martedì 30 giugno 2015

Quale che sia l’esito


Nelle prime ore di domenica, il parlamento greco ha votato la richiesta del governo d’indire un referendum sulle proposte dei creditori. Dopo 14 ore di dibattito è seguito il voto per appello nominale. Il governo doveva superare la soglia dei 151 voti su 300, la proposta è stata approvata con 178 voti contro 120. Due deputati erano assenti. Syriza ha avuto l'appoggio dei Greci Indipendenti (Anel), il partito populista di destra partner di coalizione, per un totale di 161 voti. Inoltre, hanno votato a favore i deputati fascisti di Alba dorata. Il presidente greco, Prokopis Pavlopoulos, preso atto della decisione del parlamento, ha annunciato il referendum nazionale.

Nel 1821, i Greci, affamati, presero le armi e si ribellarono contro il giogo ottomano e infine vinsero. Oggi la situazione è molto diversa, i rapporti di forza sono ben delineati. Non solo i proletari greci non prenderanno le armi, ma con questo referendum (e nei prossimi giorni e settimane la cosa apparirà sempre più chiara) verranno giocati. Syriza non sta tentando solo un braccio di ferro con la Ue e i creditori, laddove è chiaro che le simpatie vadano al piccolo Davide ellenico che lotta contro il gigantesco Golia tedesco. Non dimentichiamoci la profonda espressione di Simonde de Sismondi: “il proletariato romano viveva a spese della società, mentre la società moderna vive a spese del proletariato”.

lunedì 29 giugno 2015

Quali privilegi protegge quel "marxista" di Tsipras


La proposta di referendum di Tsipras è un tacito riconoscimento che il suo partito e il suo governo sono profondamente divisi e non sono d'accordo su come procedere. La proposta è una frode per dare una parvenza di legittimità democratica al saccheggio della Grecia da parte delle banche. I salariati greci potranno scegliere se accettare i tagli UE, spingendoli ancora di più nella miseria, o votare "no" e privarsi dei crediti da parte della BCE, quindi il fallimento dello Stato greco e il crollo del sistema bancario. Il referendum equivale a tenere una pistola carica alla testa del popolo greco.

Il problema, ripeto qui ancora una volta, non è l’euro, ma l’uso politico che ne viene fatto. Adottando l’euro si è data l’opportunità a paesi economicamente fragili di spendere e indebitarsi con una valuta forte. I prezzi in brevissimo tempo sono raddoppiati, e con i crediti concessi si acquistava armi, automobili e altre merci soprattutto dalla Germania, dalla Francia e dall’Italia, dopodiché, sommersa dai debiti la Grecia è diventata il paria dell’Europa. Ma non c’è solo questo.

Quando è subentrata la crisi e sono state imposte drastiche misure di austerità (per i salariati, ovviamente), la svalutazione interna ha peggiorato la posizione debitoria delle famiglie e delle imprese greche: a causa della riduzione dei salari e dell’alto livello di disoccupazione i redditi nominali sono drasticamente diminuiti e il valore reale del debito pubblico è aumentato sia in termini assoluti che in rapporto al Pil. Questo ha creato una situazione da deflazione da debiti. A ciò, nel caso greco, si è aggiunto il crollo del prezzo dei noli della marina mercantile (dirò tra poco).

domenica 28 giugno 2015

Che pur contano qualcosa


«… che faremo noi elettori quando le urne si apriranno e il popolo sovrano (?) dovrà scegliere?».

Scalfari tempo addietro una domanda così non l’avrebbe posta, tantomeno avrebbe apposto il punto interrogativo richiamandosi al “popolo sovrano”. Gli tocca ammettere che si sta creando un vuoto. Sono questi gli effetti dell’astensione di massa al voto, un fatto saliente che Scalfari nei suoi ultimi editoriali immancabilmente e con allarme richiama. Egli sa bene che perfino nelle dittature un sistema ha bisogno di una qualche forma di legittimità, figuriamoci dunque in un sistema che, suo malgrado, deve accreditarsi democratico. E quel punto interrogativo che revoca in dubbio la sovranità popolare pesa come un macigno. Quel segno d’interpunzione è sintesi eloquente di una situazione più che non un anno di accorati e monitori editoriali.

*

Sulle reiterate preoccupazioni di Scalfari in merito alla situazione del Pd e all’inesistenza di una forza politica di “sinistra”, forse vale il caso di osservare come la sinistra in Italia non abbia saputo conservare alcunché della sua storia e dell’autonoma definizione dei concetti e dei simboli (che pur contano qualcosa). La destra ha vinto affermando il superamento di distinzioni come destra e sinistra. Enorme il peso di quella vittoria, il resto è stato conseguenza. Renzi è solo il più tipico prodotto di quella cantina. Scalfari vorrebbe una sinistra liberal-democratica laddove è proprio tale concetto, per molti motivi, ad essere entrato in crisi quanto il riformismo sociale. E quanto ancora s’è spesa negli anni l’intellighenzia perché la sinistra nella lettera e nello spirito abbandonasse un certo punto di vista perché doveva confrontarsi e rabberciarsi con il punto di vista del “mercato”?


Ps: non ho proprio titolo per lezioni di grammatica italiana, vorrei però osservare come un indubbio maestro di giornalismo usi impropriamente, nel suo editoriale odierno ma già in altre occasioni, l’avverbio affatto come negazione assoluta invece che in senso affermativo. Non è infrequente ma, come dice la Treccani, si tratta di «una diversa percezione del significato, che porta ad assegnare erroneamente ad affatto il valore negativo di ‘per niente, per nulla’».

sabato 27 giugno 2015

Perché oggi ci sono più gay e lesbiche di un tempo


La decisione della Corte suprema degli Usa di legalizzare il matrimonio di coppia tra individui dello stesso sesso desta contrastanti prese di posizione.

Da che cosa scaturisce tale decisione? I motivi giuridici adotti personalmente non m’interessano più di tanto. Certamente vi è un mutato clima psicologico e culturale sul tema dell’omosessualità che ha funto da coadiuvante verso questa decisione, ma vi sono anche altri motivi senza i quali non si spiegherebbe la crisi ormai irreversibile della famiglia tradizionale e dunque il proliferare di situazioni diverse.

Famiglia tradizionale non significa “naturale”. La forma della famiglia muta con lo sviluppo storico. La famiglia monogamica nasce in un’epoca assai remota che segna il passaggio dalla proprietà comune a quella privata. È il segno distintivo del sorgere di quella che chiamiamo civiltà. Questo tipo di famiglia ha lo scopo anzitutto di affermare il dominio del maschio e la paternità incontestata dei suoi figli quali eredi naturali del patrimonio del padre.

venerdì 26 giugno 2015

Il paese del Cacao Meravigliao





Gliela faranno pagare, oh yes. Gli insegnati assommano a un bel pacchetto di voti, e poi vengono quelli ai quali mancava un niente per andare in pensione prima della Monti-Fornero, quelli ai quali nemmeno “quota cento” basta più. Oh, come sono incavolati (si dice così?), basta leggere nel sito di Cesare Damiano di cui riporto scampoli qui sopra.

