venerdì 15 marzo 2024

C’è anche il tuo nome

 

Sta diventando sempre più difficile scrivere qualcosa che non rasenti la disperazione e anche l’allucinazione. Ci raccontano quello che vogliono della guerra della Nato con la Russia, di riarmo o di minacce nucleari. In Asia, gli Stati Uniti si preparano allo scontro con la Cina e, in Medio Oriente, il conflitto israelo-palestinese sta raggiungendo un livello di violenza mai sperimentato prima.

Ve ne dico una: i Comuni, ogni anno, procedono alla formazione delle liste di leva, finalizzate ad un eventuale ripristino della leva obbligatoria, le quali contengono i nominativi di tutti i cittadini maschi da 17 a 45 anni. Se rientri in questa fascia d’età, c’è anche il tuo nome.

Con i giovani bisogna essere chiari: preparatevi a essere chiamati. Il servizio militare è stato sospeso nel 2005, ma può essere riattivato dall’oggi al domani. Chi ha più di 45 anni ha superato l’età, ma voi, segaioli degli anni 2000, se continua così, vista la situazione di merda che c’è in Europa e nel mondo, potreste essere i primi ad avere il culo caldo e trovare un Vannacci a comandarvi (ce n’è varie versioni).

Trattandosi di una sospensione e non di una soppressione, il servizio di leva rimane obbligatorio. L’articolo 1929 del Codice dell’ordinamento militare di cui al d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, prevede che «Il servizio di leva è ripristinato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, se il personale volontario in servizio è insufficiente e non è possibile colmare le vacanze di organico, in funzione delle predisposizioni di mobilitazione, [... oppure] nei seguenti casi: se è deliberato lo stato di guerra ai sensi dell’articolo 78 della Costituzione; se una grave crisi internazionale nella quale l’Italia è coinvolta direttamente o in ragione della sua appartenenza ad una organizzazione internazionale giustifica un aumento della consistenza numerica delle Forze armate».

Pertanto non serve una formale dichiarazione di guerra. Basterà che dal comando Nato di Bruxelles alzino il telefono o una Meloni s’alzi dal letto col bigodino incazzato. Mattarella?

Possiamo scherzarci su quanto vogliamo, ma abbiamo visto con il Covid-19 (“Bergamo non ti fermare! ... Sono convinto che un virus non fermerà Bergamo”) quanto poco ci vuole per mobilitare un intero Paese, il mondo intero. Nel luglio 1914, chi se lo poteva permettere era in villeggiatura; uguale nell’agosto del 1939. E nell’ottobre 1962, quanto c’è mancato? Avevano già la baionetta innestata e nel sito Pluto spolveravano le “munizioni speciali”.

Vedremo nei prossimi mesi e anni, ma quando Macron chiama alla guerra i francesi (“Non siamo sicuri di farlo, al momento non ci troviamo in questa situazione, ma non escludiamo questa opzione”), la Germania si prepara a farlo, altri Paesi europei ripristinano la leva, ma soprattutto quando uno con la faccia di Tajani dice che non invierà truppe italiane in Ucraina, beh, cominciamo a chiederci se questo scenario catastrofico non potrebbe diventare realtà tra la sera e il mattino.

mercoledì 13 marzo 2024

Bella scoperta

 

Dopo anni si sono accorti che l’astensionismo elettorale è un fatto decisivo in un sistema parlamentare e di stagnazione istituzionale. Non per la destra, perché il reazionario e il fascista, il padroncino e l’evasore, ma anche il tartassato e il deluso, votano. E anche i salariati votano, magari a destra. Non tutti. Una buona parte si astiene, disaffezionata e stufa di farsi prendere per il culo. Una sinistra trasformista, già governativa e senza popolo, che s’indentifica, come già il Pci del resto, nel modello dello Stato e delle istituzioni, nazionali ed europee.

Ripercorriamo brevemente la storia recente: la sinistra è arrivata al potere democraticamente, con il sostegno delle frazioni più “progressiste” della borghesia, dei loro mezzi finanziari e di propaganda. Il suo obiettivo era quello di restare al potere il più a lungo possibile. Per consolidare la propria posizione di potere, la sinistra doveva ottenere il riconoscimento dell’alta borghesia e del mondo padronale (i “capitani coraggiosi”, per esempio), che ovviamente aveva da ottenere in cambio il proprio elenco delle concessioni.

Il personale politico della sinistra era intento a dimostrare il proprio valore come ministri “liberalizzatori” e a cercare l’appoggio della grande borghesia più spesso di quanto si preoccupassero di rispettare gli impegni con la loro base. Veniva spontaneo, dato che avevano sposato in pieno l’ideologia del “mercato”, ossia quella del capitale.

