sabato 31 luglio 2010

L'orizzonte (con aggiornamento)


Berlusconi è nella brace, Bossi in padella. Una cosa è certa, questa legislatura è prossima alla fine, non dura in coma altri tre anni.

Tuttavia si tratta di una crisi di sistema, che data da una ventina d’anni e che il cavaliere aveva occultata con il suo faccione, le promesse, la demagogia, insomma la réclame, l'appoggio della rendita, dell'evasione, del populismo leghista, del neofascimo ravveduto.
Il potere reale chiede alla politica di agire. C’è la questione economica, il riassetto industriale e produttivo nazionale (Fiat docet), l’esigenza cioè di un’ulteriore stretta sulle condizioni di vita e di lavoro di parecchia gente. La dichiarazione di guerra deve essere accompagnata da qualche specchietto per le allodole, delle misure che vadano a colpire, almeno a chiacchiere, certe posizioni di rendita e di evasione fiscale.
L’urgenza potrebbe essere dettata da un abbassamento del rating sul debito pubblico. Diciamo sul finire dell’estate o nel primo autunno. Un aiutino.
All’orizzonte c’è quindi un governo tecnico, non è escluso che possa essere di larghissime intese, se Berlusconi si farà da parte in cambio di alcune autorevolissime assicurazioni sul suo futuro. Poi le elezioni, con sorpresa.
Viceversa, potrebbero entrare in gioco manine e manone.

* * *
Scrive il primo agosto Eugenio Scalfari:

La richiesta di scioglimento anticipato delle Camere comporta in via preliminare che il presidente della Repubblica verifichi se esiste una maggioranza favorevole al proseguimento della Legislatura. Se questa maggioranza c'è, dovrà indicare il presidente del Consiglio. Ma il capo dello Stato può anche dar vita ad un governo istituzionale che abbia la fiducia del Parlamento, se ritiene che la fine anticipata della Legislatura esponga il Paese a gravi rischi.
Nel nostro caso i gravi rischi obiettivamente esistono e sono di natura economica e soprattutto finanziaria. Scadrà a partire dall'autunno una massa di titoli pubblici dell'ordine di cento e più miliardi di euro che imporranno al Tesoro una gestione tecnica particolarmente oculata e richiederanno al tempo stesso una guida politica che abbia una sua visione degli interessi generali e della coesione sociale.

Passare attraverso una campagna elettorale estremamente accesa e dall'esito incertissimo che dovrebbe svolgersi proprio nell'arco di tempo in cui il Tesoro si troverà al centro di mercati ribollenti e fortemente speculativi significa alzare le vele in mezzo ad un tifone che potrebbe diventare uno «tsunami» catastrofico. Il presidente Napolitano credo sia perfettamente consapevole della pericolosità che la strategia d'attacco di Berlusconi ha messo in moto. Sarà perciò suo diritto-dovere esplorare tutte le soluzioni che evitino un'imprudenza di massimo rischio.

Tutte le forze politiche e sociali che abbiano consapevolezza degli interessi del Paese dovranno fornire pieno appoggio al capo dello Stato creando le condizioni che assicurino successo alle sue iniziative. La condizione numero uno è di evitare le elezioni finché durerà l'emergenza del debito pubblico. Da questo punto di vista gli inviti ripetutamente lanciati da Di Pietro e anche da Vendola alle elezioni anticipate sono – è il meno che si possa dire – irresponsabili e sconsiderati, anteponendo meschini interessi di bottega a quelli reali del Paese. Darebbero di fatto una mano all'irresponsabilità berlusconiana e aprirebbero la strada alle peggiori avventure. È perciò auspicabile che si rendano conto di quale sia la risposta necessaria per evitare un caos politico e uno «tsunami» finanziario.

Bersani propone da tempo un governo di larghe intese. Casini ha detto più volte che in caso di emergenza è disposto a partecipare ad una soluzione di questo tipo. L'emergenza c'è, è in atto e raggiungerà il suo culmine se Berlusconi chiederà lo scioglimento anticipato delle Camere.  

E aggiunge sibillino:

Le persone di buon senso e di sollecitudine nazionale ed europea sanno benissimo in quale direzione muoversi purché trovino il coraggio di metter da parte le proprie botteghe e si assumano il carico di responsabilità che la situazione richiede. 

venerdì 30 luglio 2010

Exit strategy


Altri due corpi dilaniati tornano in Italia dall’Afghanistan. Non sono figli di borghesi, di industriali o politici, sono i corpi di due proletari. Si dirà: non erano obbligati ad andarci. È vero; nemmeno morire in un cantiere è obbligatorio. Sì, ma è diverso. Sarà, ma andate a raccontarlo alle famiglie dei morti.

* * *
Qual era l’exit strategy dell’impero romano (anche dopo, quando si divise in due parti) nei riguardi dei “barbari” che minacciavano le frontiere? Dal primo impero la strategia principale fu quella di versare tributi, fin che ciò poteva bastare. Quando non bastava più, c’era la guerra (Traiano). In seguito, quando l’impero entrò in crisi, l’exit strategy fu una sola: pagare e poi pagare ancora. Fino a quando non arrivarono gli Unni (la prima volta, nella seconda metà del IV sec.). A quel punto le popolazioni gote (ma anche altre) furono costrette a chiedere l’ingresso nell’impero per sfuggire al massacro, di poter cioè attraversare il Danubio. Il resto della storia è noto, e anche come finì meno di un secolo dopo.

Anche l’exit strategy di David Petreus è la medesima: pagare. In Iraq e in Afghanistan, ovunque serva. Dopo nove anni di guerra rovinosa, non resta che mettere a libro paga i talebani buoni, poi i così e così e infine anche i cattivi. La storia è un’ottima maestra, ma non trova alunni.

Paradossalmente la singola potenza che investe complessivamente più risorse in armamenti che il resto del mondo, non riesce a battere una guerriglia armata prevalentemente di armi individuali, priva di mezzi corazzati e di aviazione. Una potenza alla quale si aggiungono le maggiori potenze occidentali.

