“ [...] il modo di produzione capitalistico trova, nello sviluppo delle forze produttive, un limite che ha nulla a che vedere con la produzione della ricchezza in quanto tale; e questo particolare limite testimonia del carattere ristretto, semplicemente storico, transitorio, del modo di produzione capitalistico; prova che esso non costituisce affatto l’unico modo di produzione in grado di generare ricchezza, ma, al contrario, arrivato ad un certo punto entra in conflitto con il suo stesso ulteriore sviluppo”.
Queste cose sembrano scritte oggi in riferimento a un prossimo domani, ma sono in realtà state scritte e ulteriormente argomentate sul piano scientifico oltre 160 anni fa. Le scriveva Marx in vari suoi manoscritti, per esempio, in quello che sarà edito postumo come cap. 15° del III Libro.
Alcuni hanno provato a pensare ai compiti rivoluzionari che attendono come alla soluzione di compiti “tecnici”. Si trattasse solo di questo, ossia dello sviluppo tecnologico, peraltro indispensabile ma non sufficiente per il raggiungimento di certi obiettivi, basterebbe il determinismo a salvarci, dove tutto accade secondo ragione e necessità, quindi il dominio della necessità causale in senso assoluto che nega la necessità dell’agire umano.
Marx nella citazione ci dice che dentro la tecno-scienza si nasconde una scossa storica epocale, della quale un secolo e mezzo dopo le sue parole siamo tutti testimoni diretti. Allo sviluppo delle forze produttive, all’aspetto della tecno-scienza, è necessario affiancare un altrettanto epocale compito politico, quello di ribaltare l’intero progetto tecno-scientifico, liberandolo dal legame con la produttività umana che, come dice Marx nel passo citato, è fine a sé stesso, ossia indispensabile per la valorizzazione capitalistica, la quale trova un suo limite storico ed “entra in conflitto con il suo stesso ulteriore sviluppo” (*).
L’oggetto tecnico in sé, per quanto possa dimostrarsi “intelligente”, in realtà è immemore del “suo” progetto, ossia la pacificazione della lotta per l’esistenza, e scambiando questa incoscienza con la sua presunta neutralità, esso fornisce il veicolo ideologico perfetto per celare e imporre la perpetuazione politica ed economica del dominio, ossia che il capitalismo rappresenti lo stato di natura finalmente perfetto.
E qui arrivano quelli che oppongono: ma ribaltare l’intero progetto tecno-scientifico, la fine del processo di valorizzazione capitalistica quale scopo precipuo della produttività umana, tutto ciò non eliminerà le classi sociali e le contraddizioni che tale antagonismo comporta. Questo presupposto ideologico perfetto li rasserena: teniamoci le cose per come si trascinano, tanto in prospettiva non c’è nulla di meglio. È il conservatorismo che parla, quello che prima o poi, sotto la pressione della crisi sistemica, dell’accentuarsi della “fatica del vivere”, trascolora in aperta e nera reazione, nell’invocazione dell’uomo provvidenziale che tutto risolve.
(*) Si tratta, come scrivevo ieri, della tenuta del modo di produzione capitalistico, che proprio nel momento del suo massimo trionfo mostra di non farcela più, salvo ricorrere, ancora una volta ma non più nelle identiche condizioni del passato (la storia non si ripete, rigurgita), al tutti contro tutti, in una spasmodica voglia d’igiene del mondo.
Sembra il finale del monologo di Amleto: "così la nativa tinta della risoluzione si scolora sotto la pallida cera del pensiero".
RispondiEliminaovviamente non è casuale, ma non posso spiegare
Elimina