Nonostante
gli enormi progressi tecnologici e scientifici, la scolarizzazione di massa e
l’ampia possibilità d’accesso ai fatti che riguardano le variegate manifestazioni
della cultura, tutti noi – chi saltuariamente e chi più frequentemente – ci
comportiamo nella pratica quotidiana, nei nostri discorsi e atteggiamenti, come
se non ci fossimo mai del tutto affrancati dai “miti” del passato. È questo un atteggiamento
culturale, ossia quello di trascinarci dietro il “pregresso”, ben comprensibile entro certi termini.
Ogni
individuo e ogni generazione trovano un mondo già dato, costituito anzitutto da
una somma di rapporti storicamente prodotti con la natura e dagli individui fra
loro, vale a dire delle circostanze materiali e spirituali che da una parte
possono senza dubbio essere modificate da ogni nuova generazione, ma che
d’altra parte impongono ad essa le loro proprie coordinate di vita e di uno
sviluppo determinato, ossia uno speciale carattere che poi gli storici, i
filosofi e gli ideologi chiamano di volta in volta in vario modo.
Si possono rilevare però anche frequenti comportamenti e atteggiamenti che con la razionalità non hanno nulla a che vedere anche in àmbiti nei quali essi non dovrebbero essere di casa. Si pensi solo a certe pratiche “mediche” o “para-farmacologiche”, o a certe eclettiche teorie filosofiche e politiche, per esempio alle assurdità di uno Steiner e quindi a quelle dei suoi adepti. O ai deliri di certi epistemologi, cosa di cui dà conto in un bel post il solito molto egregio Popinga. Ma da questa critica non vanno immuni nemmeno le scienze “serie”, le scienze naturali, di là della matematizzazione dei loro modelli, esse non di rado finiscono per trascendere nella pura metafisica e nel più sfrenato relativismo. E non è quindi casuale la loro perdurante impasse.
Scrive
Engels nella Dilettica della natura:
Gli scienziati credono di liberarsi della
filosofia ignorandola o insultandola. Ma poiché senza pensiero non vanno avanti
e per pensare hanno bisogno di determinazioni di pensiero e accolgono però
queste categorie, senza accorgersene, dal senso comune delle così dette persone
colte dominato dai residui di una filosofia da gran tempo tramontata, o da quel
po’ di filosofia che hanno ascoltato obbligatoriamente all’Università, o dalla
lettura acritica e asistematica di scritti filosofici di ogni specie, non sono
meno schiavi della filosofia, ma lo sono il più delle volte purtroppo della
peggiore; e quelli che insultano di più la filosofia sono schiavi proprio dei
peggiori residui volgarizzati della peggiore filosofia.
E
dio solo sa quanta cattiva filosofia – di tutti i tipi – si trovi in
circolazione, e come per contro sia invece considerato un cane morto Hegel, il
quale ha esposto, in modo addirittura profetico, molte categorie dialettiche
della massima importanza per certi problemi moderni; ma resta tuttavia il fatto
che l’unico filosofo borghese realmente dialettico non ha avuto quasi nessuna
influenza sugli scienziati (a parte ovviamente Marx ed Engels), essendosi essi
rifiutati, più per ignoranza e pigrizia che per consapevole scelta, di
considerarlo nella sua effettiva e non trascurabile importanza.
I
classici del pensiero – come ricordava Robert Havemann – hanno sempre
insistito nell’affermare che per le scienze naturali, come per tutte le
scienze, il problema principale sta nell’uscire dal pensiero meccanico,
metafisico, per arrivare a un pensiero dialettico sempre più consapevole. Questione
questa generalmente ignorata o sottovalutata, come se studiare la filosofia, la
storia del pensiero filosofico, fosse un’occupazione cui giocoforza ci
concediamo in età scolare. E vorrei vedere quali scienziati del bosone abbiano cognizioni
sufficienti con la filosofia idealistica e materialistica, dialettica e non
dialettica, con Laotze e Hegel, Spinoza e Kant, Marx e soprattutto Engels.
Ma
non è proprio di questo che nel post volevo riflettere, anche se ciò mi serve
per avvicinarmi – per un sentiero di pensiero che considero parallelo – al tema
del quale voglio dire, giunti a questo punto, in poche parole.
