venerdì 1 dicembre 2023

Il clima è come la gente

 

La COP28 a Dubai. C‘è qualcosa di più paradossale? Il paese degli eccessi e di ogni tipo di aberrazione ecologica: isole artificiali, tunnel-acquario, stazione di sport invernali indoor e altra roba di questo parco di divertimenti per decadenti idioti.

Ex villaggio di pescatori, la città è diventata il simbolo del lusso più folle del pianeta. È il luogo dove si punta a qualcosa di sempre più pazzesco. Più in alto, con il Burj Khalifa, una torre alta 828 metri, 163 piani e 57 ascensori. Più consumistico, con il Dubai Mall, “il più grande centro commerciale del mondo”: i suoi 1,1 milioni di metri quadrati di superficie necessitano di aria condizionata h 24. In questo tempio dell’abbondanza e dello spreco, dove 1.200 negozi espongono i loro fronzoli per gli ultra-ricchi, è stato aperto un gigantesco tunnel-acquario che permette ai turisti di credere di essere immersi in compagnia di decine di migliaia di specie marine. La costruzione delle isole artificiali Palm Islands (a forma di palme) e The World (circa 263 isole la cui disposizione ricorda un planisfero) ha richiesto il rastrellamento di centinaia di milioni di tonnellate di sabbia (non solo quella locale, Dubai non avrebbe potuto essere costruita senza la sabbia australiana), devastato i fondali marini e rovinarono le barriere coralline sotto le colate di cemento delle fondamenta.

Un’altra aberrazione ecologica di questo straordinario centro commerciale: la famosa “stazione di sport invernali” indoor, con pista da sci, slittino o bob. In questo universo artificiale sopravvive, lontano dalla natia Antartide, un gruppo di pinguini con i quali i visitatori possono vivere “un’esperienza unica” a Penguin Cove. (Se cuoi vivere “un’esperienza unica” vai a Gaza o a Bhopal). Per mantenere operative le attrazioni, ogni giorno vengono prodotte tonnellate di neve fresca. E affinché la temperatura interna oscilli costantemente tra i necessari -1 e -2°C, non si lesina sui kilowattora. Energia per l’82,5% prodotta dagli impianti a gas del Paese.

Nei ventotto anni di esistenza delle COP, quella iniziata ieri a Dubai sarebbe, secondo molti osservatori, “cruciale”. Ma cruciale per chi? Il presidente di questa farsa climatica non è altro che Sultan Ahmed Al Jaber, amministratore delegato della compagnia petrolifera degli Emirati. Stanno sperimentando il cloud seeding per far cadere la pioggia. Per Dubai il clima è come la gente: se non ti va, lo “dissolvi”. Come Jamal Khashoggi. Fine della discussione.

mercoledì 29 novembre 2023

L'effetto cocktail

 

Per doveri familiari e sociali, domenica ero in gita con una benemerita associazione. Tra l’altro siamo stati a San Leo, piccolo borgo e celebre fortezza. Dopo la visita, di ritorno al pullman, un mio vicino di posto mi ha chiesto se avevo avuto l’ardire di arrampicarmi fin lassù sulla rocca e se l’avevo visitata. Gli risposi che non l’avevo visitata, fermandomi alla biglietteria dove avevo chiesto del signor Cagliostro. Mi era stato risposto, dissi, che Cagliostro non c’era, se ne era già andato. Una battutina del cavolo, d’accordo. Tuttavia, il buonuomo che mi aveva rivolto la domanda, con molta serietà mi ha chiesto: “Questo Cagliostro è il proprietario?”.

Non è grave ignorare chi fosse Cagliostro, ossia se fosse il proprietario o solo suo malgrado l’occasionale inquilino della rocca di San Leo. Più preoccupante è il fatto che tanta brava gente si faccia intortare dai tanti Cagliostro in circolazione con i loro consiglieri per la comunicazione.

“Tutto è veleno, nulla è senza veleno, solo la dose impedisce che sia veleno”, pare avesse detto Paracelso. Dovremmo tenerlo presente quando accediamo al televisore o al cellulare: è la dose che fa il veleno. L’intera società è vittima di un avvelenamento. Ciò che Paracelso non disse ma probabilmente sottintese è il fatto che l’effetto dei veleni, anche in piccole dosi di per sé quasi innocue, si somma.