I siti degli Uomini Illustri, i quali non ammetteranno mai in quali contraddizioni insanabili si dibatte questa vecchia società, è bene tenerli sempre sott’occhio, come termometro.

Quando il sistema comincia ad essere messo così pesantemente e ampiamente in discussione, per rimettere le cose un po’ a posto bisogna smuovere l’adrenalina. Che cosa scriveva Voltaire nel XXIII del Candide? “In questo paese è bene ammazzare di tempo in tempo un ammiraglio per incoraggiare gli altri”. Chissà che cosa s’inventeranno di nuovo a proposito di capri espiatori …

*


Le catene di valore


941top manager di tutto il mondo prevedono che, nell’arco di cinque anni, 4 delle prime 10 aziende (in termini di quota di mercato) in ogni settore saranno o risucchiate o eliminate dalla digitalizzazione che sta ridisegnando i confini dell’industria. In altri termini, si tratta dell’urto che le tecnologie digitali avranno sul valore e la posizione di mercato delle società esistenti, un “movimento inevitabile delle industrie […] in cui i modelli di business, le offerte e le catene di valore sono digitalizzate nella maggior misura possibile”.

Sempre meno posti di lavoro, dunque.

*


Ammesso e non concesso, così direbbe Totò, che esista qualcosa che possa definirsi di sinistra, di che cosa si tratta, sia pure vagamente? Giorgio Gaber a suo tempo la buttò in burla elencando cos’era di sinistra e di destra.

Della destra noi sappiamo tutto, esattamente che cosa pensa Salvini e abbastanza in dettaglio a cosa punta Renzi. Ma della sinistra che cosa sappiamo? I vari Civati, Cofferati, Landini, Vendola, Fassina, che cavolo di sinistra hanno in testa? Anticapitalista? Ne dubito fortemente. E anticapitalisti sono anche i camerati di CasaPound. Per un capitalismo riformato? Oh, allora le schiere s’ingrossano, diventano legioni, eserciti galattici. Anche Bergoglio e Obama, ognuno a suo modo, sono per le riforme. Si associa anche la Lagarde, sotto-sotto è per mettere qualche pezza al sistema scricchiolante. E il suo predecessore, Strauss-Kahn, aveva idee incendiarie a tale proposito. Perciò l’hanno tolto dalla corsa alla presidenza francese per piazzare Pomme de Terre all’Eliseo.

Non esiste una sinistra di lotta e di governo. Chi l’ha detto e fatto credere, ieri e oggi, è un bugiardo, un millantatore e un mistificatore. Abbiamo esperienza pluridecennale di che cosa significa “sinistra di lotta e di governo”. Non mi pare che le condizioni di vita e di lavoro dei salariati siano migliorate di quel tanto da poter dire: merito della “sinistra di lotta e di governo”. Per esempio, qualcuno ha mai sentito dire chiaro e tondo da questi illustri personaggi: “I salariati non possono più sostenere gli enormi profitti lavorando otto ore il giorno come un secolo fa. La produttività del loro lavoro è aumentata a dismisura, ma non è del pari diminuita la giornata lavorativa. Le catene del valore vanno allentate”?


Sia chiaro, non si tratterebbe di una dichiarazione di “sinistra” ma di semplice, per così dire, buon senso. Manco le dichiarazioni di buon senso si sentono, figuriamoci quelle di sinistra.

giovedì 25 giugno 2015

Non resta che ripartire da .....


La cosiddetta classe media, oggettivamente proletarizzata e senza prospettive, non può dall’oggi al domani mutare i suoi tratti psichici e le sue convinzioni ideologiche. Ha bisogno di proletarizzarsi ancora di più e di subirne le conseguenze. Infatti, pur vivendo una condizione proletaria essa resta per lungo tempo sotto il dominio e l’influenza dell’ideologia dominante ed è perciò estremamente vacillante nelle sue posizioni. E poi bisogna dire che gli specialisti della manipolazione operano bene, con la facilità con cui un ferro caldo entra nel burro.


Sarà dura e ci vorrà del tempo prima che a livello di massa la realtà dei fatti, e dunque la realtà storica del capitalismo, diventi senso prevalente. Si prenda dunque atto che questo sistema economico, volto all’estorsione del plusvalore, non solo non vuole, ma non può farsi carico della sostenibilità di un sistema sociale in perenne squilibrio finanziario senza tradire la propria ragione e natura. La situazione della bótte piena (profitti) e della moglie ubriaca (welfare) può durare molto a lungo, ma non all’infinito.

E però – dicevo – pur essendo l’ideologia dominante contraria agli interessi ed alle aspirazioni degli schiavi salariati, dobbiamo tener conto che il suo successo dipende dal suicidio della teoria rivoluzionaria, oltre che dal fatto che l’ideologia borghese è più antica, più elaborata in ogni direzione e dispone di mezzi di diffusione incomparabilmente più potenti. Del resto non basta essere proletari o precipitati in una condizione proletaria per avere una coscienza di classe proletaria.

Fino a quando i sistemi sedicenti comunisti sono rimasti in piedi, e con essi i partiti che in occidente si spacciavano per comunisti, in qualche modo il bluff ha retto, anche perché sulla sponda della borghesia c’era chi aveva interesse a mantenere in piedi l’equivoco e giocare la carta dell’anticomunismo. Dopo la caduta del famoso Muro il bluff si è rivelato per ciò che era: di là c’era un regime burocratico opprimente e una penuria cronica finanche del necessario; di qua non si era mai creduto alla rivoluzione e non si vedeva l’ora di sedersi nella stanza dei bottoni con gli ex avversari.

Da quel momento e sempre più ci si pone la solita e inesausta domanda: che fare? Il soggettivismo – l’abbiamo visto mille volte – e pure il “militarismo”, con quel loro spirito di setta, o sfociano in un minoritarismo autoreferenziale o combinano grandi guai. Siamo grossomodo nella stessa situazione, per fare un esempio storico, che seguì la Comune di Parigi. La sconfitta non seguì la caduta del Muro, anche se quel crollo è stato emblematico, ma viene da molto più lontano. Innanzitutto da una carente analisi del capitalismo, da una distanza sostanziale – quando non si tratta di vera e propria incomprensione – da Marx, per contro dalla continuità di un mito che data dall’Ottobre e che non ha tenuto conto delle particolari condizioni storiche in cui ebbe a maturare quell’evento e di ciò che accadde dopo.

E, dunque, per ricominciare, non resta che (ri)partire da Marx. Anzitutto da un suo fondamentale avvertimento: quelli che vogliono opporsi alle leggi di sviluppo storico, così come quelli che vogliono forzare i tempi della storia, possono farsi solo del male.

mercoledì 24 giugno 2015

O almeno la mia


Un tempo quando leggevi nella terza o quarta di copertina la nota biografica dell’autore di un libro scoprivi che aveva sempre almeno qualche anno più di te. Un po’ ti rallegrava sentirti ancora giovane. Poi viene il momento in cui quasi tutti gli autori sono più giovani di te e la cosa ti appare così strana. Magari è un libro sulla guerra fredda, sui missili di Cuba, e ti chiedi: come fa questo tizio a scrivere di cose di cui non è stato testimone? Una domanda del cavolo che ti sfiora e che non riesci a reprimere.