La responsabilità maggiore della situazione creatasi, non certo da ieri, nel Vicino e Medio Oriente, è degli Usa. Hanno stroncato ogni velleità del nazionalismo arabo, per poi strumentalizzare l’islamismo, in chiave antinazionalista e antisovietica, fino a quando non gli si è rivoltato contro. La frittata è fatta, le uova non si possono ricomporre. Non sapendo più come uscirne, guerreggiano e pagano.
Del resto, la quantità di denaro speso ogni anno in cibi per animali domestici negli Stati Uniti ed Europa sarebbe sufficiente a fornire cibo e assistenza sanitaria di base a tutta la popolazione dei paesi poveri, e ne avanzerebbe anche una discreta somma. Ma uno scenario simile è improponibile in un sistema mondiale dominato dagli imperialismi.  Così come l’idea di rimodellare la cultura islamica (esportare la democrazia) è evidentemente una sciocchezza.
Su tale scacchiere, in particolare, si confrontano troppi interessi perché si possa trovare una sia pur provvisoria soluzione diplomatica. A scontrarsi con gli interessi strategici americani e nord atlantici  non ci sono solo i taleban, l’Iran e Israele, ma anche il Pakistan e l’India, la Cina e la Russia, alle quali non dispiace che gli Usa si trovino in mezzo al guado.

Ad ogni buon conto, per quanto gravi siano le responsabilità dell’imperialismo americano e nord atlantico, non bisogna essere miopi al punto da sottovalutare il fatto che l’islamismo rappresenta una minaccia reale per l’Occidente, tenuto conto che con il fanatismo religioso non c’è margine per trattare.

giovedì 29 luglio 2010

Il diritto di essere ricchi


«A tutti i cittadini è necessario fare sacrifici in proporzione ai loro redditi effettivi, ma non postulando tagli di risorse e appiattimenti su parametri impropri, quasi si trattasse di penalizzare gruppi di privilegiati e di intoccabili». Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, parlando alla Farnesina in occasione della settima conferenza degli ambasciatori italiani nel mondo, accoglie la protesta dei diplomatici italiani, che nei giorni scorsi hanno inviato una lettera al capo dello Stato nella quale si esprimevano preoccupazioni per i tagli alla diplomazia previsti nella manovra finanziaria.
I tagli e gli appiattimenti riguardano gli scatti di carriera degli ambasciatori.
Ma quanto guadagna un ambasciatore?
Non tutte le “ambasce” sono uguali ovviamente, ma una stima la possiamo trarre dal sito della Franesina:
Segretario Generale, Ambasciatore: 296.572,59
Capo di Gabinetto, Ambasciatore: 247.347,32
V. Direttore Generale e posizioni equiparate, Consigliere d'Ambasciata: 160.670,29
Capo Unità di Direzione Generale e posizioni equiparate, Consigliere di Legazione: 139.714,84
Questi i dati, tanto per farci un’idea della sofferenza e dei sacrifici che dovranno sopportare gli ambasciatori. Prendiamo nota comunque e con soddisfazione dell’alta preoccupazione espressa per tale categoria d’indigenti da parte del capo dello stato.
Questo l’inizio della lettera che tale Pier Andrea Podda scrive a Beppe Savergnini del Corriere:
Caro Beppe,
questa volta mi hai quasi deluso, proprio tu, il mio modello. Se non fossi sicuro della tua indipendenza (la lingua ce l'hai lunga quando vuoi) direi che sei caduto nella trappola del conformismo demagogico. Ma perché mai pensi che 20 mila euro [al mese] più benefits per un ambasciatore siano esagerati? Ma cos'è, in Italia il diritto a essere ricchi ce l'hanno solo i calciatori, i pubblicitari, i Pippo Baudo e gli uomini di marketing? Noto con fastidio che per troppa gente alcune categorie (vedi avvocati, specialisti medici, parlamentari, ora diplomatici) GUADAGNANO TROPPO A PRIORI. Ma qualcuno si rende conto di cosa significa lavorare come ambasciatore? Devi innanzitutto passare un concorso tremendo, fare gavetta alla Farnesina, e poi iniziare a girare cambiando città (e quindi amici, scuole per i figli, clima) se ti va proprio di lusso almeno ogni 5 anni.

Un alto atto di umanità


Il sole è al tramonto, quella domenica del 29 luglio. Nel parco, da una carrozza scoperta, un uomo alto e robusto, circondato da un’enorme folla, sta consegnando delle pergamene, degli attestati, a degli atleti che hanno partecipato a un saggio ginnico. Per il gran caldo non indossa la maglia d’acciaio per le apparizioni pubbliche. Improvvisamente, un uomo, un giovane ben vestito, dai capelli tirati a lucido con la brillantina, con dei bei baffi, apparentemente calmo, sereno, estrae dalla tasca una piccola rivoltella, una Harrington & Richardson calibro 32, con il braccio teso la punta al volto del re d’Italia e spara tre colpi.
Era tornato dall’America, Gaetano Bresci, operaio, per compiere quell’atto di giustizia, per riparare al crimine di due anni prima, quando le truppe avevano aperto il fuoco con i cannoni contro la folla affamata, contro i proletari che protestavano per il rincaro della farina. Oltre 88 morti e 400 feriti, dissero le fonti ufficiali; secondo altre fonti, più di 300 i morti e tra i 400 e gli 800 i feriti.
Il comandante delle truppe fu insignito dal monarca della gran croce dell'ordine militare di savoia e nominato senatore del regno.
Gaetano Bresci venne "suicidato" l'anno dopo.

mercoledì 28 luglio 2010

Il futuro


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Non possiamo dirci disinteressati della realtà poiché saranno le sue contraddizioni ad afferrarci. Sul fronte internazionale l’orizzonte è cupo, e anche il fronte interno minaccia tempesta. Secondo le occasioni, il sistema afferma di agire sulla fiducia dei cittadini e in quella dei “risparmiatori”, ma in realtà non si fida neppure di se stesso. L’epoca del compromesso sociale è finita. Da un lato la crisi, la caduta del saggio del profitto, spinge il capitale a ridurre a più buon mercato il lavoro e a mutare le condizioni del suo sfruttamento; dall’altro la crisi fiscale degli Stati impone imperativamente il rientro dal debito con tagli sempre più netti e profondi al welfare. A ciò si aggiunge una drammatica situazione di sostenibilità ecologica.

