Guido Viale ha scritto ieri su il manifesto, a pagine 10, un articolo sulla situazione di Pomigliano in particolare e più in generale sulla situazione economica e industriale globale. Prende in considerazione la proposta di Eugenio Scalfari relativa ad una diversa ridistribuzione del carico fiscale e quindi della ricchezza (cita anche il povero Riotta che invoca di vincere la coppa del mondo dello sfruttamento), dopo di che ne avanza una propria che si può sintetizzare col termine “reteritorializzazione”.
Ecco di cosa si tratta:
La riterritorializzazione di mercati e produzioni coincide in gran parte con la conversione ambientale nei settori vitali del sistema economico. Questo obiettivo è ormai chiaro e largamente condiviso nel settore agroalimentare, dove molti sono ormai concordi nel denunciare i danni delle monoculture, dell'uso dei fertilizzanti e dei pesticidi chimici, dell'espropriazione dei coltivatori diretti (che Carlo Petrini insiste giustamente a chiamare «contadini», perché sono portatori di una vera cultura, non solo tradizionale ma anche innovativa e scientificamente aggiornata). Qui riterritorializzazione significa multifunzionalità delle aziende agricole, valorizzazione delle colture e delle specialità tradizionali, delle specie autoctone, delle produzioni biologiche, Km0: è l'unica strada per restituire la sovranità alimentare a tutti i paesi e a ogni comunità. Subito dopo viene la valorizzazione dei materiali di risulta (con il riciclo degli scarti) e dei prodotti già in uso (con la promozione della loro durata attraverso la cultura della manutenzione e del riuso). Il terzo ambito è quello della mobilità sostenibile, con servizi di trasporto condivisi, anche personalizzati, al posto della ormai insostenibile diffusione della motorizzazione privata. Poi viene la manutenzione del territorio e dell'edificato. Ma il primo posto spetta comunque all'efficienza energetica e alle fonti rinnovabili, per sfruttare in modo decentrato, distribuito e autonomo le risorse locali di ogni territorio.
Siamo alle solite ciance sull’agricoltura “biologica”, lo sviluppo sostenibile e via via blaterando. Si dimentica sempre di dire con quale modello economico si ha a che fare, con quali interessi predominanti e le relative politiche (il disastro della piattaforma BP e l’inutile riforma finanziaria di Obama dovrebbero essere eloquenti al riguardo). L’esportazione di capitale è fondamentale come strumento di lotta a livello internazionale, ed essa è in larga misura dettata, come ho più volte evidenziato nei mesi scorsi e così come è del resto evidente non da oggi o solo da ieri, dalla caduta tendenziale del saggio del profitto che si manifesta in superficie come concorrenza dei capitali.
Ciò che invece auspica Guido Viale è un capitalismo idilliaco, condotto “a ragione”, un capitalismo che in buona sostanza rinunci alla sua essenza per promuovere interessi “sociali” diffusi. Insomma una sua “riconversione”, sorvolando sul fatto che sviluppo e sottosviluppo sono da sempre funzionali all’accumulazione capitalistica e alla formazione di quello che Marx chiama l’esercito industriale di riserva. Questo dal lato economico. Dal lato geopolitico, sembra non ci si renda conto della contesa in atto tra i vari contendenti del cosiddetto mercato mondiale, ovvero che il capitalismo non è sostanzialmente cambiato nella sua natura (e non è destinato a mutare) solo per il fatto che siamo entrati, da una lato, nella sua fase multipolare e, dall’altro, nell’epoca della sua crisi storica.
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