domenica 13 aprile 2025

La fabbrica in testa


Sul Sole 24 ore di oggi c’è un articolo intervista dedicato a Mariacristina Gribaudi. Chi è Mariacristina? Anzitutto una bella donna, “il cui sguardo, chiaro come il vetro, va oltre le finestre per arrivare lontano”. Così la descrive Maria Luisa Colledani, autrice dellarticolo che profuma di fragranze imprenditoriali e di marchetta redazionale.

Eh sì, perché Mariacristina, prima ancora di essere l’attuale presidente della fondazione dei musei civici di Venezia, è una imprenditrice, figlia e moglie di imprenditori. «Gli impegni della presidente – ci informa la redattrice del Sole – sono infiniti, i sei figli, la gestione della Keyline [una fabbrica di chiavi] che, con il marito hanno scelto di guidare a turni di tre anni (“così negli altri tre anni possiamo studiare”), i viaggi per portare la fondazione Muve ovunque».

È la stessa Mariacristina a rivelarci ciò che personalmente stentavo a credere, ossia che il suo “compito è salvaguardare per le generazioni future le 700.000 opere conservate nelle raccolte”. Io mi ero fatta l’idea, evidentemente sbagliata, che il suo compito fosse quello di vendere biglietti (Philippe Daverio chiamava tale attività museale “bigliettame”).

Il 30 aprile inizierà la mostra “L’oro dipinto. El Greco e la pittura fra Creta e Venezia”. Sicuramente nella mostra nemmeno si accennerà a una peculiare attività imprenditoriale veneziana che aveva luogo a Creta e a Cipro, quella delle piantagioni di canna da zucchero. La manodopera era costituita da schiavi, non nel senso moderno del termine, ma nel senso di allora, quando le galee veneziane (e genovesi) trasportavano tale merce dolente acquistata per esempio a Tana, località del Mare d’Azov.

Tartari, russi, circassi, ziki (un sottogruppo etnico dei circassi), che le carovane conducevano nel porto dopo chissà quale faticoso viaggio e quali tragiche vicende. Circa 80% di quegli schiavi erano donne, spesso giovanissime, come testimoniato negli atti rogati dal notaio Moretto Bon, il quale in tale veste operò a Trebisonda e Tana (*). Prevalentemente quelle schiave venivano adibite a lavori domestici un po’ in tutte le città italiane ed europee.

Per esempio, Cosimo Medici detto il Vecchio, di schiave domestiche ne aveva cinque, da una di esse, circassa acquistata a Venezia, nacque un figlio che fu legittimato: Carlo dei Medici. Secondo stime veridiche, tra il ‘400 e il ‘500, nelle città italiane del settentrione il 4-5% della popolazione era costituita da schiavi. Potessi, suggerirei a Mariacristina una mostra sul tema della tratta degli schiavi operata dai veneziani per lunghi secoli. Si potrebbe intitolarla: Il vero oro di Venezia.

L’imprenditrice/presidente dichiara: «I musei non sono solo spazi in cui andare tre volte nella vita, da bambini, da genitori e da nonni [ovviamente si riferisce al volgo, quello che non può permettersi tre anni sabbatici], ma sono la fabbrica del nostro passato, quindi, la fabbrica di oggi non è altro che il museo di domani. Per questo dobbiamo prenderci cura delle fabbriche e chi conosce la gestione di un museo d’impresa può trasferire le conoscenze nella gestione dell’arte. Stiamo scrivendo una pagina di futuro [...]». E altre presenti e futuribili modestie.

Il modello di società che ha in testa Mariacristina Gribaudi è quello della fabbrica. La dittatura di classe della borghesia ha come ideologia questa roba qua. Quaranta ore alla settimana da operaia, con qualche turno notturno e festivo, per più di quarant’anni, senza bambinaie e domestici a casa e qualche anziano da accudire, gli farebbero passare la voglia di fabbrica? Forse.

(*) Moretto Bon, notaio in Venezia, Trebisonda e Tana, Comitato per la pubblicazione delle fonti relative alla storia di Venezia, Sz. III – Archivi notarili, Venezia 1963. Giacomo Filiasi, Memorie storiche de’ Veneti, vol. II, tomo 6°, p. 189, Modesto Fenzo editore, Venezia 1797 (nella seconda edizione del 1811 la descrizione sulla tratta degli schiavi è stata espunta dal testo). Peter Spufford, Il mercante nel Medioevo, Potere e Profitto, Ist. Poligrafico dello Stato, pp. 338 e sgg. 

4 commenti:

  1. È la sindrome di Mecenate. In genere sono mecenatesse. Che poi non sono neanche benefattrici: son lì a esibirsi. Pensa quanto ci ha ponzato, sulle cazzate della fabbrica del nostro passato. Con lo sguardo chiaro come il vetro.
    Prudono le mani.

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  2. Come al solito lei cade nell'estremismo marxista: "Quaranta ore alla settimana da operaia".
    Non vogliamo essere più moderni e allungare un po' la settimana lavorativa, liberandoci dal retaggio del passato?
    O pensa che gli schiavi di Venezia lavorassero solo 40 ora a settimana?
    Un po' di modernità, suvvia!

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