La borghesia in difficoltà è disposta a sacrificare ogni principio dichiarato intangibile pur di salvarsi dal naufragio. Una svolta di tipo bonapartista, un nuovo ordine commissariale, è già in discussione, com’è stato posto in evidenza  qui . Da questo punto di vista il proletariato metropolitano pagherà un prezzo molto alto alle proprie illusioni, alle lusinghe di un benessere spesso effimero e comunque precario, alla propria incapacità di costituirsi come classe dirigente, di prendere il potere.

Ogni tentativo di mettere “ordine” nel sistema è destinato a scontrarsi con la logica prevalente del capitale. Di quale logica, di quali leggi si tratti è stato messo in luce, una volta per tutte, dalla critica marxiana. Per contro gli apologeti non provano alcuna remora e vergogna nel vedere le proprie farneticazioni teoriche fallire miseramente a ogni prova dei fatti. A fronte dell’imponente movimento finanziario, il capitalismo nella sua essenza non è cambiato e non può mutare natura; esso si presenta come “un’immane raccolta di merci”. È nel modo in cui esse sono prodotte e vendute che si rivelano i motivi della lotta tra capitale e lavoro, non meno che le contraddizioni immanenti al sistema di accumulazione. Ma se c’è chi pensa che saranno, di per sé, le crisi ad uccidere definitivamente il capitalismo, ebbene sappia che si sbaglia. La deriva sarà lunga, foriera forse di una nuova gigantesca guerra e forse del crollo della civiltà così come l’abbiamo finora conosciuta.

martedì 27 luglio 2010

Nel segno della continuità


24 luglio 1943
Vittorio Emanuele III è re d’Italia e d’Albania; si fregia anche del titolo d’imperatore d’Etiopia. È stato uno dei maggiori responsabili dell’avvento del fascismo, firmatario delle leggi fascistissime (1925-'26) e di quelle razziali (1938); responsabile con Mussolini dell’aggressione all’Etiopia e all’Albania, nonché dell’appoggio alle truppe franchiste contro la legittima repubblica spagnola, quindi firmatario della dichiarazione di guerra contro Francia e Gran Bretagna, l’Urss e gli Stati Uniti ecc., complice nell’aggressione alla Grecia.
Benito Mussolini è capo del governo e, su delega, comandante operativo delle forze armate.
Pietro Badoglio, maresciallo d’Italia, duca d’Addis Abeba, iscritto al partito nazionale fascista, ha ricoperto per lungo tempo, fino al dicembre 1940, la carica di capo di stato maggiore generale. Fu comandante delle truppe che invasero l’Etiopia e responsabile dell’uso dei gas, autorizzato da Mussolini, contro le truppe etiopiche. Viceré d’Etiopia, commissario per l’Africa orientale, Governatore d’Eritrea e poi della Tripolitania e della Cirenaica, fu anche presidente della commissione d’armistizio con la Francia nel 1940. Nel primo conflitto mondiale tra i maggiori responsabili della rotta di Caporetto.
25 luglio 1943
Vittorio Emanuale III è sempre re d’Italia e d’Albania, nonché imperatore d’Etiopia, come ancora viene definito nel radio messaggio di quella sera in cui si annuncia il nuovo governo affidato a Badoglio.
Mussolini Benito è retrocesso al rango di cavaliere semplice. Il truce dittatore venne fatto arrestare a villa Savoia, residenza dei reali, dopo aver presentato le proprie dimissioni contenute in una lettera nella quale formula gli auguri al nuovo governo Badoglio.
Badoglio, nominato capo del governo, continua a fregiarsi del titolo di duca di Addis Abeba e non risulta abbia restituito la tessera di iscritto al PNF. Non revoca le leggi razziali e stronca con l’esercito le manifestazioni popolari: 93 morti, 356 feriti, 3.500 condanne, 30.000 arresti.
11 settembre 1943
Vittorio Emanuale e Badoglio, dopo aver abbandonato Roma e l’esercito al loro destino, raggiungono Brindisi (fuggendo verso Ortona, la lunga colonna di auto con il re e i generali incrocia, nei pressi di Tivoli, reparti tedeschi, ma questi li lasciano tranquillamente passare).
Vittorio Emanuele, con tutti i titoli di cui sopra, è così il sovrano dell’Italia liberata dagli Alleati. Rimane al suo posto fino al maggio 1946, un anno dopo la fine del conflitto. Il primo presidente (privvisorio) della neonata repubblica fu Enrico De Nicola, monarchico. La XIII disposizione finale della Costituzione prevedeva l’avocazione dei beni dei reali: quelli di Vittorio Emanuele non furono avocati.
Badoglio, con tutti i titoli di cui sopra, è il capo del governo. Rimane al suo posto fino al giugno 1944.  Si ritira a vita privata, con pensione e vitalizio senatoriale.