È morta Magali Noel, un nome e un volto che a molti non dirà nulla salvo associarlo ad Amarcord di Fellini, e allora magari rievoca la rotonda e disponibile “Gradisca” che si offre a un improbabile principe Umberto (improbabile come amante di una donna). A me quel film rievoca immancabilmente Pupella Maggio, la madre di quel discolo di Titta. Le nostre nonne (e mamme) tali e quali, i litigi a tavola a causa dei figli, la straziante fine in un letto d’ospedale, la mia bugia che ella, prendendomi le mani tra le sue, finse di credere: “Vedrai, nonna, che ritornerai a casa tra qualche giorno, dopo che ti avranno prescritto una cura”.


Nostalgia di quei tempi? Per gli affetti sicuramente, e per certe situazioni ancora intonse, ma per il resto non ne ho mica tanta. Le cose non erano facili come adesso, erano davvero anni in bianco e nero. Fellini riusciva ad immaginarli a colori, nel suo film più vero, ex equo con i Vitelloni. La mestizia della scena finale del matrimonio, accompagnata della fisarmonica, credo riassuma bene la nostra, o almeno la mia.

martedì 23 giugno 2015

Sicurezza


Quando ci sediamo a tavola per mangiare, due o tre volte il giorno, lo facciamo senza pensarci troppo, diamo per scontato che ci sediamo a tavola e troveremo del cibo. La nostra dieta è in genere molto varia, non ci si nutre più prevalentemente di un solo tipo di cibo come poteva succedere un tempo. Non di solo pane, non di sole farine e verdure, ma una varietà di cibi tra i quali possiamo scegliere cosa mangiare di più e cosa di meno. Possiamo anche decidere in anticipo che cosa mangeremo il mattino per la sera o per il giorno dopo. Il cibo non è più un problema, o non almeno un problema assillante, anche nelle famiglie più povere c’è cibo abbastanza per non patire la fame.

La maggior parte delle persone non si occupa direttamente della produzione, conservazione e distribuzione del cibo di cui si nutre. È sufficiente che l’acquisti e lo predisponga per il consumo secondo quantità e gusto. Anche solo molto meno di un secolo fa le cose non stavano così. Procurarsi il cibo in misura sufficiente ai bisogni era per molte persone un problema non dappoco. Esistevano poi due livelli di alimentazione, quella dei benestanti e quella delle persone normali. I poveri, cioè la stragrande maggioranza delle persone, in genere erano magri, in non rari casi denutriti e malnutriti, non solo durante i periodi bellici e subito dopo.

domenica 21 giugno 2015

La ricchezza su una montagna di cadaveri


«C’è un solo uomo di troppo sulla Terra: il reverendo Malthus».

*
«Però, se è vero che l’ineguale distribuzione della popolazione e delle risorse disponibili crea ostacoli allo sviluppo e ad un uso sostenibile dell’ambiente, va riconosciuto che la crescita demografica è pienamente compatibile con uno sviluppo integrale e solidale. Incolpare l’incremento demografico e non il consumismo estremo e selettivo di alcuni, è un modo per non affrontare i problemi (Laudato si’, pp. 38-39).»
*
Quanto “all’ineguale distribuzione delle risorse disponibili” va chiarito che nel capitalismo la ricchezza materiale non esiste per i bisogni di sviluppo del lavoratore ma che questi esiste per i bisogni di valorizzazione del capitale. Pertanto anche le “problematiche” demografiche, e con esse quelle della fame e del sottosviluppo, devono essere ricomprese nelle leggi di accumulazione e sviluppo capitalistico se si vuole restare nell’ambito dell’analisi scientifica.

Tutte le trasformazioni avvenute nei modi di produzione precedenti non hanno mutato sostanzialmente i rapporti di produzione, limitandosi a sostituire una forma di proprietà ad un’altra, una forma di sfruttamento con un’altra. Dalla proprietà schiavistica, a quella feudale, poi alla proprietà capitalistica: dallo sfruttamento degli schiavi si è passati allo sfruttamento dei servi della gleba e ora a quello dei proletari (anche di quelli che stanno partendo per le vacanze con l’auto nuova).

Ciò è avvenuto anzitutto con l’espropriazione dei produttori immediati, con la dissoluzione della proprietà privata fondata sul lavoro personale. I produttori diretti vengono separati violentemente dai propri mezzi di produzione, essi diventano “liberi” perché devono essere liberi di vendere la propria forza-lavoro, liberi di farsi sfruttare. E liberi di credere alle incessanti panzane che vengono raccontate sulla loro condizione.

Ed è ciò che, da ultimo, sta avvenendo prepotentemente in Africa e in Asia laddove i produttori immediati, contadini e piccoli artigiani, vengono separati violentemente dai propri mezzi di produzione. Si crea in tal modo una massa di potenziali lavoratori “liberi” di cui solo una parte può essere impiegata come schiavi salariati in loco. Gli altri devono arrabattarsi come possono o emigrare. O morire perché non hanno abbastanza da mangiare.

Lasciano i campi e le fattorie, a occuparsi della produzione di cibo saranno le multinazionali. A queste importa soltanto le coltivazioni intensive di grano, riso, soia, il resto è spazzatura. Invece in ogni piccola fattoria, in ogni villaggio si coltiva di tutto, perché tutto è cibo. Invece di incoraggiare la gente a produrre il proprio cibo, a farsi carico della propria fame, alle multinazionali conviene di più l’affamato perché è una persona da sfruttare in ogni senso.

L’India, per esempio. Ci sarà pur un motivo se in molte zone dell’India prospera il maoismo: è uno dei paesi più grandi esportatori di cibo con il più alto numero di denutriti del mondo (*). Altro esempio: in Madagascar l’80 per cento della popolazione vive prevalentemente di riso, un tempo ne era prodotto per sfamare tutti, oggi non più ed è importato. Viene importato più riso del necessario dai grandi mercanti, in tal modo il prezzo scende e la produzione locale ne subisce la concorrenza. Circa il 45 per cento dei contadini ha fame secondo il relatore speciale dell’ONU per i diritti all’alimentazione Olivier de Schutter (**).

Nei paesi a più antica industrializzazione sta avvenendo un processo diverso ma con analogo risultato e che riguarda la disoccupazione: l’aumento della massa dei mezzi di produzione a paragone della massa della forza-lavoro che li anima, si rispecchia nella composizione del valore del capitale, ossia nell’aumento della costitutiva costante del valore capitale a spese della sua parte variabile.

Ci troviamo dunque di fronte a due aspetti diversi del problema demografico ma che hanno in sé un’unica causa: lo sviluppo capitalistico. Nei paesi raggiunti dall’espansione capitalistica assistiamo all’espulsione dei produttori diretti dalle loro condizioni di lavoro e di vita, vuoi per espropriazione diretta o perché soccombenti alla concorrenza dei prodotti importati. Nei paesi a capitalismo maturo, invece, assistiamo allo stesso fenomeno, nelle specie della disoccupazione (o precarizzazione) di massa, dovuto però alla mutata composizione organica del capitale (nuove tecnologie).