È venuto anche il momento dei governi “tecnici”, di gente come Monti e Draghi, abili a nascondere dietro la presunta neutralità tecnica la loro vera missione. Che è certamente quella di “salvare” il Paese. E la destra, allora? Quella di Monti e Draghi è la vera destra. Quanto ai fascisti e leghisti rappresentano solo una variante meno “autorevole” e nel caso più spregevole (senza virgolette).

Oggi s’invoca l’alternativa e la mobilitazione popolare (solo a scopi elettorali), ma per decenni s’è liberalizzato tutto e incoraggiati la rassegnazione e l’attendismo. L’alternativa non c’è nei fatti ed evanescente già nei programmi, inesistente nei personaggi (il fatto che abbiano bisogno della faccia rassicurante di Bersani, dopo averlo villaneggiato in ogni modo, la dice lunga). Paradossale (in altri tempi però!) allestire un cartello elettorale con i liberali con l’obiettivo, non dichiarato esplicitamene, di non spaventare la borghesia.

Si dice che l’astensionismo rafforza la destra. È vero, numericamente indebolisce la sinistra. Ma destra e sinistra sono due facce della stessa medaglia, intercambiabili. Di autentico a sinistra non c’è più niente, da molto tempo. Lo sanno molto bene quelli che votano Partito democratico e non solo chi non lo vota più o lo detesta da sempre (come i grillini).

Quello che invece bisogna dire è che l’astensionismo non ha ancora raggiunto il suo obiettivo. Nel senso che sfiora la maggioranza, ma non è ancora maggioranza. Quando diventerà maggioranza in modo netto, allora si aprirà la prospettiva di una possibile alternativa.

Alternativa non parlamentare, ma di contenuto realmente e radicalmente sociale, non semplicemente “populista-nazionalista” che si accontenta del keynesismo. Inizialmente di dimensione spontanea e selvaggia, al di fuori dei partiti, una lotta dagli esiti molto incerti. Tutto dipenderà dai rapporti di forza, dalla reale volontà delle forze contrapposte, dalla situazione contingente, ossia dal deterioramento della situazione economica e dell’ordine mondiale, e dunque dalla necessità indotta dalle cose stesse.

Lo so, le aspettative pronta cassa sono altre, ma la realtà procede a velocità diverse dai desideri e dai sogni.


martedì 12 marzo 2024

Ciò che Oppenheimer non vide

 

Ho già espresso, a caldo, la mia impressione sul film Oppenheimer di Christopher Nolan, vincitore in questi giorni di sette Oscar agli Academy Awards. Racconta la vita e la carriera del celebre fisico e teorico, noto come il “padre della bomba atomica” per aver diretto il programma per la realizzazione delle bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki.

Gli insopportabili schizzinosi come me criticano la narrativa dominante che dipinge la creazione delle bombe come un progetto moralmente impegnativo ma necessario: un’invenzione straordinaria da parte di menti eccezionali, un progetto che rappresentava una questione di vita o di morte per un paese impantanato in un conflitto globale. E che usare le bombe è stata una decisione drammatica in un momento difficile, ma importante è ricordare che sono state soprattutto le bombe a salvare la democrazia.

Pertanto, il mio giudizio sulla “narrativa” di Oppenheimer non cambia: resta un prodotto hollywoodiano e gli Academy Awards sono un barometro notoriamente inaffidabile sia dell’eccellenza artistica che delle visioni del pubblico, fortemente influenzate dai media. Un film che in buona sostanza celebra il ruolo della scienza nella potenza militare statunitense.

Tuttavia il grande pubblico ha colto anche un altro senso del film, e ciò riflette i cambiamenti nel pensiero e nei sentimenti in risposta al momento storico che stiamo vivendo. Non si tratta di sentimenti e preoccupazioni politicamente articolati tra la popolazione in generale, ma senza dubbio il successo del film parla di un’ansia diffusa e di un forte malcontento a causa di decenni di guerre, di decadimento sociale e indebolimento della democrazia, ma soprattutto del pericolo di conflitti più ampi e catastrofici, inclusa la conflagrazione nucleare.

Inoltre, questo dramma ha il merito di aver posto, proprio in un momento storico come il nostro, in cui l’establishment occidentale si sta lanciando sconsideratamente in uno scontro geopolitico che implica la pianificazione e i preparativi per una catastrofica guerra nucleare, il tema che a decidere di una questione così cruciale come l’impiego delle armi nucleari siano davvero in pochi: militari e politici a Washington, a Mosca, a Pechino.

Nonostante questi meriti, parlo ancora di occasione mancata perché il film evita ciò che realmente accadde dopo che le bombe furono fatte esplodere. Soprattutto il pubblico più giovane non ha in genere ben chiaro che cosa avvenne alla popolazione di Hiroshima e Nagasaki (nel film non vi sono immagini). Il film descrive gli effetti delle bombe esclusivamente nel contesto degli Stati Uniti in guerra contro il loro nemico, il Giappone.