Scoprire le carte


È la più grande fuga di notizie della storia militare americana: notizie che parlano di civili morti e di cui non si è saputo nulla, di un'unità segreta incaricata di 'uccidere o fermare' qualsiasi talebano anche senza processo, delle basi di partenza in Nevada dei droni Reaper (aerei senza piloti), della collaborazione tra i servizi segreti pakistani (Isi) e i talebani. Questo e molto di più, sugli archivi segreti della guerra in Afghanistan, è svelato da Wikileaks - il portale Internet creato per pubblicare documenti riservati - al New York Times, al Guardian e al Der Spiegel.
Questo scrive Repubblica. Cazzate. Dagli archivi segreti non esce neanche la lista della spesa se il Pentagono e la Casa Bianca non vogliono. Del resto, la maggior parte dei veri segreti, non sono in rete e a portata di “scoop”. E allora cosa è successo? Nei dettagli forse non lo sapremo mai, ma non è cosa rilevante. Guardiamo alla luna non al dito.
Il fatto è che la situazione in Oriente è al suo punto di massima criticità. Gli Usa (e Israele) non possono permette che l’Iran si doti di armi nucleari. Questo è pacifico. Le sanzioni all'Iran sono una farsa: le autobotti di benzina entrano in Iran dall'Iraq curdo. Il centro del problema è il Pakistan (il senso delle “rivelazioni” sta in questo) con l’atomica e 150 milioni di abitanti. Il Pakistan ha già perso il Kashmir e non può permettersi di lasciare ad altri il controllo dell’Afganistan. Inoltre, fatto non secondario, la Durand-Line taglia in due l’etnia pashtun, un po’ come, tanto per capirci, se il confine italiano a nord-est fosse dato dal Tagliamento. In più il governo Karzai è troppo amico dell’India. Una situazione maledettamente intricata.
Due sono le strade che gli Usa possono e debbono percorrere: l’attacco militare, oppure una soluzione negoziale. In entrambi i casi serve l’appoggio della Russia (e della Turchiaa), il miglior alleato, o concorrente, degli Usa in quello scacchiere. E alla Russia gli Usa, per merito di Bush, hanno rotto i coglioni in tutti i modi, non ultimo con la faccenda dei missili in Polonia e Cechia. Si tratta ora di ricucire, anche perché la pericolosità della situazione non sfugge di certo ai dirigenti di Mosca.
Sta di fatto che l’islamismo si sta rivelando un forte pericolo per tutti, anche per le teste di minchia della pseudo sinistra occidentale (quelli che si sono presi l'incarico di "ripensare" Marx!) che non vogliono capire come il controllo di quell’area non è solo vitale per gli interessi imperialistici nord-atlantici, bensì fondamentale per evitare un conflitto armato dalle conseguenze catastrofiche per tutti.  

lunedì 26 luglio 2010

Le cose che contano


Mentre la Fiat si sgancia da Finmeccanica per avere le mani libere in sede di contratti (cioè di ricatti), e intanto che i massimi dirigenti politici italiani si fanno la guerra a colpi di comunicati su questioni dozzinali (per usare un eufemismo), il cancelliere Angela Merkel è stata, durante la terza settimana di luglio, in visita in Russia, in Kazakistan e poi in Cina. Era accompagnata da una folta delegazione di politici e imprenditori. Una riunione ministeriale tra la Germania e la Russia si è svolta a Ekaterinburg negli Urali, dove sono stati discussi grandi progetti economici e firmati accordi industriali.
Il viaggio della Merkel segue le critiche feroci alla sua politica estera, accusata di trascurare in particolare i rapporti con la Russia.
In un'intervista al Berliner Zeitung, l'esperto di questioni russe della Deutsche Gesellschaft für Politik Auswärtiges (Società tedesca per la politica estera), Stefan Meister, ha detto che da quando è salita al potere la coalizione CDU-FDP ( Democratici cristiani - liberali) "La Russia è stata retrocessa nella lista delle priorità della politica estera tedesca”.
Anche il corrispondente per la rivista Der Spiegel a Mosca, Matthias Schepp, non era molto entusiasta circa lo stato delle relazioni tra Germania e Russia. Ha detto che, nel frattempo, Francia, Italia e Stati Uniti si erano avvantaggiati nelle relazioni commerciali con la Russia.
Secondo Schepp, le aziende tedesche si sono lamentate ad alta voce per la "mancanza di sostegno politico da parte di Berlino. Mentre il commercio franco-russo è aumentato del 250 per cento, nonostante la crisi finanziaria, l’interscambio con la Germania è diminuito".
L'articolo di Spiegel cita i seguenti fatti: il gigante francese GDF Suez Energy ha acquistato il nove per cento del gasdotto russo-tedesco nel Mar Baltico; inoltre l'industria nucleare francese è chiaramente sul punto di superare quella tedesca, mentre l'Agenzia federale russa per l'energia atomica (Rosatom) ha appena firmato un accordo con il gruppo francese EDF. Invece la collaborazione tra Siemens e Rosatom ha registrato un rallentamento.
L'ex cancelliere Gerhard Schröder, presidente del Consiglio di Sorveglianza del Nord Europea Gas Pipeline Company (WME), cioè del gasdotto del Mar Baltico, ha criticato il governo Merkel  per la sua "mancanza di idee".
Sotto la pressione di questi commenti e anche a causa degli effetti economici e politici della crisi finanziaria il governo Merkel ha usato il viaggio Russia e in Asia per rafforzare i rapporti e riguadagnare il terreno perduto.
A tal fine, la Merkel ha riunito una delegazione composta da autorevoli rappresentanti di tutti i gruppi parlamentari del Bundestag (il parlamento) e, per la prima volta, il leader della Confederazione tedesca dei sindacati (DGB), Michael Sommer.  Circa 25 i rappresentanti del settore economico e industriale tra cui Tom Enders (Airbus), Peter Löscher (SIEMENS), Johannes Teyssen (EON) e Martin Winterkorn (VW).
Sulla stampa sono stati descritti in dettaglio i contratti principali e gli interessi commerciali: l'obiettivo delle società tedesche è quello di vincere una cospicua porzione di contratti per il potenziamento delle reti di energia russa, la ristrutturazione di industrie inefficienti e lo sviluppo di un patrimonio edilizio russo fatiscente. Nei prossimi anni, Siemens fornirà 220 treni regionali per un valore di 240mln di euro, la modernizzazione dei cantieri ferroviari fino a 600mln di euro, mentre Airbus consegnerà aerei per valore di due miliardi di euro. Medvedev ha annunciato un' "alleanza di modernizzazione" con l'UE nella quale la Germania giocherà un "ruolo centrale".
Insieme con i grandi industriali, molti elementi dell'élite politica tedesca, i quali insistono per una più stretta cooperazione con la Russia in materia di politica di sicurezza. In un articolo pubblicato la scorsa settimana dal quotidiano Sueddeutsche Zeitung, l'ex ministro della Difesa tedesco Volker Ruhe (CDU) e l'ambasciatore russo Dmitry Rogozin hanno auspicato l’adesione della Russia nella NATO, un’ipotesi contenuta in un documento strategico pubblicato nel mese di giugno a seguito di un seminario a Berlino dal Bundesakademie Sicherheitspolitik (Accademia federale per la politica di sicurezza).
Una più stretta cooperazione lungo l'asse Berlino-Mosca non è esente da polemiche. Nella seconda settimana di luglio, l'ex vice-cancelliere e ministro degli Esteri Joschka Fischer (Verdi) ha scritto un articolo nella Süddeutsche Zeitung ove critica la politica estera della Merkel, accusata di trascurare irresponsabilmente la cooperazione con la Turchia e quindi di ledere gli interessi strategici della Germania.
Secondo Fischer, la Turchia, è in "una posizione geopolitica perfetta, in una delle aree chiave della politica mondiale", in particolare per quanto riguarda la sicurezza europea. "Senza la Turchia, l'Occidente non sarebbe" in grado di intraprendere iniziative "importanti in regioni come il Mediterraneo orientale, l'Egeo, i Balcani occidentali, la regione del Mar Caspio , Caucaso meridionale, Asia centrale e Medio Oriente. Una più stretta cooperazione con la Turchia non può essere evitata "se si cercano alternative alla crescente dipendenza dell'Europa dalle forniture energetiche russe", scrive l'ex ministro degli Affari Esteri.
Fischer ha riassunto le sue critiche come segue: "Invece di collegare la Turchia il più possibile verso l'Europa, la politica occidentale si getta nelle braccia della Russia e Iran! " .
In effetti si tratta di una critica correlata al ruolo di Fischer come consulente per il progetto di gasdotto Nabucco, in cui è coinvolto anche gruppo tedesco REW.
Come si vede, Gerhard Schröder, Fischer e tutti gli altri, hanno le mani in pasta neli affari dei grandi monopoli industriali e dell’energia. Le dispute “ideologiche” solo una variabile per il parco buoi.