Là il processo è indotto dall’espropriazione “legale” delle terre, in cui le popolazioni hanno vissuto per secoli, dalla concorrenza, dallo strangolamento per debiti e dalla miseria più nera creata ad hoc. Qui, invece, l’accumulazione capitalistica produce costantemente e in proporzione della propria energia e del proprio volume una popolazione operaia relativa, cioè eccedente i bisogni medi di valorizzazione del capitale, e quindi superflua (***).

In entrambi i casi, questa sovrappopolazione diventa la leva dell’accumulazione capitalistica e addirittura una delle condizioni d’esistenza del modo di produzione capitalistico. Essa costituisce un esercito di sfruttati di riserva, disponibile e che appartiene al capitale in maniera completa per i mutevoli bisogni di valorizzazione, materiale umano sfruttabile e sempre pronto, indipendentemente dai limiti del reale aumento della popolazione (si sopperisce con gli immigrati). Il ciclo economico odierno, che si alterna con brevi oscillazioni di vivacità e prolungati periodi di crisi e stagnazione, ha un rapporto diretto sul maggiore o minore assorbimento della sovrappopolazione.

Nei sedicenti sistemi comunisti la colpa dei problemi sociali era attribuita allo Stato, il quale si era fatto carico di provvedere a tutto. Nei sistemi capitalistici i fenomeni della povertà, della disoccupazione, dell’emigrazione forzata, sono visti e spacciati invece come il prodotto delle più diverse cause, spesso intese come colpe individuali o di singoli gruppi, ma in realtà quei fenomeni hanno essenzialmente radice nel capitalismo e nelle sue contraddizioni. Ammetterlo significherebbe mettere in discussione il sistema, un po’ come se nel medioevo si fosse messo in dubbio la verità del cristianesimo.

Il Vangelo dice che i poveri ci saranno sempre. È una realtà antica. Oggi abbiamo incontestabilmente i mezzi per sconfiggere la miseria e la fame per sempre. Nella Terra produciamo cibo più che sufficiente per sfamare tutti. Molto più cibo con solo l’8% delle terre coltivate in più rispetto al 1960. Il capitale ha bisogno di nuove terre da mettere a cultura intensiva. Non per sfamare le famiglie che sono cacciate da quelle terre – nessuna risorsa per gli inutili – ma per aumentare i profitti.

La verità è che il capitalismo, nel suo imponente sviluppo, non sa che farsene di centinaia di milioni di persone, quando non sono masse di riserva sono “eccedenze”. In un sistema in cui gli individui si definiscono per il loro ruolo nella divisione sociale del lavoro, la disoccupazione diventa uno dei modi per privarli di un’identità, o di dar loro un’identità definita dalla mancanza. Li chiamano quelli che non studiano né lavorano. Quelli che affogano nel Mediterraneo non li chiamano nemmeno.

Finché la povertà resterà un problema altrui non ce ne importerà nulla o ce ne occuperemo molto solo a parole. Colpevoli senza colpe. E anche quando la povertà ci riguarda direttamente abbiamo un motivo in più da opporre per non occuparci di quella altrui. Tuttavia anche in tal caso non si può dire che il problema non ci tocchi direttamente, tanto più quando i migranti sbarcano. È a questo punto che scatta la paura, ben fomentata e gestita per interessi elettorali.

Il capitale agisce globalmente e invece i governi sono locali, e anche quando potrebbero fare qualcosa insieme non decidono. Sappiamo altresì che non è in nostro potere come singoli individui cambiare le cose, ma questo non è un buon motivo per non fare nulla. E oggi fare qualcosa significa se non altro prendere posizione e fare chiarezza, chiamando le cose per nome.

(*) Nel 1996 una grande conferenza di capi di Stato alla Fao s’impegnò di dimezzare il numero degli affamati nel 2020. Allora erano 850 milioni; da allora circa 120 milioni di persone sono morte senza che importasse nulla a nessuno, e tuttavia continuano a esserci circa 900 milioni di affamati. Dal 2008 si sono spesi oltre 20.000 miliardi di dollari in “pacchetti di stimoli” per salvare le banche e i grandi gruppi finanziari.

(**) Le Rapporteur spécial a pu constater, lors de sa mission, les impacts de l'incertitude politique et de la suspension de l'aide sur la sécurité alimentaire: 35 % de la population rurale a faim – un chiffre qui s'élève à 47 % parmi les petits agriculteurs et à 43 % parmi les travailleurs agricoles journaliers –, et 50,1 % sont vulnérables à l'insécurité alimentaire.

(***) In nessun altro periodo della sua storia il capitalismo ha visto impiegato al contempo un così alto numero di salariati su scala mondiale così come in nessun’altra congiuntura ha visto il formarsi di un tale esercito industriale di riserva. L’aumento degli operai viene creato, da una parte, mediante un processo semplice che ne “libera” costantemente una parte separandola violentemente dai propri mezzi di produzione; dall’altra in virtù di metodi che diminuiscono il numero degli operai occupati in rapporto alla produzione aumentata, e dunque dalla costante trasformazione di una parte della popolazione operaia in braccia disoccupate o occupate a metà. Ciò, tra l’altro, comporta un maggiore controllo sui movimenti generali del salario.

sabato 20 giugno 2015

Anticapitalisti sono anche quelli di CasaPound


A leggere l’enciclica papale, pur con tutti i suoi limiti e contraddizioni, scappa un pensiero: di questi enunciati non c’è un solo leader politico mondiale che li faccia propri. Del resto perché questi leader dovrebbero togliere ai Verdi l’esclusiva? Vero è che papa Bergoglio, per essere coerente, avrebbe dovuto cominciare la sua filippica da una palese contraddizione, ossia citando e commentando il versetto di Genesi 1:28:

Dio li benedisse e disse loro:
«Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra».

Ciò è puntualmente avvenuto.

venerdì 19 giugno 2015

Ma de che?


Non c’è più il giornalismo di una volta, quelle belle inchieste che scavavano in profondità di fatti e misfatti. Eh già, madama la marchesa. Poi si pubblicano in due giorni quattro paginoni dedicati alla folcloristica situazione romana, ed ecco che ci si duole perché i giornalisti prima di rovistare in quell'immondizia non hanno guardato in casa loro. A Milano – si ribatte – hanno problemi con le fogne, in centro città debbono chiamare spesso lo spurgo. Come se questo genere di problemi fosse minimamente raffrontabile con il gigantesco sistema parassitario e camorristico regnate nella capitale e descritto da Stella e Rizzo sul Corriere.

Vero è che città di milioni di abitanti non possono vivere solo di turismo e servizi, e che l’espulsione della popolazione residente ha snaturato i centri storici di città come Roma, Firenze, Venezia. Ma altresì in nessun’altra capitale dell’occidente accadono cose come a Roma. C’è poi da considerare che in alcune realtà urbane un numero molto grande d’individui non è mai arrivato a integrarsi con la civiltà moderna, e dall’altro non c’è una classe dirigente che meriti considerazione. Perciò si vedono cose che gli altri umani stentano a credere.


