martedì 20 luglio 2010

The Great Illusion



Paul Krugman, economista statunitense, premio Nobel, non ha bisogno di presentazioni. In un noto articolo dell’agosto 2008 scritto per il NYT, dal titolo The Great Illusion, osservava:
« […] la fine della Pax Americana - l'era in cui gli Stati Uniti hanno più o meno mantenuto il monopolio dell'uso della forza militare – solleva alcune questioni reali sul futuro della globalizzazione.
[…] la dipendenza dell'Europa dall'energia russa, in particolare del gas naturale, sembra ora molto pericolosa – più pericolosa, probabilmente, della sua dipendenza dal petrolio mediorientale. Dopo tutto, la Russia ha già usato il gas come arma: nel 2006, ha tagliato le forniture all'Ucraina nel mezzo di una disputa sui prezzi.
E se la Russia è pronta e in grado di usare la forza per affermare il controllo sulla sua auto-dichiaratea sfera di influenza, perché anche altre potenze non potrebbero fare lo stesso? Basti pensare alle perturbazioni economiche globali che si verificherebbero se la Cina – che è in procinto di sorpassare gli Stati Uniti come nazione manifatturiera più grande del mondo –  volesse far valere con la forza la sua pretesa di Taiwan.
Alcuni analisti ci dicono di non preoccuparsi: l’integrazione economica globale ci protegge contro la guerra, in quanto le economie che hanno successo non rischiano la propria prosperità impegnandosi in avventure militari. Ma anche questo, solleva sgradevoli ricordi storici.
Poco prima della Grande Guerra un autore britannico, Norman Angell, pubblicò un famoso libro intitolato "The Great Illusion", in cui egli sosteneva che la guerra era diventata obsoleta, che in epoca moderna il capitale, quand’anche uscisse vincitore da una guerra, avrebbe da perdere molto di più degli avversari. Era uno scrittore di destra - ma le guerre continuavano a verificarsi comunque.
Per esempio, la guerra tra le nazioni dell'Europa occidentale sembra davvero inconcepibile oggi, non tanto a motivo di legami economici, quanto per valori democratici condivisi.
Gran parte del mondo, tuttavia, comprese le nazioni che giocano un ruolo chiave nell'economia globale, non condivide quei valori. La maggior parte di noi ha la convinzione che, almeno per quanto riguarda l'economia, questo non importa, che possiamo cioè contare sul libero fluire del commercio mondiale, semplicemente perché è così redditizio. Ma questo non è un presupposto sicuro [per la pace].
Angell aveva ragione a descrivere la convinzione che la conquista paga come una grande illusione. Ma la convinzione che la razionalità economica impedisca sempre la guerra è un'illusione altrettanto grande. E l'alto livello attuale d’interdipendenza economica globale, che può essere sostenuta solo se tutti i maggiori governi agiscono in modo ottimale, è più fragile di quanto possiamo immaginare».
Paul Krugman pone questioni reali. Egli avverte, come tutti, che a livello internazionale, con la fine dei blocchi e della supremazia militare Usa, le contraddizioni, i conflitti tra potenze economiche e militari di prima grandezza si fanno sentire. Nello stesso tempo, però, nel modo tipico dell’idealismo borghese, egli ritiene che un possibile conflitto (armato) non sarà da attribuire anzitutto a ragioni economiche, quanto piuttosto al prevalere in Cina o in Russia di motivazioni non “ottimali”, cioè contrarie ai valori democratici che sono propri, per storia e tradizione, degli Usa.
È questo un classico ribaltamento di paradigma, laddove le contraddizioni e i conflitti per l’egemonia economica, prendono le forme del mancato riconoscimento all’avversario di un comportamento razionale soprattutto dettato dal rifiuto di quei “valori” che sarebbero invece prerogativa yankee.
Ciò che in particolare Krugman disconosce con le sue parole è il rapporto di padronanza e violenza che costituisce la fase imperialistica del capitalismo ad ogni latitudine, un rapporto mascherato da “valori democratici” ma che viene garantito solo con l’uso o la minaccia della forza. Ciò che preoccupa effettivamente Krugman è invece l’insorgere di poteri multipolari e antagonisti a quello americano
Ed anche per quanto riguarda l'Europa, nulla può garantire che i "valori condivisi" saranno in futuro più forti degli interessi particolari; anzi, sarà proprio sulla base di tali interessi, se veramente comuni, che l'Europa resterà unita.


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