La stessa cosa di quando sono stati bombardati la Serbia, l’Iran, l’Afghanistan, la Libia, la Siria e altri luoghi: quasi mai vi sono immagini degli effetti sulla popolazione di tali attacchi. Tutt’al più si vedono bersagli in bianco e nero che vengono colpiti e tutto si confonde in una nuvola di fumo e detriti. Ed è ciò che è avvenuto per lUcraina dal 2014 ad oggi, salvo eccezioni.

Dagli anni ’50 agli anni ’80, molti film di Hollywood hanno esplorato la paura di un’apocalisse nucleare. Mi viene in mente il famoso The Day After, ma praticamente nessuno di quei film mostrava sopravvissuti che assomigliassero a dei veri sopravvissuti. Gli statunitensi si preparavano ed erano ovviamente nel panico per la bomba lanciata su di loro, ma le immagini mostravano semplicemente funghi atomici e vedute delle bombe dall’alto o di lontano.

Rivelo in Oppenheimer, malgrado un naturale disagio personale nel protagonista per ciò che avviene con lo sgancio delle bombe, una disconnessione tra i creatori delle bombe e la distruzione da loro provocata. Rendiamoci conto che con sole due bombe morirono più di 200.000 persone e le vite perse includevano non solo civili giapponesi ma anche coreani (il 10%) che erano in Giappone come lavoratori forzati o coscritti militari.

Inoltre, circa 3.000-4.000 delle persone colpite dalle bombe erano americani di origine giapponese. La maggior parte di loro erano bambini che vivevano con le loro famiglie o studenti che si erano iscritti alle scuole in Giappone prima della guerra perché le scuole statunitensi erano diventate sempre più discriminatorie nei confronti degli studenti nippo- americani.

Dopo di che non si pone in evidenza che quelle bombe sono ormai dalle armi antidiluviane. Ho cercato di chiarirlo in un recente post, ma non mi faccio illusioni che la gravità del pericolo a cui andiamo incontro venga colta nella sua effettiva dimensione. Del resto, sarebbe stato troppo chiedere a questo film, e non perché Christopher Nolan ignori il potere distruttivo degli ordigni attuali: c’è un cenno quando raffigura Oppenheimer che immagina un olocausto nucleare mentre tiene un discorso celebrativo ai suoi colleghi dopo che la bomba è stata sganciata su Hiroshima, ma ciò che Oppenheimer vede in questa allucinazione è il volto di una giovane donna bianca e non quello dei giapponesi, dei coreani e degli asiatici americani che hanno effettivamente vissuto l’esperienza delle bombe.

Il realismo di Bergoglio e quello di Stalin

 

Il realismo di Jorge Mario Bergoglio in riferimento alla guerra in Ucraina non ha provocato sconcerto per il semplice motivo che la posizione del papa è ben nota. Papa Francesco ha preso la misura della situazione da tempo, chiedendo una soluzione diplomatica. Secondo i suoi critici non doveva chiedere agli ucraini “il coraggio della bandiera bianca e negoziare”. Doveva chiederlo anche ai russi, che com’è noto sono gli aggressori.

Ciò ha dato occasione a della brava gente di preservare gli alti indicatori della civiltà chiedendo di continuare il massacro. Come se questa guerra non si sapesse com’è nata e quali siano realmente i contendenti. Se Bergoglio avesse chiesto “il coraggio della bandiera bianca e negoziare” ai russi, perché non chiederlo agli americani e alla Nato che sono la loro vera controparte in causa? Ecco il vero errore di papa Francesco, non aver chiesto un cessate il fuoco ecumenico, ossia a tutte le parti in causa.

E invece nella stessa intervista se l’è presa con Stalin: “gli ucraini al tempo di Stalin quanto hanno sofferto ...” (L’Osservatore Romano). Un bersaglio facile Iosif Vissarionovi. Bergoglio avvalora le ricostruzioni storiche interessate a far credere che la grave carestia in certe zone dell’Ucraina, negli anni Trenta, fosse provocata di proposito da Stalin. Sarebbe troppo lungo qui dimostrare, documenti alla mano, che tale carestia non fu deliberata e tantomeno da Stalin. E del resto sarebbe inutile.

Inutile per gente dai punti fermi inconciliabili, che ha pianto a calde lacrime la sorte del povero Alexei Anatolievich Navalny, anima innocente, ucciso dai sicari di Putin in un carcere siberiano. Sanno tutto della Siberia, ma restano indifferenti per quanto riguarda il regime del 41 bis nelle carceri italiane, le pratiche disumanizzanti prossime alla tortura che tutta Europa ci invidia. E del resto è vietato in Costituzione chiedere di dare un’occhiata anche in casa propria prima di giudicare gli altri.