Prendersela con il sindaco Marino è diventato ormai uno sport nazionale, non gli viene risparmiato alcun insulto o sberleffo. Evidentemente ha pestato i piedi a troppa gente che vuol continuare a fare la sua camorra. L’unica cosa che posso a mia volta rimproverare a Marino è di averci creduto, di essere un romantico, di ritenere riformabili quelle strutture amministrative in una città geologica come Roma. È come se si fosse creduto riformabile l’ancien régime in Francia senza colpo ferire. Chiunque siederà al suo posto dopo di lui non solo non farà di meglio, ma probabilmente eviterà di rompere il gioco parassitario per ottenerne il consenso.

giovedì 18 giugno 2015

Facce


Salvare le banche dal fallimento coi soldi nostri è stato necessario per evitare guai peggiori. Lasciamole dunque fare quello che vogliono, in attesa delle famose regole. Così dicevano due perfette facce di cazzo (una in particolare) stasera in tv. Quasi la metà degli italiani non dichiara redditi e dunque è assai probabile che questi siano quelli d’accordo con questa tesi oppure che non gl’importa nulla.

La battaglia di Mont Saint Jean all'esame di maturità


La maggior parte delle truppe schierate a Waterloo sotto il comando di quello che sarà chiamato il “duca di ferro”, cioè Wellington, non erano inglesi. Inoltre solo pochi degli inglesi presenti sul campo aveva una qualche esperienza di guerra (la campagna di Spagna). Senza l’intervento del feldmaresciallo Blücher con i suoi 45mila prussiani contro il fianco destro francese, l’armata di Wellington non avrebbe avuto alcuna possibilità di una vittoria definitiva.

mercoledì 17 giugno 2015

Vostra Santità, in breve ...


Che cosa aspettarsi da un’enciclica papale sui cosiddetti temi dell’ecologia? Un’analisi sul registro della critica marxiana del modo di produzione capitalistico? Non sarebbe realistico e poi toglierebbe lavoro ai marxisti per vocazione. E tuttavia a leggere le quasi 200 pagine dell’enciclica papale d’imminente pubblicazione, un termine chiave come capitalismo non compare mai.

Quella di papa Bergoglio è una critica laterale, morale e soprattutto superficiale. Stigmatizza lo spreco delle risorse, ma il tema non viene mai analizzato in radice. Dello “spreco” è responsabile lo “stile di vita attuale”, scrive Bergoglio. Il “problema dell’acqua è in parte una questione educativa e culturale, perché non vi è consapevolezza della gravità di tali comportamenti in un contesto di grande inequità”. Che cosa significa “in parte”. E per il resto? Silenzio.

E per quanto riguarda gli effetti di queste inafferrabili cause d’inequità, oltre agli stili di vita e alla mancanza di consapevolezza? Presto detto: “il controllo dell’acqua da parte di grandi imprese mondiali si trasform[a] in una delle principali fonti di conflitto di questo secolo”. Poi:“Anche le risorse della terra vengono depredate a causa di modi di intendere l’economia e l’attività commerciale e produttiva troppo legati al risultato immediato”. Dai “modi d’intendere”? E che diavolo, Santo Padre, non può trattarsi solo “di modi di intendere l’economia”, qui c’è ben altro oltre all’approccio soggettivo delle persone, ci sono le richiamate “grandi imprese mondiali”. Di che cosa si tratta, cosa sono, quali i loro scopi e il loro potere? Mah.

La lotta di Casse


C’è una vicenda in corso che dovrebbe tenerci incollati al televisore dalle Alpi ai Peloritani e invece non se ne sente proprio il bisogno. Si tratta delle grandi manovre che hanno per oggetto la Cassa depositi e prestiti, a tutti gli effetti una vera e propria banca. Che cos’è la Cdp? In breve e sostanzialmente si tratta di una banca che investe i risparmi che raccoglie e gli affida Poste Italiane, vale a dire la parte bassa del risparmio. Risparmio popolare ma cospicuo se nel 2013 la Cassa ha collocato 173 miliardi di euro provenienti dal risparmio postale nel suo conto corrente presso la Tesoreria dello Stato.

In pratica è un modo per finanziare il debito pubblico, la Cassa presta al Tesoro i soldi che Poste Italiane raccoglie ricavandone un interesse non proprio infimo: nel 2013, prima del picco deflazionario, il Tesoro riconosceva alla Cassa un interesse del 3,4 per cento, non proprio da buttar via. La Cassa ha riconosciuto a Poste circa 1,7 miliardi in commissioni per la montagna di soldi nostri che ha ricevuto in gestione, cioè appena lo 0,7%. Sennonché la Cassa appartiene al Tesoro, ma anche a delle fondazioni bancarie che in tal modo si dividono il cospicuo dividendo. Anche Poste è del Tesoro, ma ora sta per essere collocata in Borsa.

Insomma un bel giro di soldi e d’interessi, una cosa su cui veder chiaro, che ci dovrebbe interessare direttamente, che può essere spiegata, con i dovuti modi, e compresa da un ragazzino di prima media ma è invece una cosa, come dicevo, della quale il popolo asino che lavora e paga sembra non dover essere interessato. Compito dei talk show è di tenerci occupati in questioni di ben altro momento, oppure di insegnarci tutti i trucchi e le raffinatezze della salade niçoise.

martedì 16 giugno 2015

[...]



È difficile che il nome, un tempo molto noto, di Guido Podrecca dica qualcosa ai più. Podrecca fu, tra l’altro, cofondatore di un periodico satirico la cui fama è giunta anche ai giorni nostri: L’Asino. Socialista come si poteva esserlo in Italia, fu spirito assai bizzarro e anticonformista tanto da essere espulso dal partito. Ma non è di Podrecca che voglio dire, se non quale autore di un pamphlet davvero curioso e che a modo suo riguarda personaggi molto noti della Germania guglielmina, a cominciare dall’imperatore stesso. Mi chiedo perché questo piccolo libro di 145 pagine non sia stato ristampato in occasione del centenario degli eventi bellici (ebbe una ristampa nel 1946). Credo che illuminerebbe certi aspetti e ambienti dell’epoca meglio di molti saggi usciti recentemente. Non potendo riassumere l’intera vicenda, caratterizzata da aspetti davvero esilaranti, rimando a Wikipedia. Buon divertimento.


Un rischio che vale la pena prendere


Gli Stati Uniti stanno dirigendo una campagna di propaganda incendiaria contro la Russia e il suo presidente con serie intenzioni di provocare uno scontro militare diretto con il paese con il secondo più grande arsenale nucleare del mondo. Stanno montando vergognosamente, nell’indifferenza generale e con l’acquiescenza dei governi europei, una campagna d’isteria anti-russa che potrebbe portare a incidenti con esiti imprevedibili.

Con la combinazione di minacce militari e strangolamento economico, gli Stati Uniti e l'Unione europea si stanno muovendo per destabilizzare politicamente la Russia e creare il clima mediatico favorevole a qualsiasi avventura. Stanno già parlando un linguaggio di guerra e senza che nessuna voce autorevole si levi a denunciare questa follia. Le forze militari sono in stato di allerta in tutta l'Europa orientale, flotte americane ed europee stazionano nel Mar Nero e cercano lo scontro nell’Artico e nel Baltico.

