Come premessa.
Wikipedia è uno strumento molto utile e di agile
consultazione ma va usato cum grano salis.
Tale enciclopedia, al pari delle altre e così di ogni fonte, può contenere
approssimazioni e a volte anche errori marchiani. Di utile in Wikipedia c’è
l’opzione “modifica”, con la quale l’utente, con cautela e cognizione, può
contribuire a migliorare ed eventualmente modificare. È capitato anche a me di
farlo in talune occasioni, quando singoli errori o imprecisioni, fattuali e
perciò indiscutibili, invitavano a farlo.
Tuttavia non mi sognerei mai d’intromettermi per
modificare intere parti di una voce dell’enciclopedia. È il caso, tanto per
citare un esempio, della storia delle origini della mia città natale. Quella
raccontata da Wikipedia, mutuata da quella ufficiale esposta nel sito della
città stessa, è destituita di ogni fondamento. Codici medievali alla mano è
possibile dimostrare che le cose, in origine, andarono in modo totalmente
diverso da come suggerite invece dalla leggenda corrente, e, anzi, si
tratterebbe di riesumare una storia che dal punto di vista epico è ancora più
avvincente della leggenda stessa. Ma, come dicevo, andare a mettere mano in
simili faccende, significa immettersi in un ginepraio.
Per venire al tema del post odierno, osservo che se
avessi la responsabilità di mettere nero su bianco in un libro o in un sito di
un’organizzazione politica delle affermazioni che richiedessero puntuale rinvio
alla fonte, mi guarderei bene, per i motivi esposti, di citare Wikipedia non
meno della Treccani o della Rizzoli-Larousse. Insomma, le enciclopedie sono
ottimi strumenti, le singole voci sono scritte da specialisti, tuttavia ciò non
basta come ricognizione delle fonti.
* * *
Sembrerebbe
una definizione ineccepibile, vero? E invece, come direbbero a Oxford, manco
per il cazzo. Cliccando nel testo sulla parola “Marx” c’è il rinvio alla fonte,
cioè alla voce Karl Marx di Wikipedia.
Non troverete nulla che corrobori la citazione. Per un semplice motivo: Marx
non avrebbe mai fatto, sic et simpliciter, un’affermazione del genere.
Se per appartenere a una determinata classe sociale
bastasse avere un determinato rapporto con i
mezzi di produzione, ciò significherebbe due cose: che chi non possiede i mezzi
di produzione appartiene a una classe sociale e chi, per contro, li possiede, ne
è proprietario, appartiene ad un’altra classe. E ciò, ripeto, può sembrare
giusto, ma non è per nulla sufficiente.
Due forme identiche possono avere contenuti diversi, e
viceversa. Un fenomeno può essere definito sia per il suo aspetto esterno e sia
in base alla sua origine. Vedo di spiegarlo in altri termini in riferimento
alla questione.
Chi di noi può negare che un artigiano, un idraulico, un
falegname, un elettricista, un meccanico d’auto o un gommista, non siano
proprietari dei loro mezzi di produzione? Oppure un piccolo contadino proprietario
di un appezzamento di terra? Appartengono dunque essi oggettivamente alla
classe sociale dei capitalisti e dei borghesi? Certamente, stando alla
definizione che Grillo attribuisce a Marx, essendo essi in rapporto ai mezzi di
produzione come proprietari.
Ma da dove effettivamente ha tratto tale definizione il
pensatore genovese ora che si trova ai bagni di mare in attesa d’incontrare il
presidente della repubblica? Da Wikipedia, ma da una voce diversa da quella
alla quale ha rinviato il lettore. Precisamente alla voce “Classe sociale”,
laddove si legge:
“Una nota definizione di classe
sociale è quella marxiana, intendente per classe un insieme di individui che
hanno lo stesso rapporto con i mezzi di produzione.”
Da intendersi: “nota definizione” per quelli che prendono per
oro colato Wikipedia e poi scrivono a nome e per conto di Grillo.
In un post del 21 maggio scorso, dal titolo eloquente, Falsificazioni del marxismo, scrivevo:
Il criterio fondamentale che distingue le classi è il
loro posto nella produzione sociale e in conseguenza il loro rapporto con i
mezzi della produzione.
Non è la stessa cosa che scrive Wikipedia e poi Grillo. Ciò
che anzitutto distingue le classi è il
loro posto nella produzione sociale, ossia il loro posto nella divisione
sociale del lavoro. Per questo motivo un elettricista può anche essere proprietario del
cacciavite e perciò sentirsi il Marchionne del cavo elettrico, ma
oggettivamente non appartiene alla classe dei capitalisti e nemmeno un idraulico con il suo giratubi può essere
classificato come borghese per quanto egli si sforzi di apparire tale nei suoi
atteggiamenti e consumi.
Viceversa, il manager di un'industria può anche non possedere nemmeno un grammo della proprietà, eppure egli ha un ruolo diverso da quello degli operai della stessa fabbrica ed è per questa sua diversa collocazione nella divisione del lavoro, e perciò quindi non solo per il suo reddito più alto, che egli non appartiene alla classe degli operai.
