lunedì 13 giugno 2011

La legge delle tangenti

«Si fece ma non si disse. E il nucleare diventò legge».
 
Intervista di Sebastiano Canetta e Ernesto Milanesi all'ex deputato Pci e radicale Tessari



La legge delle tangenti. L'inviolabile segreto delle votazioni «nucleari». Il compromesso «atomico» del Partito comunista. E la solitaria opposizione dell'unico deputato rompicoglioni che trent'anni fa puntò i piedi. Alessandro Tessari è un professore universitario di filosofia uscito dai ruoli, che continua a coltivare gli studi su Lullo e non smette di pungolare la sinistra. Nel 1981 sedeva a Montecitorio nel drappello di deputati radicali, dopo aver clamorosamente lasciato il Pci. All'epoca ha visitato la centrale di Fukushima quando era ancora in costruzione, tenendo - da solo - la trincea parlamentare contro i lobbisti dell'atomo.

Alla vigilia del referendum, racconta i dettagli dell'inganno che permise di costruire le centrali di Caorso, Trino, Latina e Montalto di Castro. Insieme al fallimento della "lezione" giapponese. Bisogna ritornare agli anni '80. Il Parlamento è alle prese con l'approvazione del piano energetico nazionale. Il terreno viene preparato dal ministro Dc all'Industria Giovanni Marcora, che dichiara che l'Italia è sull'onda del baratro. Mentre il neopresidente dell'Enel Francesco Corbellini (altro democristiano, nominato da Romano Prodi) avverte che l'ente rischia di non riuscire più a pagare i fornitori. Servono, e subito, 8.130 miliardi di lire da girare all'azienda di Stato. E bisogna passare, di corsa, all'energia nucleare.

Tessari, come nacque la legge sul nucleare? All'epoca non ci fu alcun dibattito pubblico. Le segreterie di partito avevano deciso che, trattandosi di una modesta leggina, era meglio evitare l'esame in aula. E così il nucleare venne messo all'ordine del giorno della Commissione industria della Camera, frequentata da pochi intimi. Una scelta giustificata anche con la necessità della massima discrezione, oltre che dalla volontà di non avere tra i piedi giornalisti e tanto meno il pubblico sulle tribune. Soprattutto, andava evitata qualunque forma di pubblicità intorno a quello che allora veniva venduto come un "banale" atto di carattere amministrativo.
 
Tanto ordinario non doveva essere, visto l'orizzonte di soldi che si paventava ai favori dei municipi "atomici". Infatti. Per questo chiesi ai colleghi come mai, se il nucleare era pulito, bello e necessario all'economia, si sentiva il bisogno di inondare con miliardi i Comuni che avrebbero ospitato le centrali. Dal mio punto di vista, era come legalizzare le tangenti. Comprare - in blocco - paura, preoccupazioni e salute dei cittadini. Chiesi ai colleghi di giustificare l'alone di clandestinità intorno a un argomento così strategico. Mi risposero che anche molti processi si celebrano a porte chiuse. Prima di esplodere in una risata collettiva. Da quel momento diventai, ufficialmente, Tessari-il rompicoglioni. 

Concretamente, come andò? Quale procedura? Che trucchi? Il primo problema era il titolo ufficiale da affibbiare alla "legge delle tangenti". Qualche deputato propose di definirla «contributi a favore dei Comuni sede di centrali nucleari». Un coro di no fece capire che bisognava essere indiretti e sfumati. Del resto, l'indicazione sottobanco dei partiti era chiara: la parola nucleare non avrebbe dovuto comparire. Mai. «Definiamole termoelettriche» azzardò qualcuno. Altri proposero di chiamarle semplicemente «centrali elettriche», appellativo che non avrebbe spaventato nemmeno un bambino. Alla fine, vinse la formulazione «norme per l'erogazione di contributi a favore di Comuni sedi di centrali elettriche alimentate con combustibili diversi dagli idrocarburi». Scelta che però includeva anche il "vecchio" carbone. 

Un pasticcio energetico, insomma? Si, ma nel frattempo c'era chi si muoveva in modo decisamente più organico. Il presidente dell'Enel aveva ordinato di allegare alle bollette della luce una letterina, per spiegare che la tariffa sarebbe calata quanto più fosse cresciuto il nucleare. Una sorta di moral suasion per preparare il terreno all'atomo. Dal suo punto di vista comprensibile, visto che non c'era - esclusa la mia - alcuna opposizione a quel disegno. Piuttosto collaborazione, tant'è che non riuscivo ad avere copia dei resoconti stenografici con i voti a favore degli altri 27 membri della Commissione. Si erano portati via anche le brutte copie. A tal proposito, definii l'opposizione come nome ad arte per quei partiti che non fanno parte della maggioranza, ma si guardano bene dal farla cadere. 

Si riferisce, per caso, al Pci? Beh, quando nel 1985 la Fgci scese in piazza insieme ai radicali per raccogliere il milione di firme necessario al referendum, si trovò sommersa dalle ironie dei dirigenti del Pci. La lobby nuclearista aveva proprio nel partito di Enrico Berlinguer uno degli alleati più preziosi. Ma la mia battaglia era più articolata. Non feci mai coincidere l'avversione al nucleare con la chiusura dei finanziamenti al settore. Anzi, mi sono battuto affinché la spesa nucleare rimanesse a livelli significativi. Ma prima di costruire le centrali bisognava studiare le tecnologie per la sicurezza, capire come ritrattare le scorie e trovare una soluzione per lo stoccaggio. Non si costruisce una macchina se non si conosce il modo di fermarla. 

Per questo andò a prendere appunti dai giapponesi? A dire il vero, il viaggio venne organizzato dalla Commissione industria. Il presidente Enrico Manca era sicuro che mi sarei convinto della bontà della nucleare dopo aver visto le centrali nipponiche. E così, insieme ad alcuni colleghi, mi recai all'impianto di Fukushima, che oggi è inavvicinabile a causa delle radiazioni. Ci accolse il presidente della società che gestiva il nucleare in tutto il Giappone e ci fece visitare il maxi-cantiere "atomico". All'inizio prevedevano di costruire, uno accanto all'altro, dieci reattori. Poi, per fortuna, si fermarono a cinque. Motivo della concentrazione? Dimezzare i costi di sicurezza e ridurre le contestazioni. Non ce ne fu bisogno, perché i giapponesi non elevarono alcuna protesta. Oggi il politologo Giovanni Sartori ci spiega che l'incidente di Fukushima è un fatto sismico e non atomico, mentre il cardinal Martini ci invita ad ammirare la disciplinata compostezza dei giapponesi nell'affrontare la tragedia. È la stessa calma che ha permesso di installare decine di centrali in uno dei luoghi più sisimici del mondo senza che nessuno battesse ciglio.

il manifesto, 10 giugno 2011, p. 3 

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