Quanto all’Ucraina sappiamo in quale stato di crisi è stata condotta dalla scellerata politica americana. È incontestabile che gli Usa abbiano finanziato e armato i movimenti dell’ultra-destra ucraina, rabbiosamente anti-russi, fomentando un colpo di stato con la destituzione del legittimo governo di Viktor Yanukovich, dunque facendo piombare il paese nell’instabilità e nella guerra civile contro le regioni di lingua russa.

lunedì 15 giugno 2015

Qualche numero


Ho analizzato alcuni numeri ora disponibili delle comunali di Venezia-Mestre. Devo correggere un po’ il tiro rispetto ad una prima valutazione, quella delle ore 8 di stamani. Tra l’altro vorrei sottolineare, per chi non conoscesse bene la realtà amministrativa del capoluogo regionale, che la Terraferma conta elettoralmente molto più di Venezia. Sarà interessante vedere in dettaglio nei prossimi giorni quanto è stata alta l’astensione a Mestre e dintorni, laddove mediamente nel Comune è crollata di altri 11 punti rispetto al primo turno.

Al primo turno Brugnaro ha ricevuto meno di 35mila voti. Al ballottaggio gli sono confluiti i voti di destra e della Lega che al primo turno avevano raccolto complessivamente 28,5mila voti. Però Brugnaro ne riceve al ballottaggio solo 20mila in più, quindi oltre 8 mila voti in meno rispetto al pacchetto destra-Lega. L’astensione poteva costargli l’elezione se dall’altra parte il candidato del Pd non avesse pagato ancora più caro lo scotto del non voto.

È solo Camorra


Non vi sono dubbi: la sconfitta alle comunali del Pd viene dall’astensione. Oggi non se ne parla, come gli struzzi con la testa sotto per non vedere la realtà tal quale. Nel caso di Venezia (realtà che conosco molto bene), la sconfitta di Casson viene anch’essa dall’astensione, come l’analisi del voto mostra da subito. Non c’entra nulla che il 5stelle non ha appoggiato il candidato del Pd mentre la Lega ha appoggiato Brugnaro. A Casson sono mancati i voti di chi non si è recato ai seggi. E non è stato sconfitto solo a Venezia ma soprattutto a Mestre. C’entra la vicenda Mose? Ben altre sono le questioni. Non serve aver visto l’ormai famigerata via Piave, anche un giretto tra via Olivi e via Capuccina, tanto per rimanere in centro, può far capire molte più cose di certi editoriali e checché ne potrà dire Cacciari stasera in televisione (ma potrebbe anche scappargli la verità).


Appunto, come volevasi dimostrare



Esempio di gente che spara alle nuvole dopo la grandine.



Renzi dice che lo sconfitto non è lui, che non c’entra con questo risultato? La vittoria ha cento padri e la sconfitta è orfana, come sempre. Alla destra impersonata da Renzi l’elettore conservatore preferisce l’originale alla fotocopia. Renzi è un bluff che è durato anche troppo, ma resta in sella perché dopo Berlusconi la destra dovrà attraversare il suo deserto del Gobi, e Salvini è una carta giocabile solo a livello locale. Ma la differenza la fa sempre più l’astensione di massa che mostra come questo sistema politico non ha più alcuna legittimità, non gode più di alcun credito, dove anche il più pulito ha la scabbia. È solo Camorra.

domenica 14 giugno 2015

L'unica proprietà di chi non ha niente


«I negri, gli slavi e i gialli ci creano un sacco di problemi». Vero, Signora, questa situazione è un notevole esempio di ciò che noi non volevamo. Vero altresì che questi alieni ci portano anche ciò che vogliamo: una quota non piccola del prodotto interno, con un tasso di occupazione percentualmente superiore a quello dei lavoratori nostrani. Tacendo poi dei profitti realizzati in nero che credo siano la metà del guadagno.

Cara Signora, se ha fatto caso, al ristorante non ci sono studenti della Bocconi che per pagarsi gli studi servono, sparecchiano e lavano i piatti. Per semplice necessità logica le ricordo che importiamo giocatori stranieri a decine di milioni di euro cadauno e però leviamo alte geremiadi per un materasso e una coperta a qualche migliaio di africani che arrivano per cercare un qualsiasi lavoro.

«Ma non possiamo accoglierli tutti». Ha ragione Signora, tutti non ci starebbero. E tuttavia il loro flusso non dipende né da loro e nemmeno da noi. Ad agire sono le forze profonde dello sviluppo capitalistico alle quali poco o nulla possiamo opporre. Lei, del resto, non può dirsi del tutto innocente poiché di politica economica non si è mai occupata, nemmeno per approssimazione, ha sempre confidato nella professionalità del commercialista e nella scaltrezza del suo broker. La politica estera non interessa abitualmente più di qualche centinaio di persone, non di più.

Tutte queste complicazioni non le interessano, si vive bene senza occuparsi di dove e come viene prodotto ogni bendidio importato. I poveri vaganti non li vuole tra i piedi se non trasformati in schiavi obbedienti, una selezione del meglio per riempire i posti vuoti. Di ciò che sta succedendo in Africa, delle questioni demografiche e di tutto il resto a lei non importa un fico secco. Lei vuole vivere in pace, tranquilla, e godersi i suoi soldi lisciando il pelo a Dudù, senz’altro obbligo di seguire l’ultima moda. Come darle torto?

*

sabato 13 giugno 2015

Il secondo passo


La situazione della nostra epoca sembra ricalcare l’esperienza vissuta da Henry Molaison, un ventisettenne del Connecticut sottoposto nel 1953 a un intervento sperimentale di "psicochirurgia" per combattere la forte epilessia di cui soffriva [clicca per l'articolo]. Come sempre accade quando la neochirurgia s’incarica di rimuovere stati patologici di questo tipo, l’intervento ha avuto come risultato che l'epilessia si attenuò, ma H. M. perse la capacità di creare nuovi ricordi: conservava una memoria a breve termine che gli consentiva di registrare fatti, volti, sensazioni per una trentina di secondi, e poi dimenticava tutto.

Mi pare di poter sostenere che corra una certa analogia con l’eterno presente in cui noi tutti crediamo di vivere, dimentichi di ciò che è stata la storia e segnatamente il suo drammatico dipanarsi nel corso del Novecento. Dimentichi troppo spesso che la memoria storica costruisce il racconto del nostro passato ed è ciò che ci dà un'identità. Quando si chiedeva ad H.M. di guardare al futuro egli “rimaneva perplesso perché non poteva viaggiare mentalmente in avanti nel tempo a breve o a lungo termine. Non aveva gli elementi per poter costruire l'agenda per il giorno, il mese o l'anno dopo, e non poteva immaginare le esperienze future”.