Perciò dire: “il criterio fondamentale che distingue le classi è
il loro posto nella produzione sociale …”, allude a una determinazione reale e concettuale
essenziale. La divisione sociale del
lavoro, ossia il posto che in essa il singolo individuo o la massa degli
individui della stessa condizione occupano, determina le modalità dell’appropriazione della ricchezza socialmente prodotta.
In altri termini ancora, gli individui nell’ambito della
divisione sociale in classi, si distinguono per la loro funzione
nell’organizzazione sociale del lavoro, e, quindi, per il modo e la misura in
cui godono della parte di ricchezza sociale di cui dispongono.
Il capitalista non
è tale perché è ricco, non
diventa tale solo e semplicemente perché acquista i mezzi di produzione dei
quali diventa proprietario, bensì perché trasforma i mezzi di produzione in
mezzi di assorbimento del lavoro altrui (*). E non basta ancora, perché per perpetuarsi, il capitalista non solo
deve assoggettare il lavoro altrui, ma deve mostrare il suo istinto vitale,
cioè l’istinto di valorizzare il proprio capitale. Se il valore anticipato non
si valorizza, il suo denaro non si è trasformato in capitale (**). Come
capitalista egli è soltanto capitale personificato, la sua anima è l’anima del
capitale. Il capitale per essere tale deve scambiarsi con lavoro e questo deve
valorizzare il capitale!
Il proprietario di un bosco – mi si passi un esempio molto
banale – non diventa perciò stesso un capitalista, ma diventa un capitalista
nel momento in cui assume della manodopera per il taglio degli alberi e dei
tronchi e da quel lavoro egli ricava un profitto che si concretizza poi nella
vendita del prodotto. Se tagliasse da sé gli alberi, egli sarebbe solo lo
schiavo di se stesso.
Anche da un punto di vista giuridico, la mera proprietà dei
mezzi di produzione non implica ancora quale movimento reale è dato dai
rapporti di proprietà nel processo produttivo (vedi la vicenda dell’Urss,
ecc.). Insomma, non è sufficiente sapere in mano a chi nominalmente si trovano
i mezzi di produzione, ma è indispensabile sapere anche come vengono impiegati
nel processo di produzione.
Ecco dunque che la frase, il criterio fondamentale per distinguere
le classi è il loro posto nella
produzione sociale e in conseguenza il loro rapporto con i mezzi
della produzione, assume, se scritta per intero e intesa correttamente,
un significato diverso e più completo da come invece la prospettano Grillo e
Wikipedia.
Ad ogni buon conto io non credo nella neutralità delle definizioni e che Grillo non sappia cogliere le differenze. Credo invece gli convenga così.
(*) Se consideriamo il processo di
produzione dal punto di vista del processo lavorativo, l’operaio non trattava i
mezzi di produzione come capitale, ma come semplice mezzo e materiale della sua
attività produttiva adeguata allo scopo. In una conceria, per esempio, egli
tratta le pelli semplicemente come suo oggetto di lavoro. Non è la pelle del
capitalista che egli concia. Le cose stanno diversamente non appena
consideriamo il processo di produzione dal punto di vista del processo di
valorizzazione. I mezzi di produzione si trasformano subito in mezzi di assorbimento
di lavoro altrui. Non è più l’operaio che adopera i mezzi di produzione, ma
sono i mezzi di produzione che adoperano l’operaio. Invece di venire da lui
consumati come elementi materiali della sua attività produttiva, essi consumano
lui come fermento del loro processo vitale; e il processo vitale del capitale
consiste solo nel suo movimento di valore che valorizza se stesso (K. Marx, Il Capitale, critica dell’economia politica,
I, cap. 9).
(**) I, cap. 5.
Il problema che si pone, soprattutto in Italia, è convincere gli idraulici e gli elettricisti (e affini) che il cambiamento del sistema economico e produttivo conviene "anche a loro" che si sentono più anticomunisti degli stessi capitalisti.
RispondiEliminanel momento in cui la crisi li rende dei disperati, conviene anche a loro. non è, come ben sai, questione teorica, bensì pratica. ecco perché quando qualche lettore mi chiede vaticini sul futuro evito di rispondergli. sono mica Marco Amleto Belelli
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EliminaMa anche tu sei divina!!! :)
Ciao gianni
ciao
EliminaOttima la chiusa!
RispondiEliminaSull’irresistibile questione della “classificazione” ho una domanda assai ingenua da porre. Che posto occupano nella produzione sociale i funzionari della burocrazia, gli agenti di consenso (insegnanti e giornalisti), gli operatori del terziario e gli “operai cognitivi” (artisti e letterati d’ogni risma, piú e meno sperimentali, piú e meno engagés), che godono, nell’oppio dei sussidi e dello Stato sociale, della ridistribuzione in bricciche d’una quota del plusvalore industriale estorto?
RispondiEliminaLa benedetta aristocrazia operaia e l’intellettualità, indipendentemente dal grado di connivenza e posta l’instabilità del loro stato, valgono come borghesia —ancorché a tempo determinato— o proletariato?
— Raugei
http://diciottobrumaio.blogspot.it/2013/01/minima-propedeutica-marxista.html
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