Non solo l’effetto si somma, ma si combina. Nessuno tiene conto degli effetti combinati. Contrariamente a quanto suggerisce l’intuizione, accade spesso che piccole dosi di veleno, ben al di sotto degli standard ufficiali, possano avere combinate tra loro effetti più disastrosi di singole dosi molto maggiori. Per tacere dell’esistenza di effetti non lineari delle molecole chimiche. Vediamo bene quali effetti cocktail producono le pozioni, anche in dosi quasi omeopatiche, che ci propinano giorno dopo giorno i tanti Cagliostro della politica e della comunicazione. Ma ne siamo diventati più o meno tutti dipendenti. 

lunedì 27 novembre 2023

"La grande società" secondo Hayek

 

L’inserto domenicale de Il sole 24 ore pubblicava ieri un breve estratto da un libro (La presunzione fatale. Gli errori del socialismo) di uno dei più ascoltati ideologhi borghesi della seconda metà del XX secolo, Friederich Hayek (membro eminente della Società Mont- Pèlerin, così come esistono Hayek Society e altro ancora).

Darò qui di seguito solo un cenno della sua concezione storica, dalla quale il lettore potrà trarre un giudizio sul livello intellettuale e le ambizioni di simili personaggi e di quelli che gli vanno dietro (*).

Leggiamo: «Gli istinti innati dell’essere umano non sono fatti per una società come quella in cui vive oggi. Istinti erano adatti alla vita nei piccoli gruppi a cui si univa durante i millenni dell’evoluzione del genere umano. Se l’essere umano avesse continuato a lasciarsi guidare totalmente da quegli istinti, non sarebbe mai stato in grado di sostenere i numeri ora raggiunti dalla sua specie».

Possiamo già subito osservare che gli “istinti innati” dell’essere umano non sono dissimili da quelli degli altri primati. È ovvio che per distinguersi la nostra specie deve aver compiuto una trasformazione radicale nel proprio comportamento, innanzitutto intervenendo attivamente sulla natura esterna per controllarla e in qualche misura sottometterla alla soddisfazione coscientemente preordinata dei propri bisogni. L’antenato dell’uomo cominciò a modificare e a dirigere la sua stessa natura, cominciò a prodursi socialmente come uomo.

Pertanto, ciò che afferma Hayek è alquanto banale, ma ciò non deve sorprendere da parte di un sociobiologo. Così come quando afferma che «Ciò è avvenuto perché i nuovi modi di agire si sono diffusi attraverso un processo di trasmissione di abitudini acquisite, un processo analogo all’evoluzione biologica ma diverso da quest’ultima sotto aspetti importanti».

Ciò che Hayek chiama puerilmente “abitudini acquisite”, è in effetti il fatto che gli esseri umani entrano tra loro in rapporti sociali per il tramite di strumenti; non solo strumenti materiali, ma anche strumenti segnici, come il linguaggio, ossia lavorano per produrre informazione extragenetica e cioè strumenti di conoscenza indispensabili per finalizzare la propria attività trasformatrice del mondo circostante. Lavoro per trasmettere, comunicare, sensazioni, conoscenze, comandi. Lavoro per sottomettere controllare il proprio come l’altrui comportamento.

Ma quale “processo analogo all’evoluzione biologica”? Roba tipo la biologia della cultura? La concezione degli esseri umani di Hayek, per quanto in linea di principio possa sembrare che lo neghi, è improntata a un naturalismo radicale di tipo deterministico ed evoluzionistico, sulla scorta di Herbert Spencer. Così come la sua concezione del socialismo è tratta della pianificazione di tipo sovietico: dallo Sputnik alla carta igienica.

Non deve sorprendere che Hayek riveli la mancanza di una concezione dialettica del rapporto tra biologico e sociale. Non considera che sistema biologico e rapporti sociali costituiscono un’unità di opposti il cui polo dominante è rappresentato dai quei stramaledetti rapporti sociali nei quali siamo invischiati fino al collo dalla culla alla bara, e di cui proprio Hayek e i suoi sodali sono interessati a mantenere inalterati.

Formazione sociale e individuo concreto sono termini che non si oppongono non essendo tra loro in rapporto di prima/dopo, dentro/fuori, sopra/sotto. Tra l’uno e l’altro non c’è alcuna differenza di contenuto, poiché il concreto divenire dalla materia sociale li implica vicendevolmente.