Anche a noi succede, quando dobbiamo “guardare al futuro” di rimanere perplessi e smarriti, ossia di immaginarlo come una semplice prosecuzione del presente. Fondamentalmente siamo rimasti espropriati di senso ideologico: la storia delle lotte sociali ci viene raccontata solo come una grande sconfitta, la critica scientifica del modo di produzione capitalistico come un marchiano errore, il sacrificio di milioni di proletari come inutile. Oggi siamo rassegnati al fatto che la nostra condizione non possa mutare, che una progettazione sociale di segno opposto a quello dove domina l’oppressione e lo sfruttamento non sia possibile, o sia agibile solo entro i parametri prestabiliti della riproduzione capitalistica.

venerdì 12 giugno 2015

Della sostanza


Ma voi, o dei, qualche difetto ce lo date sempre per farci uomini

Giorni addietro ascoltavo le considerazioni di un esponente del 5stelle sulla crisi della rappresentanza politica cui seguiva il vaticinio sull’avvento di una diversa forma di partecipazione poggiante sui nuovi strumenti di comunicazione. Una democrazia non più mediata dai partiti, ma l’affido della funzione legislativa ai “cittadini semplici”: gli emendamenti da loro proposti attraverso un portale, sarebbero discussi, votati e poi approvati all'unanimità.

Avrebbe parola nelle decisioni anche quella gran parte di cittadini senza voce e soprattutto senza cospicui mezzi, cioè quei “cittadini semplici” che la costituzione chiama lavoratori e che però non di rado un lavoro non l’hanno. Ciò sarebbe positivo ma comunque non sufficiente a garantire la cura dei loro effettivi interessi, poiché il potere del denaro scatena forze condizionanti alle quali è impossibile sottrarsi.

E ciò è provato dal fatto che già ora molti “cittadini semplici”, al momento del voto, non solo si recano alle urne nella illusione di poter contare qualcosa, ma nel voto esprimono spesso la loro preferenza per quelle forze politiche che rappresentano, con un paradosso solo apparente, anzitutto gli interessi della classe che li sfrutta. E rieleggono gli stessi deputati da cui sono stati traditi clamorosamente e ripetutamente.

giovedì 11 giugno 2015

La radice


Ci viene detto che uno dei più gravi problemi delle nostre società, dopo quello di procurarsi l’insalata a km zero, è l’immigrazione. Quei disperati che cercano di sfuggire alle guerre e a povertà molto più grandi di quelle che ci sono qui da noi. Cercano in buona sostanza quella che si chiama “fortuna” così come l’hanno cercata decine di milioni di nostri nonni e bisnonni sparsi in ogni angolo del globo. Non si emigra se non per bisogno. Altrimenti è turismo.

Ormai tutto è problema: il lavoro, le pensioni (*), i diritti e le tutele, la corruzione dilagante, la famiglia, la scuola, le terre esaurite, il clima e perfino l’aria che si respira e dunque la salute. Siamo tributari dei progressi della merce. Quando si è giovani perché non si trova un’occupazione, quando si lavora perché ti spremono come limoni per una mancia di euro, quando s’è anziani perché con la pensione si stenta a campare, eccetera.

mercoledì 10 giugno 2015

Prima le catene


Ieri sera ascoltavo uno sconsolato segretario generale dei metalmeccanici ammettere che una grave questione è l'astensione dal voto. Che metà degli elettori non si sentono rappresentati. Soprattutto si doleva del fatto che in questi anni il sindacato non è riuscito ad ottenere nulla dalla contrattazione, nulla dalle cosiddette riforme del lavoro, nulla dal lato dell’occupazione, eccetera. Maurizio Landini non ha detto che astensione e fallimento delle politiche riformistiche sono due lati della stessa medaglia. Sicuramente lo pensa, ma se ne guarda bene dal dirlo pubblicamente.

Landini, a ragione, nota come le diverse categorie di lavoratori siano divise, come sia dunque necessario anzitutto ricercare l’unità dei salariati. E allora, per il momento, è stato organizzato un incontro dove erano presenti 300 associazioni ed è stata data la parola a molti. Dice anche, Maurizio Landini, che vuole rivolgersi agli imprenditori per stabilire insieme una specie di programmazione per obiettivi.

Sul piano delle riforme e sul piano sindacale l’iniziativa di Landini è ottima, essa risponde alla situazione e del resto che altro fare? Credo però che si tratti dell’ennesimo bluff. Faccio solo un esempio per quanto riguarda l’occupazione. È certo che Landini ha delle idee ben precise per quanto riguarda questo tema, ma non è necessario che egli le esponga in dettaglio: si tratta d’illusioni. Sul piano generale il capitale ha sempre meno bisogno di braccia a causa della centralizzazione e concentrazione dei capitali e dell’imponente sviluppo tecnico e tecnologico. Ha sempre meno bisogno di forza-lavoro specie nelle aree di più antica industrializzazione e dove il lavoro è più tutelato e meglio pagato. Nell’ambito del modo di produzione capitalistico funziona così e ogni idea di riforma è destinata a scontrasi con questa realtà.

Queste cose Landini le sa bene. Il problema della disoccupazione si può risolvere in un unico modo: ridurre drasticamente l’orario di lavoro. In un sistema dove l’unica razionalità è l’estorsione del plusvalore, ovvero la massimizzazione dei profitti, proporre una riduzione significativa dell’orario del lavoro per creare nuova occupazione è fuori discussione. Non è compatibile.

L’unità dei lavoratori è un’ottima cosa, ma per farne che cosa? Per mandarli a votare compatti, per eleggere dei nuovi e combattivi rappresentanti che andranno a parlare con i portavoce di coloro che ci tengono per i coglioni? In tal modo verranno spesi altri anni per rincorrere la riforma fiscale, nuovi investimenti pubblici, tutele e altre promesse e bei discorsi in televisione dove tutti hanno una loro parte di ragione. Sono finiti da un pezzo quei tempi. Possibile che quanto sta avvenendo in Grecia non insegni nulla?

Oggi non è possibile risolvere nessun problema senza rivoluzionare tutto il sistema. È chiaro che il sistema opporrà resistenza e combatterà con ogni mezzo. La questione è altra: quanti hanno interesse e vogliono effettivamente perseguire un cambiamento radicale? I soliti furbi ti chiedono: per fare che cosa? Come se l’esempio della riduzione dell’orario di lavoro e il miglioramento complessivo delle sue condizioni non fosse già l’inizio e il presupposto di ogni altra “cosa”. Come se degli schiavi prima ancora di liberarsi delle catene si lambiccassero su come organizzare il tempo libero.  

Nessun cambiamento radicale ed epocale è mai intervenuto per vie pacifiche. Finora la lotta di classe l’hanno fatta i padroni, ce la sbattono in faccia e con grande successo come sappiamo. A noi hanno perfino inibito di pronunciare parole come “lotta di classe”. E allora, va bene l’unità degli sfruttati, ma cominciamo anche a chiamare le cose con il loro nome. Cominciamo col dire a chi esercita contro il lavoro salariato mille forme di vessazione e violenza che non possiamo rispondere con un dibattito, cioè con le sole parole. E però anche per quanto riguarda le parole cominciamo a mostrare che non ne abbiamo paura. Se lasciamo ai padroni il monopolio delle parole e della comunicazione abbiamo già perso.