domenica 25 luglio 2010

In corpore vili


Come ogni domenica Eugenio Scalfari ci illumina dalle colonne di Repubblica sulla situazione economica nazionale e internazionale, distribuendo perle di saggezza anche per quanto riguarda i compiti urgenti della politica, quindi raccomandazioni e appelli che purtroppo restano senza conseguenze pratiche.
Oggi apre parlando della Fiat, constatando cioè che essa è una multinazionale e come tale si comporta. Scopre così che la Fiat (vedi post precedente) andrà in Serbia perché lì troverà condizioni molto più vantaggiose rispetto all’Italia; anzi rilevando un nesso inquietante tra tale decisione operativa e decisioni politiche al più alto livello: “lo stabilimento Fiat in Serbia sarà pagato per tre quarti dall'Unione europea e per il resto da incentivi fiscali del governo di Belgrado”.
Se lo stabilimento Fiat in Serbia è pagato per tre quarti dall'Unione europea, ciò significa una cosa sola: la decisione dello smantellamento del sistema produttivo automobilistico italiano, e con esso del suo indotto, è attuata con il denaro dei contribuenti europei, italiani compresi, nell’ambito di un piano dei massimi organismi politico-economici europei e con la piena adesione e responsabilità del governo italiano, nel sostanziale disinteresse dei partiti e nel silenzio di quasi tutto il sindacato.

La truffa


È arrivata la scelta di fare in Serbia, anziché a Mirafiori, due nuovi modelli Fiat. Mercoledì 21 luglio – dagli Usa – Marchionne ha detto di esservi costretto per la «poca serietà» mostrata dai sindacati italiani proprio a Pomigliano.
Nelle stesse ore, però, a Kragujevac, nell'ex Zastava rimessa in piedi dal governo serbo, tecnici del Lingotto stavano già studiando l'aggiornamento delle linee produttive della Punto Classic per adattarle ai pianali su cui andrà montata, dal gennaio 2012, la nuova monovolume L Zero.
Per quanto «efficiente» sia la nuova Fiat, non si può avviare una scelta di queste dimensioni (160.000 vetture l'anno) in pochi giorni. Quindi arrivavano – nel giro di minuti – le dichiarazioni del management serbo, giustamente soddisfatto: «la decisione di Fiat di produrre qui questi due nuovi modelli conferma che vengono applicati tutti gli accordi stipulati con i partner italiani». Accordi presi quando? Al momento della creazione della Fiat Automobili Serbia (Fas), nel dicembre 2009.
Quindi ben prima non solo del «problema Pomigliano», ma anche della presentazione del progetto «Fabbrica Italia». Insomma: una balla a beneficio dei media, una giustificazione posticcia per nascondere scelte fatte da tempo e a prescindere dai livelli di conflittualità nelle fabbriche del gruppo.

* * *
"La maggioranza dei politici, sulla base delle prove a nostra disposizione, non sono interessati alla verità ma al potere ed alla sua conservazione. Per non intaccare questo potere è necessario che le persone restino ignoranti, ignoranti della verità, anche di quella verità che riguarda le loro vite. Ciò che ci circonda è dunque un grande arazzo di menzogne su cui ci nutriamo" - Harold Pinter, Premio Nobel per la Letteratura nel 2005.

sabato 24 luglio 2010

Giro di vite/2

[N.B.: la prima parte è nel post di ieri, senza la quale non si capisce questo qui]


