lunedì 7 aprile 2025

A scuola col Mein Kampf

 

Nell’inserto culturale del Sole 24 ore di ieri, spiccava una recensione curata da Fabio Bacchini, dal titolo: Hitler e Goebbles non pensavano di essere cattivi. Il saggio recensito è di Isabella Merzagora, giurista, psicologa, specialista in criminologia clinica, ordinario in scienze criminologiche e psichiatrico forensi, nonché perito in diversi casi giudiziari. Insomma, tanta roba, forse troppa per una equilibrata gestione dell’“amor proprio” (chiamiamolo così).

Il recensore parte bene: «Potremmo pensare che il prezzo da pagare per riuscire a fare serenamente il male sia diventare pazzi, e che la follia sia proprio lo stato mentale in cui si è finalmente certi di agire in modo giusto quando si uccidono altri esseri umani e si produce sofferenza apparentemente evitabile. Ma anche questo è un pregiudizio falso e fuorviante».

Salvo subito infangarsi: «E come scrisse di Adolf Eichmann uno psicologo che lo esaminò durante il processo di Norimberga, “è più normale di come sono io dopo che l’ho visitato”». Fabio Bacchini, docente universitario e tanto altro, non ha letto La banalità del male della Arendt, altrimenti saprebbe che il titolo originale del libro è: Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil, 1963). Bacchini ignora che Eichmann non fu processato in Germania, ma a Gerusalemme da coloro che attualmente stanno sterminando i palestinesi.

Tuttavia, questo è un dettaglio, così come appare un dettaglio ciò che sta accadendo in Palestina. Il meglio della recensione viene quando Bacchini riferisce frasi del contenuto del libro della professoressa Merzagora Betsos: «A suo giudizio, è questo che contraddistingue i casi di Hitler e Goebbels, delle Brigate Rosse [...]». E ti pareva che queste ultime non fossero associate a Hitler e Goebbels! La signora Betsos si esprime con la sicumera della docente onnisciente: «[...] provenivano da una tradizione cattolica e/o di impegno nel sociale, cioè da ideali non pervertiti, e quel che accade è che si parte da un ideale poi si cambia oggetto e metodo e lo si perverte.»

Qui non sono chiari gli intendimenti della Merzagora, ovvero se “pervertito” fu l’originario cattolicesimo oppure gli ideali propugnati dal marxismo. Ce lo faccia sapere, magari sancendolo nel prossimo manuale di criminologia psichiatrica forense. Da notare, en passant, l’impiego ricorrente del sostantivo “pervertito”, che non significa solo corrotto, depravato, degenerato, più correntemente allude a “persona che ha comportamenti sessuali devianti”. L’insistito impiego lombrosiano di una simile parola la dice lunga sul resto.

Pertanto, secondo le parole di Merzagora Betsos, il “male” sarebbe la conseguenza della perversione dell’oggetto (idealizzato), più esattamente del “metodo”. Domanda: chi decide qual è il “metodo” non perverso, cioè il metodo eticamente vocato al giusto e al bene? Posto che indubbiamente il metodo di Hamas è perverso, chiedo: lo è altrettanto il metodo sionista a Gaza e in Cisgiordania, signora Betsos?

Soprattutto, che cos’è il “male”? Ciò che è male oggi, poteva non esserlo in passato, e viceversa. Oppure esiste un male oggettivo, metastorico, a prescindere? Gli antichi, per esempio, non consideravano la schiavitù un male, bensì un bene necessario alla società. L’evangelizzazione del “nuovo mondo”, si associò alla schiavizzazione di interi popoli, il loro annientamento fisico e culturale. Solo una questione di “metodo” o c’era dell’altro?

Sia l’autrice del saggio (Il male per una buona causa, l’idealismo pervertito) e sia il suo recensore, non si rendono conto che stanno esprimendo un giudizio etico e morale vestito con l’abito mentale odierno, e dunque leggono i fatti storici con gli occhiali del presente, con l’ideologia e gli interessi connessi. Un giudizio fin troppo liquidatorio sul piano storico-politico. Quale giudizio dovremmo dare allora del “metodo” per esempio di Giulio Cesare?

Plinio il Vecchio, nel settimo libro della Storia naturale, ci racconta come il civilissimo e nobile Cesare fece uccidere un milione e 200mila persone allo scopo di far bella figura in Gallia (Plutarco, più benevolo, certifica un milione tondo). Cominciò con 200mila Elvizi, il cui torto maggiore era quello di non assecondare i suoi piani; quindi decine di migliaia di Aquitani e affini; poi mise a morte tutto il senato dei Veneti (popolazione gallica) che gli si era arreso a discrezione; continuò sterminando tutto il popolo degli Eburoni e per soprammercato 180mila Usipeti e Tencterii che si trovò tra i piedi; a Bourges massacrò, per vendetta e senza riguardo per sesso ed età, 40mila abitanti. Nel ricevere a colloquio i capi germanici li fece “trucidare a tradimento e quindi assaltò gli avversari sbandati e senza guida, ed estese indiscriminatamente il genocidio a tutti, donne e bambini inclusi”.

Eppure a scuola leggevamo in originale il De bello Gallico, e l’insegnante si esibiva nella pragmatica esaltazione della maestria letteraria del grande sterminatore. Dati i chiari di luna in corso, che direbbe la non pervertita Merzagora se in un futuro più o meno prossimo nelle scuole tedesche, e chissà se tout court anche nel resto d’Europa, si rileggesse in senso positivo il Mein Kampf?

2 commenti:

  1. Non è la prima volta che cita i crimini di Cesare paragonandoli con eventi moderni: 2000 e passa anni fa, come lei giustamente dice la schiavitù era normale (pensiamo alla civilissima Atene! ), ogni guerra era di sterminio, i cittadini romani non potevano essere crocefissi ( s.paolo), non c'era alcuna concezione di rispetto della vita umana se non x senso di appartenenza (famiglia, cittadino romano). I crimini di Hitler o degli Stati uniti sono molto peggiori perché già non pochi avevano affermato l'uguaglianza umana.
    Con stima un suo affezionato lettore
    Alessandro ( infetttivologo)

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    1. Caro Alessandro, ricordo un tuo lontano commento. Grazie

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