«Tutte le istituzioni», scriveva George Orwell, «dovranno portare per sempre la memoria del proprio passato.»

Per esempio, che cosa è stata la deportazione in Siberia nei tre secoli precedenti al 1917? Deportazione di detenuti con le loro famiglie. Nel solo 1875, 1030 bambini morirono, mentre si recavano in Siberia, nelle prigioni di Mosca, Ninij Novgorod, Kazan’ e Perm’ e nelle tratte successive. Due anni più tardi, altri 400 non sopravvissero al viaggio. La metà dei bambini moriva lungo la strada verso il luogo di prigionia ed esilio dei genitori.

Nel febbraio 1894, il New York Times, sotto il titolo Orrori dalla Russia: all’omicidio segue il cannibalismo e i prigionieri sono ansiosi di morire, scriveva: «Il rapporto della commissione d’inchiesta sulle condizioni dei prigionieri a Onor, Sachalin, rivela numerosi esempi di fustigazioni implacabili, e di dita e braccia mozzate con le spade. Indotto dalla fame, il cannibalismo è ormai una pratica comune. Vengono spesso commessi assassinii, che sono poi seguiti da cannibalismo, ma il cui vero scopo è porre fine a una vita miserabile» (*).

Nove anni fa, il 16 marzo 2015, scrivevo un post che aveva per titolo: «Gli Stati Uniti sono l’unico paese al mondo in cui i bambini sono condannati a morire in carcere». Il titolo era tratto da un articolo del Juvenile Law Center (non certo un sito bolscevico).

Mai una parola su queste e altre questioni da parte di quella brava gente di cui sopra (cento Aaron Bushnell non valgono un solo Alexei Navalny), quella cerchia di oneste intelligenze che manderebbero per corriere anche la doppietta del nonno in Ucraina purché si sparasse contro l’odiato invasore. Solo che in Ucraina sono rimasti a corto di carne umana e adesso si predispongono ad arruolare i detenuti nelle forze armate.

Ma non voglio insistere e torno sul tema principale. Questa guerra in definitiva non la vincerà nessuno: le terribili ferite aperte non saranno rimarginate. Sta di fatto, per tornare al realismo di Bergoglio, che l’Ucraina ha circa un quinto della popolazione (effettiva) rispetto alla Russia, non ha importanti fabbriche di armi e munizioni, la sua economia è in gran parte sostenuta dai finanziamenti esteri.

Non è servito bloccare l’accesso delle principali banche russe alla rete di messaggistica Swift e impedire alla banca centrale russa di utilizzare le sue riserve (“un’arma nucleare finanziaria” si disse), eccetera. Solo degli sprovveduti che non sanno nulla della Russia, oppure e più probabilmente gente in malafede, poteva pensare che la Russia potesse essere sconfitta.

In una foto ufficiale scattata nel 2011, vediamo Angela Merkel, ridente, che finge di aprire una valvola all’inaugurazione dei lavori del gasdotto Nord Stream 2. Accanto a lei, il presidente russo, Dmitri Medvedev, e i primi ministri dei Paesi Bassi, Mark Rutte, e quello francese, un certo François Fillon. Tutti sono ovviamente molto felici.

La lezione finale è che c’è qualcosa di leggermente più serio e che ci permette di comprendere ciò che è in gioco da molto tempo: dividere la Russia dall’Europa è sempre stato l’obiettivo degli Stati Uniti fin dal 1945. Non dopo Yalta, compresa la conferenza di Yalta. Stalin ovviamente era d’accordo.

L’Ucraina combatte per la propria libertà, si sostiene. Niente di più falso. Vuole diventare anch’essa un paese satellite sotto l’ombrello Nato e con il sostegno economico della UE, quando invece poteva svolgere un ruolo di “ponte” e trarre maggiori benefici economici e di effettiva indipendenza. Montagne di dollari e qualche chilo di cocaina hanno deciso diversamente.

Del resto gli ucraini sinceri sanno bene come stanno le cose in patria per quanto riguarda la loro indole nazionale: “giacché sono un ucrainaccio ho già cominciato a impigrire”, scriveva Anton echov in una celebre lettera all’amico Aleksej Suvorin (Vita attraverso le lettere, Einaudi, 1989, p. 99).

(*) Daniel Beer, La casa dei morti. La Siberia sotto gli zar, Mondadori, p. 261 e 299. Suggerisco la lettura del reportage di Anton echov, L’isola di Sachalin, Adelphi, 2017.

lunedì 11 marzo 2024

Bandiera bianca

 

Pur di passare la sconfitta in Abruzzo in cavalleria, la prima notizia diventa questa: