Goethe
riteneva che Beethoven fosse guidato “dalla luce della genialità, che illumina
la sua mente come un colpo di fulmine”, sebbene, a suo parere, le opere del
compositore fossero per lui semplicemente troppo “nuove” per i suoi gusti
classicheggianti. Beethoven era un grande ammiratore delle opere teatrali e
poetiche di Goethe, e accettò con entusiasmo di incontrarsi con lui nella
cittadina termale di Teplitz, nell’estate del 1812.
Per
una settimana si frequentarono molto assiduamente e Beethoven aveva eseguito
per Goethe una sonata per pianoforte. Tuttavia il compositore si sentì offeso
quando il suo nuovo amico, dopo averlo ascoltato, si limitò ad asciugarsi le
lacrime invece di applaudire. Beethoven andò su tutte le furie ed esclamò: “Da
voi, Goethe, non me lo sarei mai aspettato e non lo tollererò”. Fece dunque
notare al poeta come nel 1796, a Berlino, in un’occasione analoga il pubblico
si fosse “comportato con tanta sensibilità e cortesia al punto che era avanzato
con titubanza verso la mia persona agitando i fazzoletti bagnati di lacrime,
testimoniando un’emozione assolutamente insignificante agli occhi di un rude
entusiasta come me …Voi, proprio voi, dovreste sapere quanto sia gradito essere
applauditi da mani che si tengono in grande considerazione. Se voi non
apprezzate e non mi considerate un vostro pari, chi mai lo farà? A che banda di
straccioni devo rivolgermi per essere compreso?”.
Chissà
cosa direbbe oggi Beethoven.
* * *
La
regressione che si manifesta in molti modi intorno a noi, non è in nessun campo
così evidente come nell’arte, nella musica, nell’architettura. Si può
concettualizzare tutto ciò che si vuole, ma una merda resta tale pur se a
magnificarla è uno stimatissimo critico dell’arte come Philippe Daverio.
Naturalmente non vi è possibilità alcuna di un ritorno al passato – cosa che di
per sé potrebbe produrre effetti ridicoli –, né di superare l’arte in quanto fenomeno autonomo separato dagli altri
campi della vita sociale. Il punto essenziale resta sempre il medesimo –
che poi non è un problema utopistico –, ossia il mantenimento o la sovversione
di questa società. È oggi – coscienti o meno di ciò – la questione che sovrasta tutte le altre, anche a proposito delle
arti.
L'arte è estinta perché per esistere ha bisogno che chi la crea creda in qualcosa. Creda che qualcosa, non importa cosa, sia vero e giusto.
RispondiEliminaAd essere presentato come oggettivamente vero e giusto oggi è solo il profitto, con annessi e connessi mercatistici e pubblicitari. Sì, il marketing delle religioni positive continua a presentarle come vere e giuste, ma l'estinzione dell'arte prova quanto esse, e i loro dèi da tempo morti, abbiano cessato di ispirare una genuina creatività.
Tutto il resto è o ignoranza al di sotto del livello del Paleolitico - nel recupero dell'ignoranza il ritorno al passato è possibilissimo, anzi è una realtà - o se va bene soggettività relativizzata, liquida, privata di qualunque senso o direzione etici perché il mercato dell'etica non sa che farsene, a meno che non riesca a falsificare e vendere pure quella (come poi di fatto spesso fa).