E se poi le 300 associazioni e quanti prendono la parola nei dibattiti si tireranno indietro, se diranno che usiamo parole troppo forti, sconvenienti, inopportune, se proponiamo iniziative che non possono seguire perché loro sono anzitutto gente per bene, democratica, allora se ne prenda atto: il momento non è ancora giunto e lasciamoli fare ancora democraticamente e responsabilmente da soli.

Non è Blade Runner, ma ci somiglia


La cosa più difficile da far comprendere a un proletario salariato è la sua reale condizione di schiavo. Il fatto per esempio che gli siano riconosciuti alcuni diritti lo porta a credere di essere effettivamente un uomo libero. Potrà mai essere effettivamente libero un uomo che per la sua sopravvivenza dipende da un altro uomo al quale deve obbedire? Già il linguaggio comune, il parlare concreto, è il locus in cui l’ideologia quotidiana ha così ben messo radici e mistificato la faccenda della sua libertà.

Questa ideologia quotidiana è per certi aspetti ancor più ricettiva e articolata dell’ideologia ufficiale. Ed è proprio nel flusso dei rapporti sociali, della comunicazione quotidiana, che le idee si radicano e diventano forze materiali di conservazione, che le forme ideologiche mostrano senza veli il loro potere. Ne avevo un riscontro tangibile oggi commentando e rispondendo sul blog di Malvino a riguardo del tema trattato, cioè dello Stato nella sua pretesa rappresentazione di soggetto neutrale.

lunedì 8 giugno 2015

La stringente necessità


Tutte le menzogne rivali e solidali di un lungo secolo sono cadute in rovina. La tragedia è che in questa notte della società non ne abbiamo di nuove da rimpiazzare. Le condizioni materiali per una nuova società si sono prodotte e tuttavia è la vecchia società di classe che si mantiene ovunque aggiornando le sue forme di oppressione, e sviluppando con sempre maggiore abbondanza le sue contraddizioni. Tutto ciò che il presente dimostra con evidenza alcuni lo pensavano e certi anche lo dicevano, ma forse troppo astrattamente.

Ipnotizzati dalla forza incrollabile della dominazione borghese abbiamo rinunciato anche solo a pensare qualcosa di diverso, impegnati a sfornare tabelle sulla disoccupazione e lo spread mentre sorseggiamo mojito. La crisi, descritta con monotonia, sembra una sorta di presenza eucaristica che sostiene la religione neoliberista. Un giorno non ci sarà né la voglia e nemmeno il tempo di mostrare quanto queste persone abbiano potuto sbagliarsi.

Il nostro realismo anti-utopistico non è però più reale delle illusioni, e un giorno questi decenni di miserevole inganno conteranno meno di un giorno. Sarà necessario un lungo e drammatico intermezzo prima che i nostri desideri ritornino ad avere una pretesa scientifica, prima che le parole tornino ad emozionarci, prima che la stringente necessità ancora una volta ci costringa a fare i conti con ciò che siamo diventati.

domenica 7 giugno 2015

L’unico numero sulla ruota che non è ancora uscito


Con questa calura servono letture leggiere e perciò, scartato ogni ultimo capolavoro nella gamma dal mediocre al pessimo, il racconto storico soccorre come solito. Il libro è fresco di stampa, un mattoncino di 429 pagine, ben corredato di topografia dei luoghi in cui si svolsero i fatti scorrevolmente narrati. L’autore è Antony Beevor, un ex ufficiale britannico ed esperto di storia militare. Il lavoro ha per titolo Ardenne 1944, ma nell’edizione italiana hanno aggiunto un pleonastico sottotitolo: L’ultima sfida di Hitler.

Pagheremo


Se fosse domiciliato a Palazzo Chigi che cosa farebbe in questi giorni Salvini per fermare l’esodo biblico che si profila in partenza dalle coste libiche? Manderebbe l’aeronautica a bombardare chi e che cosa? Questi disperati sono pronti ad assumersi qualsiasi rischio, la povertà che li spinge a affrontare la morte molti di noi non la immaginano neanche. Per molti di loro è un miraggio avere in casa un rubinetto da cui esce l’acqua.


Affrontare poi il tema dell’integrazione sul piano religioso, come fa non solo la Lega, è come gettare benzina sul radicalismo. Queste questioni sono enormi e pensare di risolverle con la propaganda politica ed elettorale è da irresponsabili. Pensare che un paese solo possa affrontarle è irrealistico, specie se si tratta di un paese come l’Italia che di problemi sociali irrisolti ne ha di secolari.

Ciò che servirebbe, sebbene con grave ritardo, è un’intelligente cooperazione delle nazioni più sviluppate verso fini comuni, ma in un sistema dove l’economia è per definizione una lotta senza esclusione di colpi tra concorrenti, l’espressione “fini comuni” è perfino paradossale, come del resto conferma ad abundantiam proprio la tragedia libica.

venerdì 5 giugno 2015

Il primo passo


Pilastro dell’ordine sociale contemporaneo è il welfare, nonostante i massicci attacchi cui è stato sottoposto negli ultimi decenni. Welfare significa un mercato in grado di garantire adeguata offerta di occupazione per la forza-lavoro e alti margini di plusvalore al capitale, sanità universale gratuita e previdenza in cambio del consenso al sistema (*).

Per decenni il riformismo di ogni colore politico ha potuto cantar vittoria e felicitarsi con se stesso: le crisi di sovrapproduzione che diffondevano miseria erano risolte, la pace sociale tra le classi non era più in discussione e il comunismo messo fuori gioco, bollato come utopia totalitaria sull’esempio dei regimi sedicenti comunisti (**).

mercoledì 3 giugno 2015

Per quando sarà possibile rinviare la resa dei conti ?


«Dal punto di vista politico noi vediamo che i privilegi della borghesia capitalistica, in tutti i paesi progrediti, cedono gradualmente il passo a istituzioni democratiche» (Eduard Bernstein, I presupposti …, Laterza, p. 4).

Quale sia il livello democratico raggiunto oggi dalle istituzioni noi lo possiamo riscontrare dalle cifre dell’astensionismo elettorale o ascoltando la voce dei più accreditati rappresentanti della borghesia i quali devono ammettere che si tratta di una democrazia morente.

A volte la franchezza della borghesia si spinge anche più in avanti, fino ad arrivare a dire che all’origine della crisi politica e istituzionale vi è una contraddizione strutturale della crisi dello Stato borghese: il disavanzo tra entrate e uscite reso insanabile dalla dinamica della spesa pubblica. Dove è molto più improbabile si spinga la critica borghese è nel dichiarare che la vera e propria dittatura della classe borghese si esplica fondamentalmente e fin da principio, oltre che ovviamente nello sfruttamento del lavoro non pagato, nella varie forme di evasione fiscale.

I costi che lo Stato sopporta per i servizi sociali, per la previdenza e per l’assistenza, per mantenere dei mastodontici apparati repressivi, burocratici e militari, costituiscono una necessità insuperabile del sistema sociale capitalistico e più in generale di una società classista. E però l’aumento della spesa pubblica si è fatto ben presto divorante annunciando su tale fronte nuove e acute crisi.