Voleva il 25 aprile, ma Trump ha già un precedente impegno
Riconoscendo il potere dell’imperialismo economico statunitense, e dopo che la polvere di questo sconquasso si sarà un po’ depositata, i singoli governi, salvo quello cinese, si rivolgeranno a Trump con il cappello in mano per implorare un po’ di sollievo, offrendo nel frattempo concessioni che fino a ieri ci sarebbero sembrate assurde.
Ci sono stati fin troppi falsi allarmi e speranze esagerate sulla de-dollarizzazione, ed è paradossale che ci sia chi guarda al potenziale della Cina per guidare la riscossa internazionale. Non ci si sottrae dal controllo di Trump e dal dominio del dollaro se non si sfugge alla tirannia del capitale e dunque con un cambiamento storico radicale.
Questo estremo abuso di potere commerciale esercitato con rabbia da Trump è solo l’ultimo, in ordine di tempo, riflesso del caos economico mondiale. I limiti della cosiddetta globalizzazione sono diventati chiari, così come i limiti delle economie finanziarizzate, cariche di un debito senza precedenti e con gli indici sopravvalutati del mercato azionario.
È ancora troppo presto per dirlo, ma non è nemmeno escluso il rischio che, in una guerra commerciale basata su tariffe reciproche del tipo “a scapito del vicino”, ci troveremo tutti di fronte a una nuova versione, come già dissi, dello Smoot-Hawley Act del 1930 e in un prossimo futuro a una depressione in stile anni Trenta.
Leggevo in questi giorni, oltre alle velleitarie dichiarazioni della signora Albrecht per l’adozione di tariffe tit-for-tat (traduzione: ocio par ocio), degli inviti di capitalisti orientati all’esportazione a “cercare nuovi mercati”. In tal modo i Paesi più forti reindirizzeranno il proprio commercio inondando tutti gli altri potenziali acquirenti, deindustrializzando ulteriormente i Paesi più deboli, e dunque spingendo la loro popolazione a ulteriore emigrazione (penso all’Italia, non solo all’Africa e all’Asia).
Naturalmente la logica dominante di “cercare nuovi mercati” non arriverà alla radice del problema. Chi ha qualche dimestichezza diretta con Das Kapital comprende che le crisi capitalistiche hanno a che fare con la svalutazione del capitale sovraccumulato e riflettono le contraddizioni intrinseche del modo di produzione.
In reazione a queste tendenze, il capitalismo spesso degenera in rivalità inter-imperiali e imperiali/sub-imperiali (la sorte che toccherà all’Italia in EU), guerre commerciali generalizzate, spesso basate su turbolenze del mercato azionario e delle obbligazioni. La conclusione che si dovrebbe trarre è che la pianificazione dell’economia globale è l’unica via d’uscita. Vasto e utopico programma, e già solo affermare ciò, dopo decenni di ideologismo liberista, è come bestemmiare in chiesa.
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