Dice Hayek: «L’individualismo primitivo descritto da Thomas Hobbes è un mito. Il selvaggio non è “solo” e il suo istinto è collettivistico». Bene, ma andava detto diversamente: l’essere umano non è un’astrazione immanente all’individuo singolo, ma è la concreta materia sociale nelle sue forme di esistenza storicamente determinate. L’individuo concreto, infatti, in quanto parte di una data formazione sociale storicamente determinata è sempre con essa in un rapporto di isomorfismo e dunque riproduce nella sua attività, sia pure in forme particolari, l’insieme dei rapporti sociali.

Andava detto diversamente poiché altrimenti si scade nell’ideologia, come quando Hayek sostiene che «Il collettivismo moderno è un ritorno a questo stato del selvaggio, un tentativo di ristabilire quei forti legami all’interno del gruppo ristretto che hanno impedito la formazione di unioni più ampie ma meno costrittive».

Quali unioni più ampie, quale collettivismo moderno e più costrittivo del lavoro degli operai nella fabbrica capitalistica? Tanto per dire. Di queste coglionate di Hayek e altri simili a lui si nutre l’ideologia borghese. Lo scopo di questi apologeti è sempre quello: considerano il capitalismo come inevitabile e giudicano le persone in base alla produttività e all’efficienza.

Del resto è molto chiaro: «Dobbiamo imparare a vivere in due società alle quali persino dare lo stesso nome è fuorviante. La società estesa non può emergere se trattiamo tutte le persone come nei nostri prossimi; tutti trarranno beneficio se non lo facciamo e se invece delle regole di solidarietà e altruismo nei nostri rapporti con gli altri adottiamo le regole della proprietà privata, dell’onestà e della veridicità».

Nel 1984 sostenne il ritorno a “un mondo in cui non solo la ragione, ma la ragione e la moralità, come partner alla pari, devono governare le nostre vite; dove la verità della morale è semplicemente una specifica tradizione morale, quella dell’Occidente cristiano, che ha dato origine alla morale della civiltà moderna.»

Tutto sommato non abbiamo a che fare con una versione ideologica fondamentalmente nuova. Ma basta con ‘sta roba qua.

(*) Hayek è un’icona su entrambi i lati della divisione neoliberista/populista: rifiuto dell’egualitarismo, privatizzare tutto, riprogettare lo Stato per limitare la democrazia senza eliminarla, combinare l’idea neoliberista del capitale umano con l’identità nazionale, ovviamente tagliare le tasse, ecc.. Non deve sorprendere che secondo i suoi epigoni (piace anche in Cina) il comportamento umano possa essere compreso secondo le stesse logiche evolutive in atto negli animali.


In nome dei profeti

 

Stiamo vivendo la storia del mondo, quella della distruzione e dello spargimento di sangue ovunque, e allo stesso tempo ne siamo così lontani: infelici, ma preservati, semplicemente relegati nel tiepido inferno dei commenti e del cattivo umore.

C’è chi vede nella tragica vicenda del rapimento di una bimba di pochi mesi il male assoluto, chiama i rapitori terroristi (se non è terrore quello ditemi che cos’è), e però non vede e non spende una parola che sia una per i bambini assassinati sotto le bombe di chi sta spianando una città circondata (se non è terrore quello ditemi che cos’è). In nome dei rispettivi profeti, ovviamente.

Tutto sulla terra ha cominciato a marcire: gli esseri umani sono il bestiame sacrificale di un mondo che si avvia verso il massacro globale.

La lettura da fare di questo dramma è chiarissima: sono loro contro di noi. Il modo in cui raccontiamo queste storie è determinato dal modo in cui le riceviamo, sono usate per mettere le persone l’una contro l’altra? Certamente, ma non solo. Vogliamo essere e siamo lo zoccolo duro di chi sta dalla parte della nostra bandiera, lusingati di fare gli stronzi sulle disgrazie altrui.

È così che ci siamo ritrovati al centro di un nuovo divario profondo e incolmabile. Però non facciamoci troppo ingannare, ciò non accade solo perché “l’uomo” è cattivo di suo. Pensiamo solo a cos’è accaduto nella tranquilla e soporifera Dublino. Che cosa accade in Francia e che cosa potrà accadere in Olanda e in Germania se la crisi, non solo economica, prenderà una certa piega (non più in Italia, dove tutto scorre nel migliore dei modi)?

