sabato 24 luglio 2010

Giro di vite/2

[N.B.: la prima parte è nel post di ieri, senza la quale non si capisce questo qui]


Ferdinand sbircia prudente dalla feritoia, ma non distingue nulla nel fumo denso delle granate. Si ritrae dal bordo, non gli piace quel tipo di confidenza. Ed ecco in quel turbine assordante giungere  inequivocabile il latrato del comandante di squadrone che si sta approssimando al posto di guardia. Ferdinand ha imparato a conoscerlo e a temerlo: è un ufficiale che ama dire di tenere in non cale la vita, e lo dimostra in ogni occasione con quella dei suoi subordinati.
La vedetta si ricompone, finge d’esser parte attiva dell’azione, punta l’arma, e quando il turpiloquio del capitano gli giunge chiaro e distinto, preme il grilletto e il colpo esplode facendo rinculare un poco il moschetto. Ferdinad non si cura certo di sapere qual è stato l’esito dell’estemporaneo colpo di fucile, sia perché poco o nulla si vede, ma soprattutto a causa di un sibilo acuto che lacera l’aria, presagio di una granata in arrivo, e che lo costringe, d’istinto, ad acquattarsi. L’esplosione violentissima squassa la ridotta, strazia il povero dragone non meno del suo vanesio comandante. Finiva per loro la guerra e la vita; trionfava una volta di più l’unica verità assoluta di questo mondo: la morte.
* * *
Il proiettile sparato da Ferdinand andò a conficcarsi, dirompente, nel petto di un soldato tedesco del 16 reggimento List, trapassandogli un polmone. È giorno fatto, quel 14 ottobre, quando i barellieri raccolgono il ferito che rantola ancora e sanguina anche dalla bocca, incorniciata da due lunghi e spessi baffi neri, leggermente arricciati in punta. Lo depongono su un carretto, con altri, forse già cadaveri. Il cavallo traina con fatica, nel fango, il suo carico di dolore e disperazione, giungendo lemme lemme alle spalle della seconda linea del fronte, presso un ospedale militare da campo.
I barellieri prelevano il nostro ferito e lo introducono in una tenda dell’ospedale, ad attenderli c’è Karl Wahrheit, caporale infermiere. Karl era riuscito ad ottenere, nel febbraio 1906, la dispensa dal servizio militare quale “inidoneo al servizio attivo e ausiliario, perché di costituzione troppo gracile. Riformato”. La pignoleria del maggiore medico, membro della commissione di leva, aveva aggiunto: “con riserva”. In tempo di guerra, quando si raschia il barile, è d’uopo diventare abili e arruolati, sia pure nei servizi sanitari.
I due bruschi barellieri adagiano il ferito su un telo cerato, macchiato di sangue rappreso. Karl sente il polso radiale del ricoverato, scuote la testa e poi va a sedersi alla piccola scrivania, rivolgendosi a uno dei portaferiti: «Hans, metti sul tavolo gli effetti personali del caporale». I due barellieri perquisiscono tasche e giberne del defunto, cavandone poche cose che mettono sul tavolo di Karl, tra le quali, due croci al merito, una di prima classe e l’altra di seconda. Il caporale infermiere e i barellieri si guardano sorpresi: la croce di prima classe è una decorazione non comune per la truppa. «Hans, dimmi la matricola e le generalità – ordina Karl». «Un momento, caporale, la devo cercare, qui è tutto sporco di sangue, un bordello. Ah ecco la matricola ….. ». Karl Wahrheit intinge la penna e annota diligentemente nel registro, uno di quelli che di lì a poco saranno smarriti e probabilmente distrutti a seguito del precipitoso trasferimento dell’ospedale. Trascrive, come da regolamento, tutti i dati del caduto, al quale viene assegnato un talloncino numerato assicurato ad un bottone della giubba.
«Non mi hai ancora detto il nome, Hans». «Il nome – risponde il barelliere –, eccolo qui, si chiama … si chiamava, vediamo un po’ …». «Sbrigati Hans – lo incalzò Karl – non perdiamo tempo, ce ne sono altri là fuori da registrare». «Hans proclama con voce sicura cognome e nome del caduto, poi con un tono più rilassato aggiunge: «Cattolico. Serve altro?». «No, va bene così, questi quattro disgraziati hanno la fortuna di una sepoltura. E voi smettetela di litigare per i suoi stivali, portatelo via di qui».
Karl Wahrheit lasciò il registro aperto, pronto per i successivi clienti. Si alzò, accese la pipa con calma soddisfatta, mandò un’ultima occhiata al caporale Adolf Hitler che i barellieri trasportavano fuori dalla tenda.
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La migliore descrizione del bombardamento (l’operazione Gomorra iniziò il 24 luglio 1943) di Amburgo che conosco è quella data da Céline, se ricordo bene (mai prestare i libri!) in uno dei romanzi della Trilogia del Nord. Ferdinand è un grande poeta, gli si deve perdonare molto.
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Kurt Tucholsky, giornalista e scrittore, nato nel 1890 a Berlino da famiglia ebraica di origine polacca, è noto in Germania ma praticamente sconosciuto altrove. Si suicidò nel 1935, in esilio in Svezia. Scrisse: Hitler è la Germania […] se domani quell’uomo morisse, altri continuerebbero su quella strada.

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