Leggevo
questa mattina una storiella che ha per protagonista Michael Leahy, un ex
ispettore minerario improvvisatosi antropologo, il quale nel suo primo incontro
con gli indigeni della Nuova Guinea, negli anni Trenta, sperimentò una curiosa
situazione. Quando arrangiò il grammofono su una stuoia, gli indigeni
continuavano a fissare la scena con un misto di stupore tragico e sospettosa
attenzione. Quando dall’apparecchio uscì una musichetta allora in voga, Looking on the Bright Side of Life,
saturando l’aria di quelle note, Michael e gli altri bianchi al suo seguito, si
aspettavano di veder danzare gli abitanti radunati in quel luogo.
Lo
stupore di Michael fu grande quando vide che i “selvaggi” non solo non
ballavano, ma se ne stavano immobili. E solo dopo, per compiacere probabilmente
le insistenze degli uomini civilizzati, cominciarono le loro danze ma con
cadenze forzate, e accompagnati da quelli sguardi strani che furono documentati
dalle foto e dai filmati ripresi in quell’occasione. C’era anche chi piangeva.
Alcuni
decenni dopo, uno degli indigeni superstiti di quel primo incontro con gli
uomini bianchi, nel corso di un’intervista, rivelò: “sentivamo gridare,
credevamo fosse una scatola piena di spiriti, credevamo fossero le grida dei
nostri antenati”.
Mi
chiedo spesso – come credo molti altri di noi – quale sarebbe l’atteggiamento e
lo stupore dei nostri antenati se si trovassero, tornando dal mondo dei defunti,
a contatto con quelle strane creature che noi siamo oggi. Come giudicherebbe
Beethoven ciò che si ode uscire dalle nostre “scatole piene di spiriti”? Si
metterebbe anch’egli a lacrimare come gli indigeni di Guinea? E Michelangelo
come valuterebbe una geniale tela bucata di Lucio Fontana? Una pazzesca
bischerata, c’è da esserne certi. E tuttavia si tratterebbe solo di un gap
culturale al quale potrebbe porre rimedio, che so, un critico d’arte di grande
vaglia come Philippe Daverio, spiegando compassionevolmente al povero artista redivivo
le alte vette conquistate dall’arte concettuale, senza dimenticare di dirgli
che nel capitalismo non vale ciò che conta ma ciò che si paga.
E
infine, per chiudere, il greco Fidia come avrebbe giudicato le sculture michelangiolesche?
Forse come opere non ultimate, visto che mancano di colorazione. Ma senz’altro apprezzate
come opere d’arte di valore. E Vitruvio come avrebbe considerate le ville
palladiane? Forse con sufficienza, ma non le avrebbe considerate degli aborti.
E invece i manufatti odierni di vetro e cemento? Si sarebbe consolato sapendo che per
fortuna avranno vita ben più breve delle antiche costruzioni, visti gli
scadenti materiali con i quali sono stati realizzati (qui).
Nella foto: veduta di Ostia Antica (2013).
Nella foto: veduta di Ostia Antica (2013).
http://www.beppegrillo.it/2013/07/lotta_di_casta.html
RispondiEliminaLOTTA DI CASTA E NON LOTTA DI CLASSE?
E non è il mov. 5 stelle, un organismo politico, per creare confusione, oltre che per allontanare le persone dall'individuare il "nemico" di classe?
Saluta da F.G
a parte ogni considerazione teorica sulla lotta di classe, il blog di grillo ha ragione. ciò che è ben chiaro è cosa intende per casta, poiché le elenca. ciò che non dice è quale forma sociale produca inevitabilmente queste caste, le quali non sono solo un fenomeno italiano, anche se in italia tale fenomeno assume caratteristiche a dir poco patologiche. evidentemente la questione è un'altra, e con la lotta politica, quale l'intende grillo e alla quale si richiama, non combina un tubo. come del resto abbiamo visto. aveva la possibilità di portare dei piccoli cambiamenti, salutari anche quelli, per ricondurre il problema entro limiti più accettabili e in linea con la media degli altri paesi. non ha voluto farlo e ha perso un'occasione storica. in effetti a grillo non interessa il cambiamento, gli basta il ruolo da protagonista in opposizione al sistema. ma è lui stesso che fa parte di questo sistema e gli dà credito. del reto, l'impasse che egli denuncia alla fine dovrebbe indurlo ad altre conclusioni, ma non lo fa. non è suo interesse farlo. come scrivevo nel post precedente, la moralizzazione della politica e di un paese così scadente, infiacchito da un benessere fasullo, troppo rassegnato e adattabile a ogni situazione, è un’illusione e una frode. grillo lo sa, lo dice pure, ma adotta comportamenti opposti, chiede per esempio incontri con napolitano, anzi li rinvia perché sta facendo i bagni di mare .......
EliminaGrazie.
RispondiEliminaF.G