Ferdinand sbircia prudente dalla feritoia, ma non distingue nulla nel fumo denso delle granate. Si ritrae dal bordo, non gli piace quel tipo di confidenza. Ed ecco in quel turbine assordante giungere  inequivocabile il latrato del comandante di squadrone che si sta approssimando al posto di guardia. Ferdinand ha imparato a conoscerlo e a temerlo: è un ufficiale che ama dire di tenere in non cale la vita, e lo dimostra in ogni occasione con quella dei suoi subordinati.
La vedetta si ricompone, finge d’esser parte attiva dell’azione, punta l’arma, e quando il turpiloquio del capitano gli giunge chiaro e distinto, preme il grilletto e il colpo esplode facendo rinculare un poco il moschetto. Ferdinad non si cura certo di sapere qual è stato l’esito dell’estemporaneo colpo di fucile, sia perché poco o nulla si vede, ma soprattutto a causa di un sibilo acuto che lacera l’aria, presagio di una granata in arrivo, e che lo costringe, d’istinto, ad acquattarsi. L’esplosione violentissima squassa la ridotta, strazia il povero dragone non meno del suo vanesio comandante. Finiva per loro la guerra e la vita; trionfava una volta di più l’unica verità assoluta di questo mondo: la morte.
* * *
Il proiettile sparato da Ferdinand andò a conficcarsi, dirompente, nel petto di un soldato tedesco del 16 reggimento List, trapassandogli un polmone. È giorno fatto, quel 14 ottobre, quando i barellieri raccolgono il ferito che rantola ancora e sanguina anche dalla bocca, incorniciata da due lunghi e spessi baffi neri, leggermente arricciati in punta. Lo depongono su un carretto, con altri, forse già cadaveri. Il cavallo traina con fatica, nel fango, il suo carico di dolore e disperazione, giungendo lemme lemme alle spalle della seconda linea del fronte, presso un ospedale militare da campo.
I barellieri prelevano il nostro ferito e lo introducono in una tenda dell’ospedale, ad attenderli c’è Karl Wahrheit, caporale infermiere. Karl era riuscito ad ottenere, nel febbraio 1906, la dispensa dal servizio militare quale “inidoneo al servizio attivo e ausiliario, perché di costituzione troppo gracile. Riformato”. La pignoleria del maggiore medico, membro della commissione di leva, aveva aggiunto: “con riserva”. In tempo di guerra, quando si raschia il barile, è d’uopo diventare abili e arruolati, sia pure nei servizi sanitari.
I due bruschi barellieri adagiano il ferito su un telo cerato, macchiato di sangue rappreso. Karl sente il polso radiale del ricoverato, scuote la testa e poi va a sedersi alla piccola scrivania, rivolgendosi a uno dei portaferiti: «Hans, metti sul tavolo gli effetti personali del caporale». I due barellieri perquisiscono tasche e giberne del defunto, cavandone poche cose che mettono sul tavolo di Karl, tra le quali, due croci al merito, una di prima classe e l’altra di seconda. Il caporale infermiere e i barellieri si guardano sorpresi: la croce di prima classe è una decorazione non comune per la truppa. «Hans, dimmi la matricola e le generalità – ordina Karl». «Un momento, caporale, la devo cercare, qui è tutto sporco di sangue, un bordello. Ah ecco la matricola ….. ». Karl Wahrheit intinge la penna e annota diligentemente nel registro, uno di quelli che di lì a poco saranno smarriti e probabilmente distrutti a seguito del precipitoso trasferimento dell’ospedale. Trascrive, come da regolamento, tutti i dati del caduto, al quale viene assegnato un talloncino numerato assicurato ad un bottone della giubba.
«Non mi hai ancora detto il nome, Hans». «Il nome – risponde il barelliere –, eccolo qui, si chiama … si chiamava, vediamo un po’ …». «Sbrigati Hans – lo incalzò Karl – non perdiamo tempo, ce ne sono altri là fuori da registrare». «Hans proclama con voce sicura cognome e nome del caduto, poi con un tono più rilassato aggiunge: «Cattolico. Serve altro?». «No, va bene così, questi quattro disgraziati hanno la fortuna di una sepoltura. E voi smettetela di litigare per i suoi stivali, portatelo via di qui».
Karl Wahrheit lasciò il registro aperto, pronto per i successivi clienti. Si alzò, accese la pipa con calma soddisfatta, mandò un’ultima occhiata al caporale Adolf Hitler che i barellieri trasportavano fuori dalla tenda.
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La migliore descrizione del bombardamento (l’operazione Gomorra iniziò il 24 luglio 1943) di Amburgo che conosco è quella data da Céline, se ricordo bene (mai prestare i libri!) in uno dei romanzi della Trilogia del Nord. Ferdinand è un grande poeta, gli si deve perdonare molto.
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Kurt Tucholsky, giornalista e scrittore, nato nel 1890 a Berlino da famiglia ebraica di origine polacca, è noto in Germania ma praticamente sconosciuto altrove. Si suicidò nel 1935, in esilio in Svezia. Scrisse: Hitler è la Germania […] se domani quell’uomo morisse, altri continuerebbero su quella strada.