Non sono mondi che si scontrano, è lo stesso mondo che collassa di nuovo su sé stesso. Sono questi i prodotti del colonialismo, degli effetti della globalizzazione, di un sistema che più contraddittorio e demenziale non potrebbe essere. Cazzo, la storia del Novecento ci dirà pur qualcosa o tutto è dipeso dalla malvagità di uomini che, pistola alla tempia degli elettori, sono riusciti a strappare decine di milioni di voti?

giovedì 23 novembre 2023

Non solo Gaza

 

La tregua che dovrebbe partire da oggi servirà allo Stato terrorista d’Israele a ricaricare le armi, a far giungere nuove forniture belliche dai suoi complici. Quanto alla Cisgiordania, che per gli arabi è Palestina, per i coloni ebrei è la Giudea e la Samaria.

Quasi 500.000 coloni vivono tra 2,8 milioni di palestinesi e continuano a guadagnare terreno secondo una strategia ben consolidata. I più radicali tra loro, conosciuti come i “giovani delle colline”, si stabiliscono negli “avamposti”, spesso sulle alture della Zona A (secondo il piano di spartizione della Cisgiordania, l’Area A è sotto l’amministrazione dell’Autorità Palestinese).

Piantano tende, costruiscono prefabbricati e vengono regolarmente sfrattati dall’esercito. Niente che li scoraggi, continuano a ritornarci finché non hanno partita vinta: la legge israeliana legalizza retroattivamente i loro insediamenti. Queste costruzioni sono accompagnate da demolizioni e sequestri di proprietà palestinesi. Nel 2021, il relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati ha indicato che gli insediamenti costituivano un crimine di guerra. Senza che la sua denuncia abbia cambiato nulla. Del resto, decine di risoluzioni dell’ONU, ignorate da Israele, non hanno prodotto alcuna sanzione economica o politica da parte dell’Occidente.

Quest’anno, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU rilevava che tra il 15 giugno e il 19 settembre, ad esempio, le autorità israeliane hanno portato avanti il piano di costruzione di 6.300 unità nell’Area C. In prima linea in questo movimento di occupazione (“ripopolamento”, secondo i coloni) ci sono i sostenitori del sionismo religioso, guidati da una visione messianica di questa conquista territoriale. Considerano la vittoria israeliana nella Guerra dei Sei Giorni nel 1967 un miracolo dell’intervento divino. Che interpretano come una sorta di via libera per fondare il “Grande Israele”, tra il Nilo e l’Eufrate.

Il giorno dopo il 7 ottobre, il ministro di estrema destra per la Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir (anche lui residente nella Zona A, ossia a Kiryat Arba) ha allentato le condizioni per l’ottenimento di armi e ha promesso la consegna di 10.000 armi, tra cui 4.000 fucili d’assalto, ai coloni della zona. Cisgiordania. Due settimane dopo, il consiglio regionale di Samaria ha distribuito 300 fucili d’assalto, in coordinamento con l’esercito. La settimana successiva all’attacco di Hamas è stata la più micidiale per i palestinesi in Cisgiordania. Secondo l’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR), 75 palestinesi sono stati uccisi dai coloni o dall’esercito.

Si sentono sicuri del loro diritto di occupare la regione. Dicono che quella è la loro terra da quattromila anni, anche se fino a pochi anni fa abitavano, per esempio, negli Stati Uniti. Lì c’è la tomba dei Patriarchi, di cui sentono l’aura. Nonostante siano minacciati dai barbari, dagli animali (così chiamano i palestinesi), è la loro terra e niente li fermerà.

Vivono esattamente nel centro della città palestinese di Hebron, famosa per ospitare la tomba dei Patriarchi, definita la Moschea di Abramo per i musulmani. L’edificio è diviso tra moschea e sinagoga dal 1994, anno in cui Baruch Goldstein, fervente apostolo di Meir Kahane, autore di una dottrina favorevole alla conquista della Terra Promessa, aprì il fuoco su 29 musulmani in preghiera.

Tre anni dopo, la firma del Protocollo di Hebron conferì alla città uno status speciale. Da un lato (Hebron 1), la capitale economica palestinese con 200.000 abitanti; dall’altra Hebron 2, il centro storico, dove vivono ora 800 coloni protetti da 2.000 soldati. A Hebron 2 per decenni il paesaggio urbano è stato devastato da posti di blocco e filo spinato. In tale situazione, 1.700 negozi hanno chiuso i battenti e molte case palestinesi sono state abbandonate dai proprietari. Ora, la principale via dello shopping della città vecchia, è vietata ai palestinesi.