Scrive il prof. Ernesto Galli sul Corriere:
«Le riforme di cui noi abbiamo più bisogno, infatti, sono quelle che dovrebbero rompere proprio il meccanismo con cui funziona la nostra società, mutarne alla radice lo spirito e la mentalità. Quando in Italia si dice «riforme», bisogna esserne consapevoli, si dice in realtà «rivoluzione». E la più difficile tra le rivoluzioni: quella culturale».
Quando ci saremmo tutti, padroni e servi, orientati verso le idee del professor Galli, quando finalmente la “rivoluzione culturale” da egli auspicata sarà avvenuta, acquisito “lo spirito e la mentalità” giusta, cosa dovremmo aspettarci, noi salariati, quali cambiamenti concreti?
Per quanto riguarda le “riforme” in Italia, se non si sono fatte, ci saranno pure dei motivi. Galli li individua nel privilegio, il corporativismo, la demagogia. Tutte cose troppo generiche, caro professore. Ella non crede che la cosiddetta società civile, ovvero la società borghese, non sia la forma di relazione determinata dai rapporti sociali esistenti, e cioè anzitutto dai rapporti di produzione? E non crede che le politiche sociali di cooptazione e consenso, di mantenimento della “pace sociale” non dipendano anzitutto da una questioncella di base, ovvero dal rapporto conflittuale tra capitale e lavoro, e cioè dalla lotta di classe? E la peculiarità italiana di tale conflitto non dipende in tanta parte dal modo di costituirsi storicamente del capitalismo e della rendita in Italia? Vogliamo vedere certi dati, per esempio quelli dell’evasione fiscale, del lavoro nero, dei bassi salari, del saccheggio del patrimonio pubblico? Appunto, dirà lei. Della minchia, diremo noi.
E vogliamo dare un'occhiata al ruolo che hanno giocato i grandi interessi, dalla Nato alla Chiesa, dalle multinazionali alla confindustria, nel mantenere l'Italia in uno stato di minorità civile e democratica?
Inoltre, sul piano ideologico, non crede che per il mantenimento di tali rapporti di produzione/riproduzione la borghesia non operi attivamente nel mondo dell’illusione ideologica, nell’insieme delle pratiche concrete in cui si risolve la vita quotidiana dei salariati: codici di comportamento, programmazioni sociali, linguaggi autorizzati, significati e stereotipi, insomma tutto il processo di “comunicazione”? Non mi venga a dire che il proletariato non è un prodotto programmato e finalizzato del sistema! Lei non crede di avere qualche parte nel giochino?
E allora di quale rivoluzione culturale straparla? Pensa di farvi fronte con una rivoluzione delle idee, dei concetti, dell’etica? E da quando in qua le idee, di per sé, hanno comportato un minimo mutamento delle cose? Esse non piovono dal cielo, vengono sempre dopo. In nessun caso, mai nella storia, si è verificato un caso opposto. Insomma, caro Galli, lei vuole che tutto cambi per continuare a tirare a campare (molto bene) come prima e come sempre. E se la rivoluzione anziché culturale fosse fatta perché siamo stufi di mantenervi? In tal caso potrebbe acclarare se si tratta di questione di destra o di sinistra. Eccome!
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