venerdì 23 luglio 2010

Le parole

Giro di vite / 1


Amburgo, il rogo è durato tre giorni, la città non c’è più, fusa con i suoi abitanti. Scesi nei rifugi, i loro polmoni sono stati bruciati dal fosforo e il calore ha reso i corpi irriconoscibili. I poveri resti che si riescono a recuperare sono traslati in un nuovo cimitero.
Il cielo è terso, la giornata radiosa e, pur gli incendi ormai domati, il caldo opprimente, in quel luglio 1943. Karl Wahrheit, detto il “vecchio”, nonostante non dimostri più dei suoi 56 anni, è un ausiliario, capo squadra della Sicherheits und Hilfdienst, formazioni di pronto soccorso e sicurezza. Per lui il recupero delle salme di caduti non è una novità: nel precedente conflitto, sul fronte francese, ha servito dapprima come portaferiti, poi come infermiere in un ospedale da campo. Tuttavia un’ecatombe senza distinzione per sesso ed età come quella seguita al bombardamento aereo della città, non l’aveva ancora vista.
Il ricordo della “sua” guerra al fronte, tra il 1914 e il ’18, è sempre vivo, soprattutto in questi anni di nuovo conflitto. Ma un certo episodio di quella guerra di trincea riaffiorava sovente alla sua mente, specie negli ultimi lustri. Anzi, nei mesi più recenti il ricordo di quel fatto accaduto un mattino di molti anni addietro, si era fatto persistente, assillante, angosciante.
Karl aveva titubato a lungo, ma poi decise di recarsi presso una villetta non lontano da Amburgo, ad Eidelstedt, dove abita un medico di sua conoscenza, non uno psicologo, ma un chirurgo, una persona di cui si fida. È lo stesso ufficiale medico, ormai anziano e in pensione, con cui aveva lavorato nell’ospedale da campo durante la grande guerra. Nel giardino ben tenuto di quella villetta gli racconta tutto, non trascurando i dettagli di quel giorno dell’autunno 1918.
L’amico, il dottore, l’ascolta attentamente; conosce bene Karl, sa che è un uomo con i piedi per terra, che piuttosto di una parola in più ne dice una in meno. Al termine del racconto rimangono in silenzio. Poi l’anziano chirurgo, guardando Hans negli occhi, gli sussurra solo una parola: «Possibile?». Più che una domanda, una presa d’atto del comune sconcerto. Hans china il capo, quasi a nascondere l’emozione, e risponde turbato: «Ho rimuginato a lungo in questi anni su questa stranissima vicenda, e tutto coincide esattamente». «Quindi – osservò infine il dottore – tu pensi che possa esserci stato una specie … ». Qui s’interruppe e non aggiunse altro.
Dopo un po’ i due si salutano con la solita cordialità. Il medico guarda Karl mentre si allontana, quando questi si volta e gli dice ad alta voce: «Lo so, questa faccenda non ha nulla di razionale, ma cosa c’è di razionale in molte delle cose che si vedono oggi?». Il dottore, sorridendo: «Stavo giusto pensando la stessa cosa, Karl».
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Sulla linea del fronte franco-anglo-tedesco, nei pressi di Wervick, è una fredda e lattiginosa alba d’inizio autunno del quinto anno di guerra. Presso la testa di trincea è in turno di guardia il dragone scelto Ferdinand D., originario di Parigi, anzi di Courbevoie, come amava precisare, classe 1894, volontario per disperazione dal 1913. Ha tentato dieci mestieri, a dire il vero assai ingrati, ma tutti falliti. Non si poteva dire che difettasse di volontà e in taluni casi perfino di una certa abnegazione per il lavoro, ma gli mancò la fortuna. Senza mete e senza futuro, l’arruolamento nell’Armée gli aveva garantito pasti regolari e un po’ di franchi da scialare quando si sentiva particolarmente triste. Confidava negli oltre quarant’anni di non belligeranza della Francia, ma questa si dimostrò ben presto una garanzia illusoria.
Due settimane addietro rimase ferito, ma in modo troppo lieve da scucire più di qualche medicazione e alcuni giorni tra lenzuoli puliti, sigarette e mezze bottiglie di vino. Né poteva pretendere che la sua bella fosse venuta a fargli vista all’ospedale, sobbarcandosi un viaggio da Parigi, visto anche l’impegno lavorativo alla maison di Rue de la Paix. E comunque non ci fu nemmeno il tempo d’imbastire una tresca con una crocerossina perché rispedito al mittente, laddove i boschi e la vita d’un tempo sono estinti da anni, sostituiti da reticolati, camminamenti, crateri, topi giganteschi, fame, sonno, puzzo rancido e di escrementi, ma soprattutto da una partita estenuate a rubamazzo tra carname.
A inizio del turno di guardia, quasi due ore prima, c’era stato tra le linee uno scambio di colpi di medio calibro, per la verità assai sporadico e per compiacere gli umori dei rispettivi comandi d’artiglieria di corpo d’armata. Dopo circa un’ora, con il primo chiarore, era seguito un fraseggio di armi leggere tra gli avamposti, anche questo poco convinto e ben presto sopito senza rimpianto. Almeno così sembrava.
Non sono ancora le otto che la nostra vedetta addenta con metodo un biscotto, di quelli dolci, riserva gelosamente centellinata, provvista ottenuta in ospedale in cambio di piccoli servizi e un po’ di ruffianeria. Il dragone scelto assapora il momento, assai prossimo, in cui potrà sorbire mezzo gavettino di quel surrogato nerastro che l’amministrazione militare chiama virtuosamente caffè.
La riflessione edonistica di Ferdinand è interrotta da un razzo che illumina la scena del fronte; sul fondo, a destra, a circa mille passi, dietro i cavalli di Frisia, presso il villaggio diroccato, parte un intenso fuoco di moschetteria e mitragliatrici, i tedeschi hanno individuato l’avanzare di alcuni guastatori del genio dotati di tubi di gelignite, non devono farli arrivare agli sbarramenti di filo spinato.
Lo schieramento francese risponde, i traccianti incrociano nella terra di nessuno, quindi si svegliano anche i mortai. Il fragore aumenta man mano che intervengono le batterie leggere, poi anche le pesanti. È iniziata l’ultima offensiva sul fronte occidentale, ma il nostro soldatino non né è informato. Maledice i crucchi, impreca la guerra e invia un augurio speciale al tenente colonnello medico che il giorno prima l’ha rispedito in quel manicomio. [il resto segue nel post di domani]

giovedì 22 luglio 2010

Operazione Gomorra

Preannuncio, per domani e dopodomani, un raccontino con finale a sorpresa. In occasione dell'anniversario, il 24 luglio, dell'operazione Gomorra. Ma questa ricorrenza sarà solo un pretesto.

