto (se non già finalizzato, comunque in via di definizione) di droni da ricognizione da parte di alcuni dipartimenti di polizia negli Stati Uniti. Ed è solo l'inizio. Tra non molto tutti gli apparati di repressione interna in Occidente ne disporranno diffusamente.
RispondiEliminaIl drone è un sistema di sorveglianza, e con opportune modifiche da combattimento, dal quale attualmente nessun individuo comune e nessun movimento di resistenza che non sia abbastanza esteso, ramificato ed equipaggiato ed addestrato militarmente ha alcuna possibilità di difendersi. Da noi i contestatori vanno in piazza agitando bandiere della pace. Non so di contestatori che strisciano lungo gallerie sotterranee e sparano missili terra-aria portatili da postazioni improvvisate al coperto.
It's a long way to Tipperary...
I droni ordinati dalle foeze dell'ordine volano come piccoli elicotteri, spesso con più sistemi di pale rotanti.
RispondiEliminaPropongo di recarsi alle manifestazioni dotati di uno o più palloncini volanti (quelli che i bambini comprano alle fiere) legati a robusti fili di naylon.
I cortei sarebbero così sovrastati da una coltre protettiva di centinaia di migliaia di palloncini colorati (scritte "Fuck you Cop" a go go )in cui i droni avrebbero difficoltà a penetrare correndo il rischio di precipitare con i rotori pieni di filo e palloncini!
:) :)
Ciao, gianni
Evviva la signorina Olympe, giunta a scacciar lo spettro di quel bischero di Ventura!
RispondiEliminaLa questione non è semplicemente nominalistica. Perché ha senso estendere la borghesia alla classe media occidentale, magari sovrapporla? Sulla base di un semplice criterio: questa classe consuma più di quanto produce, perché altrove c'è chi produce più di quanto consuma. A me questo pare un buon criterio, e tu Olympe che criterio usi per distribuire i ruoli nella tua lotta di classe?
RispondiEliminaCon tutta la buona volontà del mondo, proprio non vedo il criterio che ti permette d'includere nel *PROLETARIATO* tutto quello che ci metti, a parte il generico riferimento al "metodo scientifico". Prendo ad esempio due categorie che mi paiono problematiche, la prima sono i "lavoratori che realizzano il plusvalore nella sfera della circolazione". Tu dici che costoro si fanno sottrarre una quota di plusvalore (dal padrone), io direi che essi partecipano al prelievo del plusvalore (dai produttori): comunque la si voglia vedere, è evidente che c'è una distribuzione ineguale tra produttori e circolatori e il tuo modello la nasconde del tutto. La seconda categoria problematica è l'esercito di riserva: so che sarebbe un'impresa disperata convincerti che esiste una disoccupazione volontaria in seno alla classe media, ma d'altra parte io non so dove li metti nel tuo modello quelle decine di migliaia di euro *disponibili* che vengono investite nel tentativo spesso vano di evitare il declassamento.
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