Sul Medusa


Per quella che genericamente passa per essere la sinistra, l’anti-berlusconismo è come la zattera del Medusa: tutti aggrappati e invero disposti a straziarsi sul resto. Perfino sul referendum relativo alla privatizzazione dell’acqua (purtroppo di liberismo in liberismo siamo arrivati a privatizzare anche questa) il Pd nicchia, non si è ancora ufficialmente espresso. Del resto Bersani non ha mai nascosto di essere un liberale, che di questi tempi significa essere liberista, ovvero dalla parte di chi ha soldi per comprarsi tutto. E gli altri non sono migliori, anzi. Nel dopo Berlusconi, quando sarà, tutto lascia presagire che saranno altri a decidere, come sempre.
Intanto la Fiat fa i suoi giochi, divede et impera. Lascerà la carcassa in carico allo Stato. Anche le nebulose vicende che hanno al centro Finmeccanica mettono in evidenza che l’Italia è diventata, ancor più, territorio di conquista. Intanto Francia e Germania hanno siglato oggi una “lettera congiunta che illustra proposte per il miglioramento della governance economica e del patto di stabilità e crescita Ue”. Ecco chi comanda, mentre in Italia si discute di intercettazioni e dintorni.

mercoledì 21 luglio 2010

Il PD vola



L’intenzione del ministro della difesa, l’ex sottotenente La Russa, di non acquistare venticinque Eurofighter, e cioè tutta la cosiddetta tranche 3B, “il che vuol dire un risparmio per l’erario di due miliardi”, ha suscitato la ferma reazione di Antonio Rugghia, capogruppo del Pd nella commissione Difesa:
“Non abbiamo nulla in contrario alla verifica dei sistemi d'arma: anzi, è proprio ciò che abbiamo chiesto con una recente mozione parlamentare. Tuttavia, non può essere il ministro della Difesa l’unico a decidere cosa tagliare e cosa acquistare”. Ha poi aggiunto: “La programmazione dei sistemi d'arma è una cosa seria e va discussa all'interno delle scelte sul modello di Difesa che solo il Parlamento è chiamato a prendere”.
Si tratta dei 121 caccia Eurofighter-2000 Typhoon, aggeggi che volano a centinaia di litri di carburante all’ora e il cui costo finale ad esemplare (stando alle cifre indicate dal ministro) non dovrebbe essere inferiore a 80 milioni di euro più gli extra. Il quotidiano di Confindustria parlava, ad aprile, di 96 esemplari ordinati dall'Aeronautica (per le caratteristiche vedi  qui), segno che la decisione del taglio non è nuova, e l’annuncio è solo fumo negli occhi nel momento dell’approvazione della manovra economica.
Il settore degli armamenti è sempre stato caro a molti esponenti del PD che, in caso di tagli, evidentemente, non la prendono bene.

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Un emendamento bipartisan per sbloccare gli scatti economici dei diplomatici congelati dalla manovra è stato presentato in commissione bilancio a Montecitorio. Il costo dell'intervento, secondo quanto scritto nella relazione tecnica, è quantificabile in 12,6 milioni per il triennio 2011-2013 (Ansa).
"Per noi il testo è quello uscito dal Senato. Daremo parere contrario a tutti gli emendamenti": lo afferma il Sottosegretario all'Economia Luigi Casero, che per il governo segue la manovra, interpellato telefonicamente, in merito alla proposta di modifica alla manovra correttiva che punta a 'salvare' gli ambasciatori dai tagli (Ansa).
Tranquilli, gli ambasciatori non rischiavano di essere licenziati, di doversi trovare un altro lavoro, diventare precari, bensì si tratta solo di mettere al sicuro gli scatti di anzianità. Cospicui. Scommettiamo che l’emendamento, nonostante l’asserita blindatura della manovra, passerà? In tal modo l’onore, e soprattutto le prebende, delle feluche sarà salvo.
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Non sono più giovani. E neppure adulti. I protagonisti della "generazione perduta" anche se passano attraverso la tempesta di diverse esperienze, spesso caratterizzate dal disagio, non riescono con il tempo a trasformare se stessi in qualcosa che li porti oltre le possibilità inespresse e li faccia uscire dall'ombra di un'identità indefinita. Per colpa del lavoro che non c'è, di una società sempre più "instabile" che gli sottrae opportunità, ma anche per caratteristiche proprie. E per la responsabilità di chi non gli offre gli strumenti di supporto che sembrano sempre più necessari. E' questo uno dei risultati emersi dall'indagine realizzata dal dipartimento di scienze relazionali "G. Iacono" dell'università di Napoli "Federico II" (la Repubblica, 20 luglio).
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Contro la crisi di vocazioni la suora recluta sul blog. Nuovi sistemi per arginare l'emorragia di vocazioni che in pochi anni rischia di svuotare conventi e abbazie. A Roma si tiene un corso per formare le "animatrici". Il loro compito? Andare tra le giovani, in cerca di novizie. Il seminario è organizzato dall'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum (la Repubblica, 21 luglio).



martedì 20 luglio 2010

Velinari

Microsoft Word - foco1005.doc
Fatturato in crescita, il più alto dal 2008
Segnali di ripresa per l'industria italiana: a maggio l'incremento è stato dell'8,9% rispetto all'anno prima


La stampa di regime, come al solito, enfatizza: raschiando il fondo del barile riesce ancora a trovarci del mosto! Tanto il lettore medio, per quanto riguarda le notizie economiche, spesso si limita al titolo. Sì, il fatturato è il più alto dal 2008, ma i cantastorie non ci dicono quanto è più basso rispetto al 2008, ovvero occultano il baratro che si è venuto a determinare e la stentata risalita.

Questi due grafici sono eloquenti:


Questo il comunicato dell’Istat:

Indici del fatturato e degli ordinativi dell’industria
Maggio 2010
L'Istituto nazionale di statistica comunica che, sulla base degli elementi finora disponibili, nel mese di maggio gli indici destagionalizzati del fatturato e degli ordinativi, calcolati con base 2005=100, hanno registrato, nel confronto con il mese precedente, un incremento dello 0,8 per cento, il primo, e del 3,2 per cento, il secondo. Il fatturato è aumentato dello 0,9 per cento sul mercato interno e dello 0,5 per cento su quello estero; gli ordinativi nazionali hanno registrato una diminuzione dello 0,4 per cento e quelli esteri una crescita del 9,5 per cento.
Nel confronto degli ultimi tre mesi (marzo-maggio) con i tre mesi immediatamente precedenti (dicembre-febbraio) le variazioni congiunturali sono state pari a più 1,4 per cento per il fatturato e a più 4,6 per cento per gli ordinativi.


N.B. : anche l'Istat ci mette di suo: perché prendere base 2005=100 e non il 2008?